Famiglia

Gabriele Scuffi
01 Agosto 2015

Quando i coniugi maturano la decisione di voler addivenire alla separazione consensuale o al divorzio congiunto, una delle problematiche principali da affrontare riguarda la regolamentazione dei loro rapporti patrimoniali nell'ambito della crisi matrimoniale. I motivi che spingono i coniugi ad adottare tali accordi in sede di separazione o divorzio possono essere tanti, infatti, può esserci la necessità di regolare la proprietà delle somme di denaro depositate sul conto corrente (da uno o da entrambi i coniugi), come può esserci l'esigenza di regolare l'uso dei beni comuni o tacitare il mantenimento dell'altro coniuge con un unico trasferimento di denaro o di altri beni.Inoltre, i coniugi potrebbero avere l'esigenza di effettuare una vera e propria divisione del patrimonio coniugale che può comprendere sia beni mobili, sia beni immobili o anche quote di partecipazioni in società.È di fondamentale importanza comprende pertanto il regime fiscale a cui sono assoggettati tali atti di disposizione che rientrano nell'autonomia negoziale dei coniugi.
Inquadramento

Quando i coniugi maturano la decisione di voler addivenire alla separazione o al divorzio, una delle problematiche principali da affrontare riguarda la regolamentazione dei loro rapporti patrimoniali nell'ambito della crisi matrimoniale (proprietà della casa coniugale, pagamento delle rate del mutuo, regolamentazione dei beni immobili acquistati in regime di comunione legale durante la convivenza) e dunque del regime fiscale che ne consegue.

Tradizionalmente gli accordi “negoziali” in materia familiare, erano ritenuti del tutto estranei alla materia e alla logica contrattuale, affermandosi che si perseguiva un interesse della famiglia trascendente quello delle parti, e l'elemento patrimoniale, ancorché presente, era strettamente collegato e subordinato a quello personale. Oggi, si ammette sempre più frequentemente un'ampia autonomia negoziale, e la logica contrattuale, seppur con qualche cautela, là dove essa non contrasti con l'esigenza di protezione dei minori o comunque dei soggetti più deboli, si afferma con maggior convinzione.

Pertanto, nell'ambito delle condizioni che le parti pattuiscono in sede di separazione o di divorzio, sia consensuali o congiunti o originariamente giudiziali o contenziosi, possono ritenersi ammissibili trasferimenti patrimoniali in favore del coniuge o dei figli sia con efficacia direttamente traslativa sia con efficacia obbligatoria, anche in funzione solutoria dell'obbligo di mantenimento, purché finalizzati alla definizione della crisi coniugale e familiare la quale diviene, pertanto, la causa sottostante a detti accordi.

Oggetto di trasferimento e attribuzione tra i coniugi e anche ai figli possono essere tutti i beni suscettibili di valutazione economica, siano essi immobili (certamente i più frequenti nella prassi) ma anche mobili registrati, quote sociali, azioni o aziende, ma anche denaro o titoli.

Tali trasferimenti patrimoniali godono di uno speciale regime fiscale agevolato previsto espressamente dall'art. 19, Legge n. 74/1987, che testualmente recita:

“tutti gli atti, i documenti ed i provvedimenti relativi al procedimento di scioglimento del matrimonio o di cessazione degli effetti civili del matrimonio nonché ai procedimenti anche esecutivi e cautelari diretti ad ottenere la corresponsione o la revisione degli assegni di cui agli articoli 5 e 6 della legge 1º dicembre 1970, n. 898, sono esenti dall'imposta di bollo, di registro e da ogni altra tassa”.

In sostanza, detti trasferimenti non sono soggetti alle imposte e tasse previste per i trasferimenti immobiliari, ovvero l'imposta di registro, ipotecaria e catastale.

La ratio di tale trattamento tributario agevolato, stabilito dall'art. 19 della L. 6 marzo 1987 n. 74, va ravvisata nell'intenzione del legislatore di favorire le famiglie già indebolite dalla crisi coniugale, non sottoponendo quindi a tassazione i trasferimenti patrimoniali tra i coniugi compiuti nel difficile momento della separazione e del divorzio, trasferimenti che, inoltre, non sono ragionevolmente indice di capacità contributiva.

Va subito precisato che la norma, pur riferendosi esclusivamente al divorzio, si applica anche nel caso di separazione, in base alla sentenza della Corte Costituzionale del 10 maggio 1999, n. 154, che ha equiparato il trattamento fiscale degli atti relativi al divorzio a quelli relativi alla separazione evidenziando, inoltre, che il fine della norma è quello di agevolare l'accesso alla tutela giurisdizionale.

L'esenzione si estende a ogni tipo di “tassazione”, indipendentemente dalla natura di “imposta” o “tassa” in senso proprio del tributo concretamente in discussione.

La causa dei negozi patrimoniali attuati nell'ambito dei procedimenti di separazione e divorzio

Uno degli aspetti più spinosi e controversi di questa materia concerne l'individuazione della causa di tali fattispecie traslative, restando inteso che loro ammissibilità presuppone l'intervenuto accordo tra coniugi non potendo mai essere domandate al Giudice in una causa di separazione/divorzio giudiziale ove l'organo giudicante può limitarsi solo a disporre l'assegnazione della casa coniugale.

Le ragioni che possono spingere i coniugi ad adottare tali accordi possono essere le più disparate. Può esserci, infatti, necessità di regolare l'uso dei beni comuni, di tacitare il mantenimento dell'altro coniuge con un unico trasferimento di denaro o di altri beni o di effettuare una vera e propria divisione del patrimonio coniugale (acquisito durante il matrimonio), che può comprendere sia beni mobili, sia beni immobili o anche quote di partecipazioni in società.

Si tratta, ad ogni modo, di veri e propri contratti consensuali di natura economica - che trovano la propria causa nella necessità di risolvere la crisi coniugale - la cui efficacia è però, in caso di separazione, subordinata all'omologazione del Tribunale e, in caso di divorzio, al recepimento in sentenza previa verifica da parte dell'Ufficio giudiziario competente che gli stessi non siano in contrasto con gli interessi degli figli minori, ove presenti.

Orientamenti a confronto

Una parte della giurisprudenza tende a qualificare i trasferimenti patrimoniali pattuiti dai coniugi nell'ambito delle condizioni economiche della separazione e divorzio come veri e propri contratti atipici diretti a realizzare interessi meritevoli di tutela secondo l'ordinamento giuridico ai sensi dell'art. 1322 c.c. (cfr. Cass. civ., 23 marzo 2004 n. 5741; Cass. civ., 14 marzo 2006 n. 5473) Tribunale Firenze Sez. III Sent., 19/06/2018; Tribunale Varese Ord. 23/01/2010; Corte d'Appello Milano Decr., 12/01/2010).

Restano, invece, minoritarie le tesi di chi definisce tali trasferimenti come donazioni, dal momento che nel contesto separativo non è ravvisabile alcun spirito di liberalità o spontaneità (animus donandi) tra i coniugi – incompatibile per sua natura con il conflitto coniugale - e perché mancherebbero i requisiti solenni di forma previsti dalla legge, o transazioni in quanto il diritto di mantenimento che vanta la prole e, in taluni casi,anche il coniuge più debole economicamente, sono inderogabili e pertanto non transabili ai sensi dell'art. 1966 c.c.

In evidenza:

Corte App. Milano Decreto, 12/01/2010

In sede di separazione consensuale le parti possono raggiungere validamente accordi di natura patrimoniale, giungendo anche ad effettuare trasferimenti immobiliari, dovendosi riconoscere a tali accordi, rientranti nella categoria dei contratti atipici, meritevolezza di tutela (art. 1322 c.c.), poiché essi sono finalizzati a dare compiutezza al regolamento dei rapporti patrimoniali di persone, già legate da vincoli di comunione di vita, anche dopo la dissoluzione di questa e ad assicurare alle stesse maggiore serenità di rapporti personali. Queste intese sono pertanto omologabili ex art. 158 c.c..

Tribunale Varese Ord., 23/01/2010

L'accordo mediante il quale i coniugi, nel quadro della complessiva regolamentazione dei loro rapporti in sede di separazione consensuale, stabiliscano il trasferimento di beni immobili, dà vita ad un contratto atipico, il quale, volto a realizzare interessi meritevoli di tutela secondo l'ordinamento giuridico ai sensi dell'art. 1322 c.c., nonché caratterizzato da propri presupposti e finalità senza risultare necessariamente collegato alla presenza di uno specifico corrispettivo o di uno specifico riferimento ai tratti propri della donazione, risponde, di norma, ad un originario spirito di sistemazione, in occasione appunto dell'evento di "separazione consensuale", di tutta quell'ampia serie di rapporti aventi significati patrimoniali maturati nel corso della quotidiana convivenza matrimoniale.

Altra parte della giurisprudenza ritiene che gli accordi di separazione e divorzio in ambito patrimoniale abbiano una loro causa specifica, e precisamente una “causa familiare”, di norma onerosa, che trova il suo fondamento normativo negli artt. 711 c.p.c. e 4, comma 16 della legge sul divorzio.

Tali accordi possono, definirsi come “contratti della crisi coniugale” aventi come causa tipica quella di definire globalmente ed in modo non contenzioso i rapporti patrimoniali dei coniugi con soluzioni “solutorie-compensatorie” ampie e complessive.

La Corte di Cassazione con la sentenza del 14 marzo 2006 n. 5473 ha, infatti, qualificato i negozi traslativi di diritti attuati nell'ambito dei procedimenti di famiglia come negozi tipici rispondenti ad un più specifico e più proprio originario spirito di sistemazione dei propri rapporti”.

I giudici di legittimità hanno, inoltre, rilevato come “in tema di separazione personale dei coniugi, gli accordi che prevedono atti comportanti trasferimenti patrimoniali dall'uno all'altro coniuge o in favore dei figli, rientrano nell'ambito delle condizioni della separazione, di cui all'art. 711, comma 4°, c.p.c., in considerazione del carattere di negoziazione globale, che la coppia in crisi attribuisce al momento della liquidazione del rapporto coniugale, attribuendo a detti accordi la qualificazione di contratti tipici, denominati "contratti della crisi coniugale", destinati a definire in modo non contenzioso e risolutivo la crisi coniugale. (Cfr. Corte di Cassazione, Sez. trib., 03/02/2016, n. 2111).

Le attribuzioni patrimoniali tra i coniugi in occasione di separazione consensuale o divorzio congiunto, diventano, pertanto, strumenti di cui le parti si servono per regola le rispettive posizioni personali e giuridico-patrimoniali tra loro inevitabilmente connesse e legate.

Nella causa familiare vanno ricondotti anche i trasferimenti patrimoniali disposti in favore dei figli dal momento che l'obbligo di mantenimento della prole (ex artt. 30 Cost., art. 147 e 148 c.c.) può essere assolto dai coniugi non solo con una prestazione economica periodica (assegno) ma anche con un attribuzione definitiva di beni o con l'impegno ad effettuare detta attribuzione.

Si precisa,peraltro, che qualora la prole sia beneficiaria di detti trasferimenti, l'attribuzione patrimoniale deve essere sempre effettuata con separato atto e non in seno al verbale di separazione, essendo i figli beneficiari estranei al procedimento in quanto “terzi” rispetto alla separazione o divorzio.

Nel verbale ci si limiterà, quindi, a dare atto dell'impegno del coniuge ad effettuare l'attribuzione patrimoniale in favore del figlio secondo uno schema che la giurisprudenza attuale tende a ricondurre a quello del contratto a favore di terzo a contenuto obbligatorio ex art. 1411 e ss. c.c. Detto trasferimento verrà poi effettuato con atto notarile separato normalmente a seguito della conclusione della procedura di separazione o divorzio. (cfr. Cass. civ., 21 dicembre 1987, n. 9500).

I presupposti per poter beneficiare del regime fiscale agevolato in caso di trasferimenti patrimoniali nell'ambito della procedura di separazione o divorzio. Orientamenti a confronto

Oggetto di dibattito è stato anche il problema di capire se il regime di cui all'art. 19 citato deve essere circoscritto esclusivamente ai trasferimenti immobiliari dipendenti da separazione e divorzio o può riguardare qualsiasi trasferimento dei coniugi sganciato dai rapporti familiari in considerazione dell'esigenza avvertita dai coniugi di sistemare la reciproca situazione economica.

Una parte della giurisprudenza di legittimità si è orientata verso una lettura restrittiva, esigendo, ai fini dell'esenzione, un collegamento di tipo funzionale del trasferimento immobiliare con la separazione o il divorzio (così, ad esempio, Cass., 12 maggio 2000, n. 6065, Cass., 29 novembre 2001, n. 15213, Cass, Sez. 22 maggio 2002, n. 7493)

Vi è però stato anche un approccio più estensivo (Cass. 30 maggio 2005, n. 11458 e Cass., 28 giugno 2013, n. 16348) secondo cui l'art. 19 della l. n. 74/1987 ricomprende tutti gli atti relativi ai procedimenti di separazione o divorzio strumentali all'adempimento, da parte dei coniugi, delle obbligazioni assunte per conferire un nuovo assetto ai loro interessi economici, anche quelli i cui effetti siano favorevoli ai figli. In tali pronunce non vi è un'esplicita allusione al necessario collegamento funzionale tra il trasferimento immobiliare ed il contenuto di separazione o divorzio, facendosi riferimento, in modo più generico, alla volontà dei coniugi di conferire un nuovo assetto ai loro interessi economici, che possono essere estranei rispetto ai rapporti familiari veri e propri.


Oggi la giurisprudenza ha riconosciuto che l'esenzione dall'imposta di bollo, di registro e da qualsiasi altro tributo, prevista dall'art. 19 della l. 6 marzo 1987 n.74, si applica a tutti i trasferimenti eseguiti o programmati dai coniugi in sede di separazione o divorzio, anche a quelli che non sono strumentali all'adempimento degli obblighi di mantenimento, alla regolamentazione dell'affidamento dei minori e al godimento della casa familiare, atteso che, comunque, si tratta di accordi diretti alla sistemazione transattiva globale e definitiva della crisi coniugale.

In evidenza: cfr. Cass. Civ. Sez. Tributaria del 3.2.2016 n. 2111

“ Deve riconoscersi carattere di negoziazione globale a tutti gli accordi di separazione che, anche attraverso la previsione di trasferimenti mobiliari o immobiliari, siano volti a definire in modo tendenzialmente stabile la crisi coniugale, destinata a sfociare, di lì a breve, nella cessazione degli effetti civili del matrimonio concordatario o nello scioglimento del matrimonio civile, cioè in un divorzio non solo prefigurato, ma voluto dalle parti, in presenza delle necessarie condizioni di legge. Non si può quindi negare - quale che sia la forma che i negozi concretamente vengano ad assumere - che detti negozi siano da intendersi quali atti relativi al procedimento di separazione o divorzio, che, come tali, possono usufruire delle relative agevolazioni previste dall'art. 19 della legge n. 74/1987, salvo che l'Amministrazione finanziaria contesti e provi, secondo l'onere probatorio a suo carico, la finalità elusiva degli atti medesimi.”

Secondo i Giudici di legittimità l'esenzione di cui all'art. 19, legge 74/1987, compete dunque a tutti gli accordi di separazione che rientrino nel concetto di “negoziazione globale” e che cioè, anche attraverso la previsione di trasferimenti mobiliari o immobiliari, siano volti a definire in modo tendenzialmente stabile la crisi coniugale, destinata a sfociare, di lì a breve, nella cessazione degli effetti civili del matrimonio concordatario o nello scioglimento del matrimonio civile

Il Ministero delle Finanze, nella circolare 16 marzo 2000, n. 49, ha chiarito che il trattamento di favore (esenzione) previsto dall'art. 19 l. 6 marzo 1987 n. 74 trova applicazione anche agli atti posti in essere dai coniugi in esecuzione degli accordi assunti in sede di separazione o divorzio, purché tali accordi risultino formalizzati nel provvedimento di separazione o di divorzio e a esso connessi.

In conclusione, nel nuovo contesto normativo, a tutti gli atti posti in essere dalla coppia per gestire la crisi coniugale (grazie all'elemento del consenso che riesce a evitare l'intervento del giudice) deve riconoscersi il carattere di “negoziazione globale”. A prescindere dal tipo e contenuto dell'accordo (di separazione o “in occasione di separazione”), è necessario che questo sia volto, anche attraverso la previsione di trasferimenti mobiliari o immobiliari, a definire in modo tendenzialmente stabile la crisi coniugale.

Si sottolinea, inoltre, che l'Agenzia delle Entrate può procedere all'intimazione delle imposte dovute (per esempio imposta di registro) se dimostra che l'accordo tra i coniugi ha in realtà finalità elusive. Si tratta, per esempio, dell'ipotesi in cui un coniuge cede all'altro un immobile, nell'ambito di una separazione consensuale simulata, al solo fine di non pagare le imposte.

La natura giuridica degli accordi patrimoniali attuati nell'ambito dei procedimenti di separazione e divorzio

Resta ora da verificare se nella predisposizione di clausole che si prefiggano di trasferire tra i coniugi o in favore di figli diritti reali su beni immobili le parti possano ricorrere alla tecnica reale piuttosto che a quella obbligatoria risparmiando così spesso non indifferenti costi notarili.

Ora se consideriamo infatti i trasferimenti patrimoniali di natura immobiliare pattuiti in sede di separazione consensuale o divorzio congiunto come negozi giuridici ad efficacia reale, non vi è alcun bisogno per le parti di rivolgersi successivamente al notaio per perfezionarli dal momento che verbale di omologa che li recepisce o la sentenza diventa atto pubblico ai sensi di cui all'art. 2699 c.c., e dunque titolo idoneo per la trascrizione del negozio traslativo, in forza dell'art. 2657 c.c..

Viceversa se le pattuizioni traslative di diritti reali immobiliari nell'ambito di procedimenti in materia di famiglia vengono strutturate come impegno a trasferire e quindi come contratto preliminare, i coniugi dovranno a chiusura del procedimento affidarsi inevitabilmente ad uno studio notarile per dare concreta attuazione alle intese raggiunte.

In evidenza

Alcuni tribunali ammettono, gli accordi patrimoniali fra i coniugi direttamente traslativi contenuti nel ricorso che va a far parte del verbale presidenziale e quindi del decreto di omologazione del tribunale o inseriti nelle sentenze stesse.

Altri Tribunali, invece, consentono soltanto accordi fra i coniugi di natura obbligatoria, la cui attuazione si demanda al Notaio.

Orientamenti a confronto

Circa la efficacia da attribuire a queste clausole parte della giurisprudenza ammette la efficacia reale ai trasferimenti disposti in sede di separazione consensuale o divorzio congiunto, ritenendo il ricorso (o verbale) omologato dal giudice e la sentenza atti pubblici ai sensi di cui all'art. 2699 c.c., e dunque titoli idonei per la trascrizione del negozio traslativo.

In evidenza:

Cass. civ. Sez. I, 15 maggio 1997, n. 4306

Sono pienamente valide le clausole dell'accordo di separazione che riconoscano ad uno o ad entrambi i coniugi la proprietà esclusiva di beni mobili o immobili, ovvero ne operino il trasferimento a favore di uno di essi al fine di assicurarne il mantenimento. Il suddetto accordo di separazione, in quanto inserito nel verbale d'udienza (redatto da un ausiliario del giudice e destinato a far fede di ciò che in esso è attestato), assume forma di atto pubblico ai sensi e per gli effetti dell'art. 2699 c.c., e, ove implichi il trasferimento di diritti reali immobiliari, costituisce, dopo l'omologazione che lo rende efficace, titolo per la trascrizione a norma dell'art. 2657 c.c., senza che la validità di trasferimenti siffatti sia esclusa dal fatto che i relativi beni ricadono nella comunione legale tra coniugi.

Corte d'Appello di Milano, sez. persone, minori e famiglia, decreto 12 gennaio 2010.

Va affermata la natura di atto pubblico (art. 2699 c.c.) del verbale di separazione consensuale con riferimento agli accordi di trasferimenti immobiliari che in tali verbali siano contenuti, dal momento che il relativo verbale è redatto dal cancelliere con compimento di attività certificativa quale pubblico ufficiale, sicché esso costituisce atto pubblico direttamente trascrivibile (art. 2657 c.c.), dopo l'omologa che lo rende efficace. (Nella specie la Corte d'appello, dopo aver enunciato il principio di cui sopra, ha peraltro riconosciuto la possibilità per le parti di prevedere espressamente che il trasferimento sortisca efficacia immediata, anche prima dell'omologazione).

Per contro la tecnica obbligatoria (c.d. soluzione BIFASICA), a differenza di quella reale, benché più sconveniente sotto il profilo economico - dal momento che i coniugi, ottenuta l'omologa o la sentenza di divorzio, dovranno sopportare i costi notarli per dare attuazione alle intese raggiunte (pur beneficiando delle esenzioni fiscali previste per legge ) rappresenta una procedura più sicura dal momento che offre maggiori garanzie alle parti che con il rogito notarile potranno sanare eventuali carenze che avrebbero potuto determinare la nullità dell'atto di trasferimento.

Così il Tribunale di Milano che dal 2009 circa, con inversione di tendenza (Trib. Milano, decreto 16.12.2009, Presidente Servetti), ha ritenuto che i trasferimenti immobiliari ad efficacia reale pattuiti dai coniugi nell'ambito della regolamentazione economica della crisi matrimoniale non potessero più essere omologati sulla scorta della disposizione contenuta nell'art. 29 comma 1 bis Legge 27 febbraio 1985 n. 52 (come introdotto dalla legge 30 luglio 2010 n. 122 di conversione del decreto legge 31 maggio 2010 n. 78, Legge 30 luglio 2010, n. 122) che individua una serie di adempimenti prodromici al trasferimento di diritti reali sugli immobili di competenza esclusiva del Notaio che roga l'atto.

In evidenza: Tribunale di Milano, sez. IX, 21 maggio 2013.

Le parti, per effetto della loro autonomia contrattuale e della conseguente interpretazione dell'art. 711 c.p.c. e dell'art. 4, comma 16 della legge div., possono sì integrare le clausole consuete di separazione e di divorzio (figli, assegni, casa coniugale) con clausole che si prefiggono di trasferire tra i coniugi o in favore di figli diritti reali immobiliari o di costituire iura in re aliena su immobili: tuttavia, debbono ricorrere alla tecnica obbligatoria, con impegno contrattuale avente carattere di vincolo prenegoziale, e non a quella reale, pena la possibile vanificazione dello strumento di tutela prescelto. Tale tecnica obbligatoria,peraltro, consente pacificamente l'applicazione dell'art. 2932 c.c. e, quindi, di porre rimedio ad eventuali inadempimenti successivi alla pattuizione.

Anche altri Tribunali (come Torino, Bologna, Verbania, Mondovì, Ivrea) hanno seguito l'impostazione offerta dai Giudici Milanesi prediligendo l'accordo ad effetti meramente obbligatori che richiede il successivo intervento notarile per porre in essere un atto traslativo trascrivibile e quindi opponibile anche ai terzi.

Ulteriori sedi giudiziarie (cfr. Trib. Bergamo 19 ottobre 1984; Trib. Firenze 7 febbraio 1992; Trib. Napoli 16 aprile 1997; Trib. Verbania 6 luglio 2002; Trib. Monza 14 ottobre 2008; Trib. Milano 16 dicembre 2009) parimenti negano la produzione di effetti reali alle attribuzioni immobiliari reciproche, conferendo alle clausole in oggetto una efficacia meramente obbligatoria (alla stregua di un preliminare), e rimandando la definizione dei trasferimenti ad un momento successivo, innanzi ad un notaio.

Va comunque segnalato che la tecnica obbligatoria rimane prescelta dal legislatore laddove i coniugi si avvalgano della facoltà di concludere l'accordo di separazione personale o i di scioglimento/cessazione degli effetti civili del matrimonio avanti all'ufficiale di stato civilecome oggi consente a determinate condizioni l'art. 12 D.L. 132/2014 convertito nella L. 10 novembre 2014 n. 162.

Il comma 3, del citato articolo vieta espressamente infatti, in tal caso, che l'accordo possa contenere “patti di trasferimento patrimoniale” produttivi di effetti traslativi di diritti reali pur non rientrando, in siffatto divieto, la previsione di un obbligo di pagamento di una somma di denaro a titolo di assegno periodico, quale l'assegno di mantenimento o l'assegno divorzile perché si tratta di pattuizioni prive di effetti traslativi di bene determinati preclusi dalla norma (Agenzia delle Entrate, Circolare 24 aprile 2015, n. 6/E).

Si segnala, da ultimo, che i magistrati della Sezione Famiglia del Tribunale di Genova, all'esito di alcune riunioni tenutesi ai sensi dell'art. 47-quater dell'Ordinamento hanno predisposto un documento (Trib. Genova, sez. V, verbale 21 dicembre 2017) hanno ritenuto che i trasferimenti patrimoniali a efficacia reale tra coniugi in sede di separazione e/o divorzio debbano essere preclusi in ragione delle seguenti considerazioni:

  • non vi è la possibilità di individuare un soggetto che sia tenuto ad effettuare i controlli che, negli atti inter vivos, sono eseguiti dal notaio (art. 29, comma 1-bis, l. n. 52/1985);
  • il provvedimento giurisdizionale avente ad oggetto il trasferimento del diritto reale non può essere equiparato all'atto pubblico redatto da un notaio ai sensi della legge notarile;
  • potrebbero configurarsi elusioni al regime fiscale a causa della differente tassazione degli atti pubblici rispetto agli importi dovuti a titolo di contributo unificato;
  • la violazione dell'art. 6 TU imposte ipotecarie e catastali, norma fiscale che determina l'obbligo del Cancelliere di curare la trascrizione, comporta una sanzione pecuniaria e non la responsabilità prevista dall'art. 2671 c.c.;
  • il magistrato che sottoscrive il verbale avente ad oggetto un trasferimento immobiliare tra coniugi non è pubblico ufficiale con poteri certificativi e/o roganti: non può accertare l'identità delle parti, la relativa legittimazione a disporre, non può adeguare le dichiarazioni dei coniugi alla normativa vigente né accertare l'effettiva titolarità del bene o la sua libertà da vincoli, ipoteche, oneri o trascrizioni pregiudizievoli ovvero la sua conformità catastale;
  • in caso di trasferimenti immobiliari in favore dei figli si porrebbe il problema della legittimità di un loro eventuale intervento nei giudizi di separazione e/o divorzio tra i rispettivi genitori;
  • il magistrato che sottoscrive il verbale avente ad oggetto il trasferimento immobiliare non può effettuare il controllo di legalità, diversamente da quanto espressamente stabilito per il notaio ex art. 28 l. notarile.

Il protocollo per i trasferimenti immobiliari in sede di separazione e divorzio

In quelle sedi giudiziarie (come Ravenna, Venezia, Cuneo, Pinerolo, Crotone, Biella, Vercelli, Perugia, Aosta) dove invece tuttora si ammette la convenzione traslativa diretta di diritti reali immobiliari tra coniugi in seno all'accordo di separazione consensuale od al divorzio congiunto, talora sono emersi problemi legati alla trascrizione in Conservatoria sia del verbale di separazione omologato sia della sentenza di divorzio che tali pattuizioni contengono.

Per facilitare i legali nella stesura di tali accordi, i Tribunali, in sinergia con i Consigli dell'Ordine degli Avvocati, hanno

così

adottato dei veri e propri protocolli volti a consentire nelle procedure di separazione e divorzio che i suddetti trasferimenti vengano inseriti nel ricorso introduttivo con modalità conformi e idonee per la successiva trascrizione del provvedimento (omologa o sentenza) presso l'Agenzia del Territorio.

Allo scopo di consentire la regolare esecuzione degli atti di trasferimento immobiliare tra coniugi le parti, dunque, dovranno attenersi a questi protocolli (di regola esposti nelle cancellerie), pena il rischio di eventuale rinvio dell'udienza.

In evidenza

Le parti, qualora non intendano vincolarsi ad un mero obbligo di trasferimento con compimento di successivo atto notarile, debbono inserire nelle convenzioni quanto segue:

  1. il codice fiscale e la residenza anagrafica di ciascuna parte ;
  2. la chiara ed inequivoca manifestazione di volontà ex art. 1376 c.c. di procedere al trasferimento e conseguentemente all'accettazione;
  3. i dati dell'atto di provenienza dell'immobile, con la specificazione del notaio, della data dell'atto e degli estremi di registrazione;
  4. la corretta identificazione dell'immobile con la specificazione di tutti i dati catastali aggiornati e l'indicazione di almeno tre confini;
  5. la specificazione se l'immobile sia gravato o meno da ipoteca;
  6. l'eventuale rinuncia all'iscrizione di ipoteca legale;
  7. la menzione della concessione edilizia o del permesso di costruire, ovvero di concessione in sanatoria o in base ad altro titolo abilitativo;
  8. il riferimento alle planimetrie depositate in catasto e la dichiarazione, resa dagli intestatari, della conformità allo stato di fatto dei dati catastali e delle planimetrie (art. 19 comma 14 D.L. 31 maggio 2010, n. 78);
  9. la menzione del rilascio dell'attestato di certificazione energetica ove necessario in conformità alla legislazione regionale del luogo di ubicazione dell'immobile e del certificato di destinazione urbanistica;
  10. la dichiarazione di esonero dei magistrati del Tribunale, del Cancelliere e del Conservatore da ogni responsabilità.
  11. l'ammonizione delle responsabilità penali che le parti vengono ad assumere in caso di dichiarazioni false o mendaci a sensi degli artt. 47, 48 e 76 del d.P.R. n. 445/2000.

Ad integrazione delle determinazioni di cui sopra, all'istanza dovrà essere inoltre allegato certificato notarile attestante le risultanze delle visure catastali e dei registri immobiliari.

Gli atti oggetto di esenzione. casistica.

I trasferimenti patrimoniali attuati nell'ambito dei procedimenti di separazione e divorzio godono, come detto, di uno speciale regime fiscale agevolato previsto espressamente dall'art. 19 della Legge n. 74/1987.


La norma di legge, pur testualmente riferendosi al divorzio, alla luce della sentenza della Corte Costituzionale 10 maggio 1999, n. 154 trova applicazione anche nel caso di separazione, oggetto di esenzione dovendo considerarsi la totalità dei tributi afferenti gli atti, i documenti e i provvedimenti relativi alle diverse fasi della crisi del matrimonio.

In evidenza: Corte Costituzionale 10 maggio 1999, n. 154

se l'agevolazione è stata predisposta per garantire una tutela economico-patrimoniale alla famiglia nel momento in cui si scioglie definitivamente, appare maggiormente doveroso estendere l'esenzione al procedimento di separazione, a seguito del quale il rapporto di coniugo si attenua ma non cessa del tutto”

Trasferimenti immobiliari in favore dei figli

Il regime di esenzione previsto dall'art. 19 L. n. 74/1987 si applica anche ai trasferimenti di immobili in favore dei figli eseguiti nell'ambito dei procedimenti di separazione e divorzio, in quanto gli accordi a favore dei figli, stipulati dai coniugi nella gestione della crisi matrimoniale, oltre a garantire la tutela obbligatoria nei confronti della prole, costituiscono, talvolta, l'unica soluzione per dirimere controversie di carattere patrimoniale.

Ricordiamo che, in un primo momento, l'Agenzia delle Entrate (circolare n. 151/E del 19.10.2005) escludeva l'esenzione fiscale, ritenendo che l'atto con il quale uno o entrambi i coniugi trasferiscono ai figli diritti reali su un immobile nell'ambito di una procedura di separazione o divorzio non trovasse causa giuridica nella sistemazione dei rapporti patrimoniali tra i coniugi al momento della crisi del matrimonio, bensì in un atto di liberalità nei confronti di un soggetto terzo. Secondo tale orientamento, tali pattuizioni, infatti, non sarebbero strettamente e funzionalmente collegate con lo scioglimento del matrimonio e la separazione, come previsto dall'art. 19 della legge 74/1987, e pertanto non potrebbe trovare applicazione il relativo beneficio fiscale.


Sul punto, la giurisprudenza è stata però sempre di parere opposto, sostenendo che le agevolazioni fiscali previste dall'articolo 19 siano applicabili anche ai trasferimenti operati al momento della separazione o divorzio in favore dei figli, in quanto comunque finalizzati alla sistemazione degli interessi familiari.

In evidenza:

Corte Costituzionale 11 giugno 2003 n. 202, “Il regime di esenzione per gli atti giudiziari nelle procedure di divorzio e separazione deve essere esteso a tutti i provvedimenti giudiziari emessi in applicazione dell'articolo 148 del codice civile, nell'ambito dei rapporti tra genitori e figli”.

Corte di Cassazione, 2 marzo 2005 n. 11458, secondo cui “sono esenti ex art. 19 L. 75/1987 da ogni imposta (registro, trascrizione, catasto, bollo) gli atti di trasferimento di beni immobili in favore della prole effettuati in adempimento di obbligazioni assunte in sede di separazione personale senza la previsione di alcun corrispettivo”.

L'Agenzia delle Entrate, a seguito di tali pronunce, successivamente, con la Circolare 21 giugno 2012, n. 27/E, ha riconosciuto, invece, l'applicabilità dell'agevolazione fiscale anche al trasferimento di immobili in favore dei figli, che risulta oggi molto frequente nella prassi, e non solo agli accordi patrimoniali tra coniugi.

Il motivo principe che sorregge tale interpretazione si fonda su due principi:

a) la tutela dei figli nei procedimenti di separazione;

b) la convinzione che spesso il trasferimento dei beni alla prole costituisca l'unica soluzione per placare le controversie coniugali e giungere a un accordo.

L'Agenzia delle Entrate ha precisato, però, che per usufruire di tale regime il documento contenente l'accordo tra i coniugi, debitamente omologato dal Tribunale, deve affermare in modo esplicito che la traslazione della proprietà dei beni a favore della prole costituisce condizione indispensabile per sedare le controversie patrimoniali tra i consorti.

Ove ciò non dovesse accadere, e quindi all'interno del verbale di separazione consensuale omologato non dovesse comparire la dicitura indicata nella circolare dell'Agenzia delle Entrate, il Tribunale di Milano ha riconosciuto la possibilità di correggere l'accordo mediante la rettifica posta in essere dal Notaio, su richiesta delle parti, adito per i trasferimenti, facendo riferimento all'art. 59-bis del D.Lgs. 2 luglio 2010 n. 110, che prevede la facoltà del notaio “… di rettificare, fatti salvi i diritti di terzi, un atto pubblico o una scrittura provata autenticata, contenente errori od omissioni materiali relativi a dati preesistenti alla sua redazione, provvedendovi, anche ai fini dell'esecuzione della pubblicità, mediante propria certificazione contenuta in atto pubblico da lui formato”.

I coniugi, quindi, possono beneficiare dell'esenzione solo se nel testo dell'accordo omologato dal Tribunale, in caso di separazione, o recepito in sentenza, in caso di divorzio, la disposizione patrimoniale sia elemento funzionale e indispensabile ai fini della risoluzione della crisi coniugale.

Ove ciò non dovesse accadere, e quindi all'interno del verbale di separazione consensuale omologato non dovesse comparire la dicitura indicata nella circolare dell'Agenzia delle Entrate, il Tribunale di Milano (Trib. Milano, Sez. IX, decreti del 7 maggio 2013 e del 7 aprile 2015) ha riconosciuto la possibilità di correggere l'accordo mediante la rettifica posta in essere dal Notaio, su richiesta delle parti, adito per i trasferimenti, facendo riferimento all'art. 59-bis del D. Lgs. 2 luglio 2010 n. 110, che prevede la facoltà del notaio “… di rettificare, fatti salvi i diritti di terzi, un atto pubblico o una scrittura provata autenticata, contenente errori od omissioni materiali relativi a dati preesistenti alla sua redazione, provvedendovi, anche ai fini dell'esecuzione della pubblicità, mediante propria certificazione contenuta in atto pubblico da lui formato”.

Il Tribunale di Milano richiama, altresì, la Dottrina di matrice notarile, che afferma che “la rettifica notarile è esperibile con riferimento agli atti pubblici negoziali formati nel corso di un procedimento civile” e, in particolare, con riferimento “ai verbali che documentano accordi dei coniugi in sede di separazione consensuale o divorzio; si tratta di “atti pubblici” che trovano la loro causale collocazione all'interno del processo ed essi sono sicuramente riferibili alla lettera e alla ratio dell'art. 59-bis l. not.”.

Sempre secondo il Tribunale di Milano, gli impegni presi dalle parti in sede di separazione a trasferire i propri beni immobili, a titolo oneroso o gratuito, confluiscono nella categoria dei vincoli prenegoziali e sono, pertanto, suscettibili di rettifica e modifica negli stessi termini in cui lo sono i contratti preliminari e, dunque, anche nella fase di sottoscrizione della stipula definitiva, senza che sia ostativa la divergenza rispetto al verbale del processo.

I trasferimenti patrimoniali pattuiti nell'ambito della negoziazione assistita

Si evidenzia che l'Agenzia delle Entrate, con la Risoluzione 16 luglio 2015, n. 65, ha precisato che il regime tributario di favore sopra illustrato trova applicazione anche ai trasferimenti immobiliari previsti negli accordi di separazione e divorzio conclusi a seguito di convenzione di negoziazione assistita, purché dall'atto emerga la sua connessione causale con la separazione o con il divorzio.

L'agevolazione “prima casa”. Immobile trasferito al coniuge separato.

La Nota II-bis all'art. 1 della Tariffa parte I allegata al d.P.R. n. 131/1986 in tema di agevolazione cd “prima casa”, dispone la decadenza dall'agevolazione goduta in relazione a un determinato acquisto immobiliare laddove, prima del decorso di 5 anni dalla data dell'atto, l'acquirente trasferisca l'immobile agevolato.

Tuttavia, la perdita del beneficio non opera qualora il contribuente - entro 1 anno dall'alienazione dell'immobile agevolato (posta in essere prima del decorso dei 5 anni) - procede all'acquisto di un altro immobile da adibire a propria abitazione principale.

Si è posto il problema di capire se la cessione infraquinquennale della “prima casa”, eseguita in adempimento di accordi di separazione e divorzio, determini o meno la perdita dei benefici fiscali.

La Corte di Cassazione, con una significativa recente pronuncia (Cass. Civ., n. 5156 del 16 marzo 2016), ha chiarito che il coniuge che, in virtù della separazione consensuale, trasferisce all'altro coniuge la sua quota della casa familiare conserva le agevolazioni fiscali sulla prima casa anche se non acquista un altro immobile.

Sul punto, la giurisprudenza non era unanime registrandosi orientamenti divergenti.

a) Alcuni più favorevoli al Fisco, che hanno stabilito che la cessione dell'immobile all'ex coniuge, a seguito di separazione consensuale, debba essere considerato un atto volontario e come tale assimilabile a un normale contratto di vendita: pertanto, qualora esso intervenga nei cinque anni successivi all'acquisto, senza che il cedente stesso abbia comprato, entro l'anno ulteriore, altro appartamento da adibire a propria abitazione principale, le agevolazioni fiscali “prima casa”, di cui egli abbia beneficiato per comprare quell'immobile, vanno revocate. Il che comporta il conseguente, legittimo recupero delle ordinarie imposte di registro, ipotecarie e catastali da parte dell'Agenzia delle Entrate (Cass. sent. n. 2263/2014).

b) Altri più favorevoli al contribuente, secondo cui l'attribuzione al coniuge della proprietà della casa coniugale, in adempimento di una condizione inserita nell'atto di separazione consensuale, non costituisce una vendita dell'immobile rilevante ai fini della decadenza dei benefici “prima casa”, bensì solo una modalità di utilizzo dello stesso per la migliore sistemazione dei rapporti tra i coniugi in vista della cessazione della loro convivenza.

In evidenza: Corte Suprema di Cassazione, Sezione Tributaria Civile, n. 5156 depositata il 16 marzo 2016

“… l'attribuzione al coniuge della proprietà della casa coniugale in adempimento di una condizione inserita nell'atto di separazione consensuale non costituisce una forma di alienazione dell'immobile rilevante ai fini della decadenza dai benefici cosiddetta “prima casa”, bensì una modalità di utilizzazione dello stesso per la migliore sistemazione dei rapporti fra i coniugi in vista della cessazione della loro convivenza. (Cass. n. 3753/2014; conformi: Circolari del 21.6.2012 n.27, §2.2, e del 21.2.2014 n.2,”.

La Corte di Cassazione, con la recente sentenza sopra richiamata, ha dunque sposato la tesi più favorevole al contribuente. Secondo i giudici di legittimità, il coniuge che ha trasferito l'immobile all'altro non può essere penalizzato con la perdita del beneficio fiscale quando non ha acquistato un'altra casa. La sanzione della decadenza, infatti, si riferisce esclusivamente a quelle operazioni speculative di cessione del bene non seguite dal riacquisto di altro immobile entro un anno. Pertanto, il contribuente che, in sede di separazione, trasferisca al coniuge la casa coniugale (la proprietà intera o anche solo una quota) prima del decorso di 5 anni dall'acquisto per il quale aveva usufruito delle agevolazioni fiscali in commento, non decade dai relativi benefici, atteso che l'immobile, acquistato per essere destinato a casa familiare, tale rimane. Tale conclusione appare in linea anche con la prassi dell'Agenzia delle Entrate che, nella C.M. 27/E del 21 giugno 2012, ha chiarito che il trasferimento al coniuge concretizza un atto relativo “al procedimento di scioglimento del matrimonio o di cessazione degli effetti civili del matrimonio”. La circolare precisa opportunamente che la decadenza dall'agevolazione è esclusa a prescindere dalla circostanza che il coniuge cedente provveda o meno all'acquisto di un nuovo immobile. Tale interpretazione trova, inoltre, conferma nella sentenza del 2 febbraio 2011, n. 8, con la quale la Commissione Tributaria Centrale di Vicenza - sez. V - ha ritenuto non applicabile il regime di decadenza previsto dal comma 4 della nota II bis all'art. 1 Tariffa, parte prima, allegata al d.P.R. n. 131/1986 nel caso di trasferimento dell'immobile all'altro coniuge al fine di dare esecuzione agli accordi presi in sede di separazione consensuale tra i coniugi, in quanto tale cessione costituisce atto emanato in stretta esecuzione del decreto giudiziale di omologazione della separazione tra i coniugi ed è sorretto solo dalla volontà di definire i rapporti patrimoniali in seguito alla risoluzione del rapporto matrimoniale.

La tassazione dell'assegno di mantenimento versato al coniuge. Lo specifico caso dell'una tantum divorzile corrisposta con pagamenti rateizzati.

L'art. 10, comma 1, lett. c) del T.U.I.R. (L. 22/12/1986 n. 917), testualmente, dispone:

«Dal reddito complessivo si deducono, se non sono deducibili nella determinazione dei singoli redditi che concorrono a formarlo, i seguenti oneri sostenuti dal contribuente: (….)

c) gli assegni periodici corrisposti al coniuge, ad esclusione di quelli destinati al mantenimento dei figli, in conseguenza di separazione legale ed effettiva, di scioglimento o annullamento del matrimonio o di cessazione dei suoi effetti civili, nella misura in cui risultano da provvedimenti dell'autorità giudiziaria» .

La corresponsione di un assegno di mantenimento tra due coniugi comporta per gli stessi due diverse conseguenze a livello fiscale, che è opportuno tenere in considerazione.

In particolare, la corresponsione dell'assegno di mantenimento comporta:

  • il coniuge che eroga l'assegno di mantenimento ha il diritto di poter dedurre dal proprio reddito imponibile Irpef l'importo corrisposto (articolo 10, comma 1, lettera c) del TUIR);
  • il coniuge che beneficia dell'assegno ha l'obbligo di indicare la somma riscossa quale componente di reddito riconducibile tra quelli assimilati a lavoro dipendente (articolo 50, lettera i) del TUIR).

Ai sensi dell'articolo 10, comma 1, lettera c, del d.P.R. n. 917/86, costituiscono oneri deducibili dal reddito del contribuente i versamenti periodici eseguiti in favore dell'ex coniuge, anche se residente all'estero, a seguito di separazione legale ed effettiva, di scioglimento o annullamento del matrimonio, o di cessazione dei suoi effetti civili, nella misura indicata nel provvedimento dell'autorità giudiziaria.

Non sono invece ammesse in deduzione le somme erogate per il mantenimento dei figli (Circolare n. 95/E/2000).

L'assegno di mantenimento è deducibile solo per la parte spettante al coniuge: tale quota, se non è diversamente esplicitato, si presume pari al 50% dell'importo totale (è il caso, non infrequente, in cui il mantenimento è rivolto anche agli eventuali figli).

L'assegno alimentare è, invece, deducibile per il suo intero importo (circolare 12 maggio 2000, n. 95/E).

Sono deducibili ai fini Irpef anche le somme versate a titolo di adeguamento Istat, a condizione che lo stesso sia indicato nella sentenza di separazione (Risoluzione n. 448/E/2008) ed anche le somme erogate a titolo di arretrati, anche se versate in unica soluzione.

Resta invece esclusa la possibilità di dedurre assegni corrisposti volontariamente dal coniuge al fine di sopperire alla mancata indicazione da parte del Tribunale di meccanismi di adeguamento dell'assegno di mantenimento.

Alcuni casi particolari risolti

Occorre porre l'attenzione su situazioni particolari legate all'erogazione dell'assegno di mantenimento al coniuge, risolte da parte dell'Agenzia delle Entrate.

a) Il coniuge residente all'estero;

Qualora l'ex coniuge sia residente all'estero è stata confermata da parte dell'Agenzia delle Entrate la deducibilità degli assegni di mantenimento periodici corrisposti al coniuge, anche se questi risulta residente all'estero, a seguito di separazione legale ed effettiva, di scioglimento od annullamento del matrimonio o di cessazione degli effetti civili dello stesso.

b) Pagamento delle spese di alloggio in favore del coniuge separato;

Nella Circolare n. 17/E/2015, l'Agenzia delle Entrate, richiamando la sentenza n. 13029/2013 della Corte di Cassazione, ha ammesso la deducibilità degli importi versati a titolo di spese per il canone di locazione e spese condominiali, replicando gli argomenti della Suprema Corte secondo la quale il contributo per la casa è “periodico, e corrisposto al coniuge stesso; inoltre è determinato dal giudice, sia pur per relationem a quanto risulta da elementi certi e conoscibili”;

c) Pagamento delle rate di mutuo relative all'abitazione già di proprietà comune.

In merito alla questione del pagamento delle rate di mutuo da parte di un coniuge in favore dell'altro in sostituzione dell'assegno di mantenimento, l'Agenzia delle Entrate, con la Circolare n. 50/E/2000, ha negato il beneficio, in quanto “le somme destinate alle rate di mutuo, che non vengono corrisposte al coniuge stesso, bensì direttamente all'istituto mutuante, non sembrano collegate ai medesimi presupposti dell'assegno di mantenimento”.

L'una tantum. Mancata tassazione anche in caso di versamento rateizzato.

Il meccanismo in precedenza descritto opera solo in presenza di un assegno periodico riconosciuto all'ex coniuge.

Non hanno natura reddituale, invece, gli assegni corrisposti in unica soluzione, i quali rappresentano sostanzialmente una transazione in ordine alle pregresse posizioni patrimoniali dei coniugi.

L'art. 5, comma 8, L. n. 898/1970 prevede, quale diversa forma di definizione dei rapporti economici tra gli ex coniugi, la possibilità per le parti di accordarsi sulla corresponsione di una liquidazione una tantum.

L'una tantum è un pagamento in un'unica soluzione che, se ritenuto equo dal Tribunale, definisce completamente, una volta per tutte, i rapporti economici tra gli ex coniugi. Tali rapporti, in questo modo, non potranno più essere modificati in futuro, neanche con una richiesta di revisione delle condizioni di divorzio.

Per dette attribuzioni, non è prevista alcuna tassazione per il beneficiario, né alcuna deduzione per il soggetto che le corrisponde.

La questione del diverso regime fiscale applicabile agli assegni corrisposti al coniuge, a seconda che abbiano carattere periodico o di una tantum, è stata più volte sottoposta al vaglio di legittimità costituzionale.

La Corte Costituzionale, con ordinanza 6 dicembre 2001 n. 383, e da ultimo con ordinanza 29 marzo 2007 n. 113, ha dichiarato manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 10 del TUIR, nella parte in cui non prevede la deducibilità dal reddito complessivo, ai fini dell'Irpef, dell'assegno corrisposto al coniuge in unica soluzione, questione alla quale risulta connessa la tassazione dell'assegno per il percipiente.

In particolare, la Corte Costituzionale, nell'ordinanza del 2001, ha affermato che le “due forme di adempimento, cioè quella periodica e quella una tantum, pur avendo entrambe la funzione di regolare i rapporti patrimoniali derivanti dallo scioglimento o dalla cessazione del vincolo matrimoniale, appaiono sotto vari profili diverse, e tali sono state considerate dal legislatore nella disciplina dettata in materia”.

Più precisamente, la Corte Costituzionale ha posto in evidenza come “l'importo da corrispondere in forma periodica viene stabilito in base alla situazione esistente al momento della pronuncia, con la conseguente possibilità di una … revisione, in aumento o in diminuzione; mentre al contrario quanto versato una tantum, che non corrisponde necessariamente alla capitalizzazione dell'assegno periodico, viene concordato liberamente dai coniugi nel suo ammontare e definisce una volta per tutte i loro rapporti per mezzo di una attribuzione patrimoniale, producendo l'effetto di rendere non più rivedibili le condizioni pattuite, le quali restano così fissate definitivamente”.

In ragione di quanto esposto sopra, la Corte ha rilevato come la scelta del legislatore di prevedere una diversa regolamentazione tributaria per l'assegno periodico rispetto a quella riservata all'erogazione una tantum non debba considerarsi per nulla irragionevole. Ciò in quanto la diversa disciplina prevista per l'erogazione in unica soluzione è diretta a escludere la possibilità che anche trasferimenti squisitamente patrimoniali siano dedotti dal reddito complessivo.

Indi per cui, quando l'assegno venga corrisposto in unica soluzione, non esiste alcuna implicazione fiscale: il pagatore non ha un onere deducibile, mentre il percettore non determina un reddito imponibile (cfr. anche Interpello n. 153/E del 11/6/2009 dell'Agenzia delle Entrate e Commissione Tributaria del Lazio sent. n. 528/01/12 del 19 novembre 2012).

Si è posto, poi, il problema di capire se la tassazione non operi anche quando l'attribuzione una tantum non venga data in un'unica soluzione, ma attraverso pagamenti rateizzati.

Molto spesso capita, infatti, che il contribuente proceda al pagamento rateale di quanto pattuito.

L'Agenzia delle Entrate, con la Risoluzione n. 153/2009, aveva già espresso il proprio parere negativo in merito alla deducibilità di assegni una tantum pagati ratealmente, sottolineando come la particolare connotazione giuridica che caratterizza la liquidazione una tantum permane anche nell'ipotesi in cui sia prevista la corresponsione di un importo complessivo, il cui versamento sia frazionato in un numero definito di rate.

In evidenza: Risoluzione n. 153/E dell'11 giugno 2009

La deduzione non spetta per l'assegno corrisposto al coniuge e qualificato dal provvedimento dell'autorità giudiziaria nella forma dell'una tantum, anche se il relativo pagamento avviene in maniera rateizzata. In tal caso, infatti, la rateizzazione del pagamento costituisce solo una diversa modalità di liquidazione dell'importo pattuito tra le parti, il quale mantiene comunque la caratteristica di dare risoluzione definitiva a ogni rapporto tra i coniugi e, quindi, non va confuso con la corresponsione periodica dell'assegno, il cui importo è invece rivedibile nel tempo”.

Anche la Corte di Cassazione si è espressa in maniera conforme, con sentenza 6 novembre 2006, n. 23659, stabilendo che la particolare connotazione giuridica che caratterizza la liquidazione una tantum si deve ritenere permanga anche nell'ipotesi in cui sia prevista la corresponsione di un importo complessivo, il cui versamento sia frazionato in un numero definito di rate.

Secondo i Giudici, la possibilità di rateizzare il pagamento costituisce, infatti, solo una diversa modalità di liquidazione dell'importo pattuito tra le parti, il quale mantiene comunque la caratteristica di dare risoluzione definitiva a ogni rapporto tra i coniugi e non va quindi confuso con la corresponsione periodica dell'assegno, il cui importo è invece rivedibile nel tempo.

Ne consegue che, nel caso in esame, qualora ricorra la predetta condizione, il coniuge erogante non potrà beneficiare della deduzione dal reddito imponibile di cui all'art. 10, comma 1, lett. c), del TUIR.

Sul tema è poi intervenuta nuovamente la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 9336 dell'8 maggio 2015, che ha avuto il pregio di ribadire con chiarezza i due assunti fondamentali della questione:

1) non deducibilità, per il pagatore, dell'assegno erogato all'ex coniuge in unica soluzione o attraverso pagamenti rateizzati;

2) non tassabilità del medesimo importo per il coniuge percettore.

I tributi e gli atti interessati dall'esenzione fiscale

Gli atti, i documenti e i provvedimenti relativi ai procedimenti di separazione o divorzio, sono esenti da qualunque imposizione fiscale che in astratto gravi o che in futuro possa gravare sugli stessi, quali che ne siano natura e classificazione.

Oltre alle tasse e alle imposte indirette vengono, quindi, in considerazione anche le imposte dirette se afferenti agli atti e documenti che, nascendo dalla crisi del matrimonio, tendono a dare nuova sistemazione agli interessi patrimoniali dei coniugi nelle diverse fasi della crisi stessa.

In particolare rientrano nel trattamento fiscale agevolato oltre alle tasse e alle imposte di bollo e di registro, le imposte ipotecarie e catastali ,l'imposta sul valore aggiunto e ogni imposta diretta che abbia attinenza agli atti, documenti e provvedimenti connessi ai procedimenti previsti dalla norma. Come si è detto l'esenzione prevista dall'art. 19 della L. 74/1987 comprende tutti gli atti giudiziali, i documenti e i provvedimenti connessi al momento procedurale del divorzio o della separazione consensuale e giudiziale.

Risultano, quindi, esenti da imposizione fiscale, ad esempio, le procedure di radicamento , di svolgimento e di conclusione dei procedimenti, le certificazioni anagrafiche, i provvedimenti del Giudice provvisori e definitivi come l'assegnazione del diritto di abitazione nella casa famigliare al coniuge affidatario dei figli e gli altri provvedimenti di cui all'art. 155 c.c. anche relativi alle condizioni stabilite in sede di separazione nonché le garanzie e gli strumenti di tutela di cui all'art. 156 c.c.

La presenza nella norma del termine “atti” accanto a “provvedimenti” manifesta la volontà del legislatore di permettere l'accesso al trattamento di favore anche ai contratti che comportino disposizione di diritti reali stipulati dai coniugi nell'esercizio della loro autonomia negoziale.

Non essendoci limitazioni circa l'oggetto della costituzione di diritti reali di godimento e dei trasferimenti, né circa i soggetti a favore dei quali siano posti in essere, rientrerà nell'ambito dell'esenzione ogni atto avente contenuto patrimoniale stipulato fra i coniugi ovvero fra costoro (o uno di essi) ed i figli o terzi a condizione che la loro causa giuridica sia “connessa” alle separazione o divorzio.

Riferimenti

Riferimenti normativi:

Art. 10, 14 marzo 2011, n. 23

Art. 19 Legge 6 marzo 1987 n. 74

Prassi:

Agenzia delle Entrate, Crcolare 21 febbraio 2014, n. 2/E

Agenzia delle Entrate, Circolare 21 giugno 2012, n. 27/E

Giurisprudenza:

Cass. civ., Sez. V, 03 febbraio 2014, n. 2263

Tribunale di Milano, Sez. IX civile, Decreto 21 giugno 2013

Cass. civ., sez. trib., 30 maggio 2005, n. 11458

Corte Costituzionale, 11 giugno 2003, n. 202

Corte Costituzionale, 10 maggio 1999, n. 154

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