Imposta di registro e atto di mutuo dissenso: per i giudici di merito non rileva la specialità del diritto tributario
04 Ottobre 2015
Massima
Ai sensi degli artt. 20 e 28, comma 2, del D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, il contratto risolutivo deve essere tassato sulla base della sua natura intrinseca e degli effetti giuridici che esso produce. L'atto di mutuo dissenso di una compravendita non produce né effetti traslativi della proprietà né comporta una retrocessione dell'originario contratto, limitandosi a ripristinare i diritti delle parti oggetto del primo contratto che, per l'effetto, deve considerarsi mai concluso. Ne consegue l'imposizione di registro non nella misura proporzionale tipica del trasferimento, ma nella misura fissa.
Il caso
In data 29 novembre 2007, le parti ponevano in essere un contratto di compravendita della nuda proprietà di un immobile. In seguito, risolvevano lo stesso con atto di mutuo dissenso alla compravendita con ritorno del diritto all'originario venditore. L'atto di mutuo dissenso veniva registrato con il pagamento dell'imposta di registro in misura fissa. L'Agenzia delle Entrate notificava l'Avviso di liquidazione dell'imposta e di irrogazione sanzioni per la pretesa del pagamento dell'imposta in misura proporzionale. La questione
Il D.P.R. n. 131/1986, all'art. 20, “Interpretazione degli atti”, recita: “L'imposta è applicata secondo la intrinseca natura e gli effetti giuridici degli atti presentati alla registrazione, anche se non vi corrisponda il titolo o la forma apparente”. Premessa, quindi, l'applicazione dell'imposta secondo la natura e gli effetti giuridici dell'atto sottoposto a registrazione, è utile rilevare che l'art. 1321, cod. civ., prevede la possibilità di estinguere un rapporto giuridico patrimoniale tramite l'accordo tra le parti. Il successivo art. 1372, cod. civ., prevede lo scioglimento del contratto per volontà delle parti, ferma la limitazione degli effetti nei confronti dei terzi. Dagli indicati articoli si desume l'ammissibilità di un negozio risolutorio tra le parti, al fine di estinguere un precedente rapporto giuridico patrimoniale ed eliminarne gli effetti giuridici prodotti. Il fondamento del mutuo dissenso si ravvisa nel fatto che, poiché la stabilità del vincolo è voluta dalle parti, non v'è motivo di negare loro il diritto di sottrarsi al vincolo se di interesse comune.
Il successivo art. 28, D.P.R. n. 131/86, recita: 1. "La risoluzione del contratto è soggetta all'imposta in misura fissa se dipende da clausola o da condizione risolutiva espressa contenuta nel contratto stesso ovvero stipulata mediante atto pubblico o scrittura privata autentica entro il secondo giorno non festivo successivo a quello in cui è stato concluso il contratto. Se è previsto un corrispettivo per la risoluzione, sul relativo ammontare si applica l'imposta proporzionale prevista dall'art. 6 o quella prevista dall'art. 9 della parte prima della tariffa".
La vessata questione dell'imposizione di registro dell'atto di mutuo dissenso, rientrante nella fattispecie residuale del comma 2 dell'indicato art. 28, risente delle diverse ricostruzioni dogmatiche che, con riferimento alla disciplina codicistica dell'istituto, si contrappongono riguardo alla natura dell'atto. Ricostruzioni dalle quali discendono conseguenze relative agli effetti del mutuo dissenso ed alla sua forma nonché, sul piano tributario, all'imposizione di registro applicata secondo l'intrinseca natura e gli effetti giuridici degli atti presentati alla registrazione.
i) il negozio ha un contenuto uguale e contrario a quello sciolto; ii) la causa è sempre quella del contro negozio; iii) lo schema è lo stesso del negozio che si elimina, seppure le parti assumono un ruolo invertito; iiii) non si incide direttamente sul negozio originario, ma solo sui suoi effetti.
Dall'altra parte, vi è la teoria che riconosce al mutuo dissenso la natura di atto risolutivo meramente eliminativo del contratto precedente, teso a ripristinare l'originaria situazione delle parti contraenti ponendo nel nulla, con efficacia ex tunc, l'originario contratto o atto (teoria c.d. del “contrarius consensus”). i) è un negozio autonomo ed unitario tipizzato dall'ordinamento giuridico (artt. 1321, 1372 cod. civ.); ii) ha causa nella risoluzione del precedente negozio; iii) quanto precedentemente dato torna alle parti perché, risolto il negozio, le prestazioni costituiscono un indebito oggettivo che va restituito; iiii) incide direttamente sul negozio originario, eliminandone ogni effetto sia per il futuro sia per il passato. Le soluzioni giuridiche
Al contrapporsi delle teorie civilistiche sulla natura dell'atto di mutuo dissenso conseguono le diverse fattispecie impositive dell'atto stesso.
Dall'altra parte, seguendo la teoria secondo cui il mutuo dissenso pone nel nulla il primo contratto e ripristina l'originaria situazione in capo alle parti contraenti, una diversa giurisprudenza ne afferma l'efficacia “da allora” e l'applicazione dell'imposta in misura fissa (Cass. civ., sez. trib., 6 ottobre 2011, n. 20445; conforme: Cass. civ., 7 agosto 2013, n. 18757; Cass. civ., 31 dicembre 2012, n. 18844; CTR Basilicata, 7 gennaio 2009, n. 4; CTR Toscana, 10 novembre 2014, n. 2154).
Sotto un altro profilo, prendendo le mosse da un asserito particolarismo del diritto tributario, la giurisprudenza afferma che la tassazione degli atti risolutivi dei negozi giuridici previsti dall'art. 28, commi 1 e 2, è così regolata (Cass. civ., 19 febbraio 2014, n. 3935; Cass. civ., 21 maggio 1998, n. 5057):
Secondo tale interpretazione, nei confronti degli atti annoverabili nella fattispecie residuale del comma due, tra cui quello del mutuo dissenso, non rilevano le interpretazioni civilistiche riferite agli artt. 1321 e 1372 cod. civ., ma la specialità della tutela fiscale. Ragione per cui, per tali atti l'imposizione di registro è sempre proporzionale perché privi, dall'origine, degli elementi di garanzia fiscale presenti negli atti di cui al primo comma (ovverosia: previsione espressa di clausole o condizioni risolutive nel negozio da risolvere oppure stipula di un atto successivo nei modi di legge indicati ed entro il secondo giorno successivo a quello del negozio da risolvere). Sotto quest'ultimo profilo, cercando di coniugare le esigenze di applicazione dell'Imposta di registro secondo gli effetti giuridici propri dell'atto sottoposto a registrazione e le esigenze di cautela fiscale, una giurisprudenza ha affermato che poiché quest'ultime non possono essere ignorate dall'interprete, esse segnano un limite entro il quale può avvenire la riqualificazione del negozio da parte del giudice tributario (cfr. Comm. Trib. Centr., sent. 8 settembre 2000, n. 4950). Osservazioni
In tale dibattito di carattere generale, oggettivamente complesso e qui necessariamente ricondotto in termini di estrema sintesi, si colloca la sentenza in commento.
Essa si caratterizza sia per la non condivisione dell'atto di mutuo dissenso inteso come “contrarius actus”, a favore della teoria dell'atto inteso quale “contrarius consensus”, sia per la negazione del particolarismo fiscale, secondo cui, per ragioni di cautela fiscale gli atti annoverabili tra quelli previsti nel comma due dell'art. 28 devono (sempre) assolvere l'imposta secondo criteri di proporzionalità. Sotto tale ultimo profilo, la decisione assunta dai giudici pare agevolata dalla circostanza che la difesa erariale si era limitata a chiedere l'imposizione proporzionale dell'atto di mutuo dissenso ritenendolo, sic et simpliciter, equiparabile ad ogni atto da cui derivino prestazioni di tipo patrimoniale. Nulla, infatti, la difesa aveva eccepito riguardo ad una ipotetica non genuinità dell'atto di mutuo dissenso oggetto di controversia, al fine di poter consentire al giudice adito una riqualificazione tributaria del negozio a tutela degli interessi erariali.
Per altro verso, e per completezza, deve osservarsi che la decisione assunta dai giudici lucani avrebbe potuto trovare una diversa, ma altrettanto valida, soluzione interpretativa offerta dalla dottrina.
Si è già precisato che l'atto di mutuo dissenso rientra nella previsione di cui al comma due dell'art. 28, DPR n. 131/86, secondo cui: “2. In ogni altro caso l'imposta è dovuta per le prestazioni derivanti dalla risoluzione, considerando comunque, ai fini della determinazione dell'imposta proporzionale, l'eventuale corrispettivo della risoluzione come maggiorazione delle prestazioni stesse".
La scelta di non dettare espressamente la tipologia dell'imposizione dell'atto produttivo dell'effetto dissolutorio deve ricondursi alla volontà del legislatore di regolare le singole fattispecie secondo i principi generali che regolano la materia. Viene quindi in rilievo il più volte citato art. 20, secondo cui, si ripete, “L'imposta è applicata secondo la intrinseca natura e gli effetti giuridici degli atti presentati alla registrazione, anche se non vi corrisponda il titolo o la forma apparente”. Ne consegue, secondo tale ricostruzione interpretativa, l'esclusione dell'applicazione di una supposta, necessitata specialità del diritto tributario e il rilievo esclusivo della disciplina civilistica (nella sentenza, interpretata nel senso di atto mutuo dissenso inteso quale “contrarius consensus”). Per lo meno, in mancanza di prova di una non genuinità dell'atto risolutorio in danno agli interessi erariali. |