Ancora sulla giurisdizione in materia di COSAP: i limiti all’efficacia retroattiva della declaratoria di incostituzionalità

La Redazione
31 Maggio 2016

Alle Sezioni Unite di nuovo la parola sulla giurisdizione in materia di COSAP, la cui natura di entrata patrimoniale e non tributaria è stata indirettamente sancita con la sentenza della Corte Costituzionale 64/2008. Nel ribadirne l'attribuzione al giudice ordinario, la Suprema Corte chiarisce le ipotesi in cui prescrizione e decadenza possono costituire limite all'efficacia retroattiva della declaratoria di incostituzionalità.

Con la sentenza n. 11134, depositata in data 30 maggio, le Sezioni Unite tornano ad affermare la sussunzione delle controversie in materia di COSAP alla giurisdizione del giudice ordinario.

La COSAP, infatti, come da giurisprudenza oramai costante, non ha natura tributaria e non si definisce pertanto come tassa, bensì come canone (Corte Cost. 64/2008).

Fin qui, nihil sub sole novum (cfr. Cass. civ., sez. un., 61/16; id. 21950/15; 7190/11) ... ma la Sezioni Unite approfittano del caso controverso per alcune precisazioni circa l'efficacia nel tempo della pronuncia della Corte Costituzionale che ha affermato la natura patrimoniale del canone, sancendo l'illegittimità dell'art. 2, c.2, II periodo, D.Lgs. 546/1992 nella parte in cui attribuiva al giudice tributario le controversie in materia.

Nel caso di specie – infatti – la CTR aveva dichiarato il proprio difetto di giurisdizione per sopravvenuto intervento della summenzionata sentenza; dall'altro lato però aveva sancito che siffatto difetto non fosse sufficiente a superare il fatto oggettivo della prescrizione del diritto del Comune a richiedere il pagamento del canone (il termine di prescrizione era scaduto già in epoca precedente alla notifica dell'avviso di liquidazione), di fatto pronunciandosi nel merito.

Orbene, con riguardo all'incidenza della dichiarazione di illegittimità costituzionale della norma dettante i criteri per la determinazione della giurisdizione, la Corte rammenta che “il principio sancito dall'art. 5 c.p.c., secondo cui i mutamenti di legge intervenuti nel corso del giudizio non assumono rilevanza ai fini della giurisdizione [...] si riferisce esclusivamente all'effetto abrogativo determinato dal sopravvenire di una nuova legge, e non anche all'effetto di annullamento dipendente dalle pronunce di incostituzionalità”. L'efficacia retroattiva dell'incostituzionalità dichiarata, infatti, “si arresta esclusivamente di fronte al giudicato o al decorso dei termini di prescrizione e decadenza” (Cass. civ., sez. un., 19495/08 e 3044/07).

Il limite connaturato al decorso dei termini di prescrizione va però inteso nel senso di “scadenze” definitivamente accertate, ipotesi comprese nel più generale limite dei rapporti esauriti al momento della pubblicazione della decisione (Cass. civ., sez. un., 3370/06).

Ne discende che un accertamento ancora non definitivo circa la prescrizione non legittima il giudice di appello a superare il difetto di giurisdizione sopravvenuto per effetto di declaratoria di incostituzionalità.

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