Sì all'accertamento sintetico per gli investimenti all'estero

La Redazione
28 Settembre 2017

È onere del contribuente dimostrare che i redditi contestati sono esenti o già fatti oggetto di tassazione. È questo il principio ribadito dalla Corte di Cassazione con l'ordinanza n. 22554/2017.

Se il contribuente risulta titolare di investimenti realizzati all'estero, l'accertamento sintetico nei suoi confronti è legittimo. È il caso esaminato dalla Corte di Cassazione con l'ordinanza del 27 settembre 2017, n. 22554, con la quale i Giudici della Corte hanno accolto il ricorso dell'Agenzia delle Entrate.

Già la CTR aveva affermato che il contribuente non aveva contestato la provenienza, né la diversa titolarità, sulle disponibilità finanziare attestate dalla documentazione rinvenuta in suo possesso; circostanza che, per il Fisco, era indice di maggiore capacità contributiva, giustificando quindi l'accertamento sintetico.

La Cassazione non ha potuto che concordare con questa tesi. Secondo la Suprema Corte, è il contribuente che deve difendersi specificando che gli investimenti contestati non gli appartengono. L'ufficio, stando all'art. 38 del d.P.R. n. 600/1973, era ammesso a determinare sinteticamente il reddito complessivo netto del contribuente in base ad elementi e circostanze di fatto certi, dotati di efficacia dimostrativa come nel caso in esame. Poiché l'Amministrazione finanziaria aveva provato la sussistenza di tali elementi, spettava al contribuente superare la presunzione legale con la prova contraria, dimostrando che si trattava di redditi esenti o già fatti oggetto di tassazione, o ancora di redditi rivenienti da annualità pregresse diverse da quelle contestate dal Fisco; cosa che egli non era stato in grado di fare. La Cassazione ha quindi accolto il ricorso delle Entrate.

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