Conduttore (obblighi)

Giorgio Grasselli
03 Ottobre 2017

Gli obblighi del conduttore sono speculari rispetto ai suoi diritti, e rappresentano i limiti e le norme che egli è tenuto a rispettare nell'esercizio degli stessi. Il prendere in consegna, che costituisce l'elemento essenziale per aversi una locazione, trova nel dovere di custodia il suo rovescio, e la diligenza che il conduttore deve osservare nell'uso della cosa locata, altro non è che il criterio cui il conduttore deve conformarsi, allorché esercita ciò che, in altre parole, si definisce un suo diritto, ovvero il godimento della cosa locata.
Il quadro normativo

Per l'art. 1587 c.c., le obbligazioni principali del conduttore sono due:

a) «prendere in consegna la cosa locata e osservare la diligenza del buon padre di famiglia nel servirsene per l'uso determinato nel contratto o per l'uso che può altrimenti presumersi dalle circostanze»;

b) dare il corrispettivo nei termini convenuti.

È opinione condivisa che tra le obbligazioni principali del conduttore, sia compresa anche quella prevista dall'art. 1590 c.c. di restituire la cosa locata al termine del contratto nelle medesime condizioni in cui la ha ricevuta, salvo il deterioramento dovuto a vetustà o all'uso normale.

Si è osservato in dottrina che il prendere in consegna la cosa locata, non costituisce una obbligazione in senso tecnico, e che, all'opposto, la seconda parte del n. 1) dell'art. 1587 contiene la enunciazione di due effettive obbligazioni principali (rectius essenziali) del conduttore: «quella di osservare la diligenza nell'uso della cosa e quella (negativa) di non oltrepassare nel godimento di essa il limite della destinazione contrattuale» (Tabet).

Altra obbligazione del conduttore, sia pure eventuale, è quella di eseguire le riparazioni di piccola manutenzione che sono a suo carico (art. 1609 c.c.).

L'obbligo di prendere in consegna

É controverso se il rifiuto di prendere in consegna la cosa locata possa costituire di per sé un inadempimento, qualora, ad esempio, sia accompagnato dal pagamento del corrispettivo convenuto. Il disposto dell'art. 1587, n. 1), c.c. anche se non prevede alcuna sanzione per il caso della sua inosservanza, non lascia dubbi in proposito: prendere in consegna la cosa locata è un obbligo correlato a quello del locatore di consegnare. Di conseguenza, sono applicabili le norme in tema di mora del creditore e in caso di inadempimento si dovrà ricorrere all'intimazione di cui all'art. 1216 c.c.

Questo specifico obbligo è compatibile con quello che fa carico al conduttore per tutta la sua durata, ovverosia di custodire e conservare la cosa locata, per poi restituirla al termine del periodo locativo, sicché in realtà la presa in consegna della cosa, secondo la dottrina, costituisce per il conduttore soltanto un onere (Tabet).

La presa in consegna è quindi un atto strumentale alle successive obbligazioni di custodire ed usare con diligenza l'immobile locato in conformità della sua destinazione contrattuale. Ne consegue che, venendo meno la consegna, e quindi non attuandosi la materiale detenzione della cosa, vengono meno anche le ulteriori obbligazioni del conduttore, in quanto, nella struttura della locazione, il dovere di custodia non ha carattere di prestazione corrispettiva.

L'obbligo di custodia

Connesso all'obbligo di prendere in consegna la cosa locata, è il dovere del conduttore di custodirla per tutta la durata del contratto, dovere che, se pure non si trova nominato in alcuna specifica disposizione, è comunque richiamato implicitamente in via generale dall'art. 1177 c.c., in forza del quale «l'obbligazione di consegnare una cosa determinata include quella di custodirla fino alla consegna».

Il concetto di custodia necessita, tuttavia, di essere precisato nella sua essenza. In effetti, secondo parte della dottrina, si ritiene che il conduttore non sia tenuto ad una prestazione di custodia in senso tecnico, restando tale obbligazione circoscritta alla responsabilità che gli incombe per la perdita ed il deterioramento (art. 1588, comma 2, c.c.) tranne che siano dovuti a vetustà (art. 1590, comma 3, c.c.).

La custodia si pone come lo strumento perché la cosa venga restituita nello stato in cui è stata ricevuta (salvo il deterioramento, risultante dall'uso o dovuto a vetustà), ma non è requisito indispensabile, in quanto ciò che conta e interessa al locatore è che l'obbligazione finale di restituzione venga esattamente adempiuta, indipendentemente dal mezzo usato dal conduttore.

L'obbligo di custodia si ricava altresì, specificatamente, dagli artt. 1577 e 1586 c.c., che prevedono a carico del conduttore l'obbligo di comunicazione di eventi pregiudizievoli per la cosa locata. Inoltre, lo stesso n. 1 dell'art. 1587 c.c., fa obbligo al conduttore di osservare la diligenza del buon padre di famiglia nel servirsi della cosa per l'uso determinato dal contratto o che può presumersi dalle circostanze, e l'art. 1588 c.c. afferma la responsabilità del conduttore per il deterioramento o la perdita della cosa locata se non prova che tali eventi sono accaduti per causa a lui non imputabile.

La giurisprudenza riconosce l'esistenza di un obbligo di custodia a carico del conduttore, ricollegandola all'obbligo di eseguire le piccole riparazioni in ordine al quale si deve tener conto, in una valutazione d'insieme, dell'entità del relativo impegno economico, riferita alla rilevanza economica della locazione, nonché della destinazione dell'immobile e dei corrispondenti obblighi di custodia gravanti sul conduttore (Cass. civ., sez. III, 27 luglio 1995, n. 8191).

Custodia giuridica e custodia di fatto

La custodia delle strutture murarie e degli impianti in esse conglobati - custodia giuridica - rimane al proprietario dell'immobile locato, poiché conserva la disponibilità giuridica del bene e quindi, è responsabile ai sensi degli artt. 2051 e 2053 c.c. dei danni cagionati a terzi da dette strutture ed impianti (salvo rivalsa sul conduttore che abbia omesso di avvertirlo ex art. 1577 c.c.), mentre per quanto riguarda altre parti e accessori del bene locato, rispetto alle quali il conduttore ha la disponibilità con facoltà od obbligo di intervenire, onde evitare pregiudizio a terzi (come per i servizi dell'appartamento) la responsabilità verso terzi, grava soltanto sul conduttore (Cass. civ., sez. III, 18 dicembre 1996, n. 11321; conformi Cass. civ., sez. III, 27 giugno 1997, n. 5780; Cass. civ., sez. III, 9 febbraio 2004, n. 2422; Cass. civ.,sez. III, 15 ottobre 2004, n. 20335).

Il non uso dell'immobile

È escluso che sussista un preciso obbligo del conduttore di far uso dell'immobile locato.

Secondo una parte della dottrina, il mancato uso dell'immobile da parte del conduttore potrebbe costituire un inadempimento all'obbligo di servirsene «per l'uso determinato da contratto», cosicché, in pratica, si avrebbe un mutamento della destinazione. Oltre a ciò, verrebbe violato l'obbligo di custodia, con il conseguente deterioramento della cosa locata.

Contraria la giurisprudenza su questo punto.

Il conduttore di immobile non ha generalmente l'obbligo di usare l'immobile, tranne nelle ipotesi in cui il contratto abbia ad oggetto una cosa produttiva o un bene per cui l'uso sia necessario alla sua conservazione, o ancora, nell'ipotesi in cui un determinato uso della cosa sia stato specificatamente assunto come obbligatorio dalle parti nel sinallagma contrattuale (Cass. civ., sez. III, 17 maggio 1990, n. 4279).

In queste ipotesi il non uso della cosa locata posto a base della domanda di risoluzione contrattuale deve essere valutato non ai sensi dell'art. 80 l. 27 luglio 1978, n. 392, che contempla il caso di unilaterale mutamento di uso dell'immobile locato, bensì alla stregua dei criteri generali in tema di inadempimento contrattuale (Cass. civ., sez. III, 17 ottobre 1995, n. 10815; Cass. civ., sez. III, 12 novembre 1996, n. 9875; Cass. civ., sez. III, 4 marzo 2005, n. 4753).

Tuttavia, anche al di fuori di specifiche previsioni contrattuali, si ritiene che costituisca inadempimento da parte del conduttore, quando il prolungato non uso potrebbe provocare un deprezzamento del valore di mercato del bene locato, come nel caso di immobile destinato a negozio di vendita che resti chiuso per più anni.

CASISTICA

Rilevanza della destinazione ad uso diverso dall'abitativo.

Il non uso dell'immobile locato per uso diverso dall'abitazione è rilevante ai fini della risoluzione contrattuale, ex art. 1453 c.c. e non ai sensi dell'art. 80 l. n. 392 del 1978, non soltanto quando il contratto abbia ad oggetto una cosa produttiva o un bene per cui l'uso sia necessario alla sua conservazione o, ancora, nell'ipotesi in cui un determinato uso sia stato specificamente assunto come obbligatorio dalle parti nel sinallagma contrattuale, ma anche nei casi in cui venga leso l'interesse del locatore in relazione allo svilimento commerciale dell'immobile (Cass. civ., sez. III, 12 novembre 1996, n. 9875).

Alle medesime conclusioni si perviene nel caso di immobile con destinazione alberghiera il cui uso, finalizzato alla detta attività, sia stato specificatamente dedotto in contratto (Cass. civ., sez. III, 17 ottobre 1995, n. 10815).

Conseguenze del mancato uso

Il non uso dell'immobile locato, quando si riveli necessario in relazione alla particolare natura del rapporto (ovvero sia specificatamente assunto come obbligatorio nel sinallagma contrattuale), può costituire motivo di risoluzione del contratto, ma non per violazione dell'art. 80, l. 392/1978, bensì alla stregua dei principi generali in tema di inadempimento in forza dell'art. 1453 c.c., (Cass. civ., sez. III, 12 novembre 1996, n. 9875).

È ipotizzabile un concorso di colpa del conduttore, «relativamente ai danni verificatisi in conseguenza di un vizio della cosa locata, per avere egli omesso, a causa della sua prolungata assenza dall'immobile, di dare avviso al locatore della necessità di riparazioni in occasione di una specifica manifestazione del vizio» (Cass. civ., sez. III, 6 marzo 1995, n. 2605). In questo caso, peraltro, la responsabilità consegue alla mancata comunicazione dell'esistenza del vizio e non al non uso dell'immobile di per sé considerato.

L'obbligo di diligenza nell'uso della cosa locata

Di regola, la diligenza del buon padre di famiglia è prevista, non tanto nell'esercizio del diritto di godimento del conduttore, ma nell'adempimento di un obbligo. E questo non solo in forza di quanto previsto in via generale dall'art. 1176 c.c., ma anche per specifiche disposizioni, quali l'art. 1710 c.c. (diligenza del mandatario), art. 1768 c.c. (diligenza del depositario), art. 1804 c.c. (diligenza del comodatario), ecc. Solo per quanto riguarda l'usufrutto, l'art. 1001, comma 2, c.c. prevede il dovere di diligenza nel godimento della cosa, e cioè nell'esercizio del diritto proprio dell'usufruttuario.

L'obbligo di diligenza nell'uso, gravante sul conduttore, non è finalizzato alla sola restituzione della cosa nelle stesse condizioni in cui è stata consegnata, come ritiene una parte della dottrina (Cosentino-Vitucci), perché il locatore non avrebbe alcun rimedio a tutela della buona conservazione della cosa locata, qualora l'inadempimento del conduttore si verificasse nel corso del rapporto.

L'obbligo del conduttore di osservare nell'uso della cosa locata la diligenza del buon padre di famiglia, a norma dell'art. 1587, n.1, c.c. è invece sempre operante nel corso della locazione, indipendentemente dall'altro obbligo, sancito dall'art. 1590, di restituire, al termine del rapporto, la cosa locata nello stesso stato in cui è stata consegnata. Pertanto il locatore ha diritto di esigere in ogni tempo l'osservanza dell'obbligazione di cui all'art. 1587 n. 1 e di agire nei confronti del conduttore inadempiente sia per la risoluzione del contratto, sia per la riduzione in pristino o l'esecuzione delle necessarie opere di manutenzione ed in ogni caso per il risarcimento dei danni (Cass. civ., sez. III, 1 agosto 1995, n. 8385; giurisprudenza costante: Cass. civ., sez. III, 1 giugno 2004, n. 10485; Cass. civ., sez. III, 11 maggio 2010, n. 11345; Cass. civ., sez. III, 7 marzo 2001, n. 3343; Cass. civ. sez. III, 21 gennaio 1986. n. 390).

Nel caso in cui l'originario conduttore abbia ceduto ad altri il contratto di locazione con il conseguente subentro del cessionario nel rapporto, l'obbligo del risarcimento del danno per il deterioramento dell'immobile «sorge in capo a chi, cedente o cessionario, era conduttore al momento in cui il danno stesso si è verificato, se questi non prova che il deterioramento è accaduto per causa a lui non imputabile, salva la responsabilità solidale di entrambi nei confronti del locatore» (così Cass. civ., sez. III, 1 giugno 2004, n. 10485).

Le piccole riparazioni a carico dell'inquilino

L'obbligo del locatore di eseguire tutte le riparazioni necessarie trova un limite nello stesso art. 1576 c.c., che eccettua quelle di «piccola manutenzione», a carico dell'inquilino, che l'art. 1609 c.c. identifica in «quelle dipendenti da deterioramenti prodotti dall'uso, e non quelle dipendenti da vetustà o da caso fortuito». Secondo il comma 2 dell'art. 1609 c.c., le piccole riparazioni, dipendenti dall'uso, «in mancanza di patto, sono determinate dagli usi locali».

Nell'uso, si ritengono a carico dell'inquilino le riparazioni che comportano spese di modesta entità, che sono, in genere, conseguenza diretta dell'uso che ne fa il conduttore stesso (rubinetterie, scarichi, interruttori, maniglie, vetri, rivestimenti, ecc.) e, molto spesso, del «cattivo uso». Sono, invece, eccettuate quelle riparazioni, ancorché di modesta entità, «che sono dipendenti da vetustà (che se non è un vizio o difetto della cosa, è pur sempre una qualità negativa della stessa) o da caso fortuito (per le quali si finisce con l'applicare il brocardo res perit domino)» (Tabet).

L'individuazione delle riparazioni di piccola manutenzione, non è quindi sempre agevole, specie quando manchino specifiche clausole contrattuali od usi locali. Se ne ha conferma da una decisione della Cassazione, secondo cui, in questo caso, «la definizione delle piccole riparazioni è rimessa all'apprezzamento del giudice, il quale deve, al riguardo, tener conto, in una valutazione d'insieme, dell'entità del relativo impegno economico, riferita alla rilevanza economica della locazione, nonché della destinazione dell'immobile e dei corrispondenti obblighi di custodia gravanti sul conduttore» (così Cass. civ., sez. III, 27 luglio 1995, n. 8191).

L'obbligo di dare avviso al locatore per le riparazioni urgenti

Tale obbligo è previsto dall'art. 1577 c.c.

Poiché il conduttore è costituito custode dell'immobile locato, e deve farne uso osservando la diligenza del buon padre di famiglia, quando si verifichi la necessità di eseguire delle riparazioni, egli deve provvedervi direttamente, se sono a suo carico, altrimenti deve darne avviso al locatore e, se le riparazioni rivestono il carattere di urgenza, può eseguirle lui direttamente.

In tal caso, il conduttore ha diritto di essere rimborsato della spesa sostenuta «purché ne dia contemporaneamente avviso al locatore», avverte il 2° co. dell'art. 1577 c.c., subordinando in tal modo il diritto al rimborso a che il locatore sia subito posto a conoscenza del guasto e della necessità di ripararlo, per gli opportuni controlli.

Le riparazioni che possono essere eseguite dal conduttore, in sostituzione del locatore inadempiente, sono da considerarsi urgenti, ai sensi dell'art. 1577 c.c., qualora presentino il carattere dell'indifferibilità, e sono quindi quelle che non possono procrastinarsi sino al tempo necessario perché il locatore sia avvertito e possa provvedere alla riparazione (Trib. Modena 25 febbraio 2006).

L'iniziativa del conduttore di eseguire le riparazioni urgenti, non richiede la preventiva autorizzazione del locatore, e neppure il suo eventuale divieto (Cass. civ., sez. III, 8 luglio 2010, n. 16136).

In ogni caso, l'improrogabilità ricorre ogniqualvolta non intervenire impedisce la continuità del godimento dell'immobile in relazione all'uso al quale è adibito (Trib. Palmi 7 dicembre 2005).

In difetto dei suddetti requisiti, la facoltà del conduttore di intervenire in via autonoma viene meno, tuttavia, stante l'obbligo del locatore di provvedere alle riparazioni eccedenti la normale manutenzione, se questi, tempestivamente avvisato, non vi provvede, il conduttore ha diritto al risarcimento del danno (Cass. civ., sez. III, 8 luglio 2010, n. 16136; Cass. civ., sez. III, 23 luglio 2002, n. 10742).

L'avviso al locatore, ricorrendo i presupposti dell'indifferibilità della riparazione, costituisce un onere per il conduttore, che deve essere assolto anche in presenza di un vizio della cosa locata rilevante ai sensi dell'art. 1578 c.c. Ne consegue che la responsabilità del conduttore che abbia omesso di dare tale avviso concorre con quella, gravante ex art. 1578 comma 2 c.c., sul locatore che non provi di aver ignorato senza sua colpa il vizio (App. Cagliari, 18 marzo 2004).

Il pagamento del corrispettivo

Nell'ambito del sinallagma del contratto di locazione, all'obbligo di far godere in capo al locatore corrisponde quello di pagare il corrispettivo, a carico del conduttore.

Il codice civile non pone alcuna regola riguardo alle modalità di pagamento del canone, rinviando espressamente ai «termini convenuti»; il che comporta la più ampia libertà nello stabilire quando il corrispettivo debba essere pagato e con quali modalità.

L'art. 5 della l. 27 luglio 1978 n. 392, che è tuttora in vigore, fa esplicito riferimento alla scadenza «prevista», ovverosia contrattualmente convenuta, il che viene a confermare che il tempo del pagamento è lasciato alla disponibilità delle parti.

In evidenza

Secondo un uso generalizzato nelle locazioni di immobili, il canone convenuto viene frazionato in scadenze mensili, e questo sembrava l'orientamento seguito anche dalla citata l. 392/1978, che, allorquando se ne è occupata incidentalmente - come agli artt. 23 e 25 (peraltro abrogati), a proposito dell'integrazione e dell'adeguamento del canone - faceva riferimento a scadenze mensili.

Il canone va corrisposto al locatore, o a persona da questi designata, con le modalità convenute in contratto. In difetto di diversi accordi, il pagamento deve avvenire in moneta avente corso legale: non sono quindi ammesse forme equipollenti, come a mezzo assegno di conto corrente o vaglia postale, non essendo il locatore tenuto a recarsi in banca o presso un ufficio postale per la commutazione in moneta, in ispecie se ciò, per motivi di lontananza od altro, riuscisse particolarmente disagevole.

In evidenza

Il pagamento del canone con assegno non ha efficacia liberatoria se non venga accettato dal creditore locatore. Tuttavia, l'efficacia liberatoria può ravvisarsi qualora la pregressa e prolungata accettazione dei canoni nella forma suddetta, manifesti tacitamente il consenso del creditore ai sensi dell'art. 1197 c.c. alla prestazione diversa da quella dovuta e tale comportamento del creditore può essere idoneo anche ad escludere lo stato soggettivo di colpa del debitore inadempiente e, quindi, la mora idonea a permettere la risoluzione del contratto (Cass. civ., sez. III, 3 febbraio 1995, n. 1326; Cass. civ., sez. III, 14 marzo 2006, n. 5447; Cass. civ., sez. III, 25 settembre 1998, n. 9595).

Il deposito cauzionale

Recita l'art. 1608 c.c., che «l'inquilino può essere licenziato se non fornisce la casa di mobili sufficienti o non presta altre garanzie idonee ad assicurare il pagamento della pigione».

Alternativa all'obbligazione di dotare la casa di mobili sufficienti, divenuta un'ipotesi assai rara (pur se correlata all'art. 2764 c.c., che attribuisce al locatore un privilegio speciale su tutto ciò che serve a fornire l'immobile), vi è quella di prestare idonea garanzia, che nella prassi, si identifica con il «deposito cauzionale», e cioè una somma di denaro rilasciata dal conduttore a garanzia del puntuale pagamento dei canoni e di ogni altra obbligazione a suo carico, fino al termine del rapporto ed alla riconsegna dei locali.

Il deposito cauzionale, di cui è cenno nell'art. 1608 c.c. con l'espressione «garanzie idonee», è stato istituzionalizzato dall'art. 11 della l. 27 luglio 1978, n. 392, non abrogato dalla l. 9 dicembre 1998, n. 431 che, d'altro canto, non contiene alcuna specifica disposizione che si riferisca all'obbligo del conduttore di prestare idonee garanzie.

Dalla correlazione tra il disposto dell'art. 1608 c.c. e l'art. 11 l. 27 luglio 1978, n. 392 (che prevede espressamente (a)che il deposito non possa superare le tre mensilità del canone; (b) che esso è produttivo di interessi legali), si è dedotto che tale l'obbligo sussiste indipendentemente da una clausola pattizia che lo preveda e che l'inadempimento a detto obbligo, cui si accompagni la mancata fornitura di mobilio sufficiente, autorizzi il locatore alla risoluzione del contratto (Trib. Brescia 17 febbraio 1992).

Deve invece ritenersi abrogato per incompatibilità, ai sensi dell'art. 84 della suindicata l. 28 luglio 1978, n. 392, l'art. 4 della legge 22 dicembre 1973, n. 841, statuente che il deposito cauzionale non poteva essere superiore a due mensilità del canone e doveva essere depositato su conto bancario vincolato (Cass. civ., sez. III, 25 luglio 1984, n. 4360).

In evidenza

Si ritiene lecito convenire che il deposito cauzionale sia costituito da una fideiussione bancaria, anziché da una somma di denaro.

Gli interessi sui canoni scaduti

Gli interessi costituiscono un'obbligazione pecuniaria, accessoria ad altra obbligazione pecuniaria a carattere principale, e si distinguono in compensativi o corrispettivi e moratori.

La qualificazione degli interessi sui canoni non pagati, ha dato luogo a una questione controversa: stante la natura pecuniaria dell'obbligazione del conduttore di pagare il canone di locazione, per l'art. 1224 c.c. gli interessi sarebbero dovuti dal giorno della mora, avrebbero, cioè, natura moratoria; ma poiché il credito del locatore diviene liquido ed esigibile al momento della scadenza, ai sensi dell'art. 1282 c.c. esso dovrebbe produrre interessi di pieno diritto - e quindi compensativi o corrispettivi - anche in mancanza di messa in mora.

Tuttavia, il comma 2 dell'art. 1282 c.c. cit., precisando che «i crediti per fitti e pigioni non producono interessi se non dalla costituzione in mora», ne conferma la natura moratoria, con la conseguenza che potrebbero essere attribuiti soltanto su domanda della parte, e non pure d'ufficio (Cass. civ., sez. III, 20 gennaio 1983, n. 564).

Si può osservare, in contrario, che l'intimazione formale, nell'ipotesi di canoni scaduti, non è necessaria. Infatti, il debito del conduttore ha natura portable: deve cioè essere adempiuto al domicilio del creditore. Ne consegue che, a mente dell'art. 1219, n. 3), c.c., la semplice scadenza del termine vale a costituire in mora il debitore (Bianca) e gli interessi sono egualmente dovuti. La necessità della messa in mora al fine della decorrenza degli interessi ex art. 1282 c.c. sui canoni di locazione sussiste quindi solo laddove si tratti di una obbligazione querable (Trib. Roma 16 marzo 1994).

Il che si spiega perché l'art. 1282 c.c. non va inteso come una deroga alla regola generale di cui all'art. 1219 c.c., bensì come norma derogatrice di quanto dispone il solo comma 1 dello stesso articolo. In sostanza, l'inciso di cui al 2° co. dell'art. 1282 c.c. si limita ad escludere che i crediti per fitti e pigioni, ancorché liquidi ed esigibili, producano interessi di pieno diritto, donde la necessità della messa in mora, ma non esclude la mora ex re, prevista dal n. 3 dell'art. 1219 c.c., allorquando il canone deve essere pagato al domicilio del locatore.

L'art. 55 della l. 27 luglio 1978, n. 392, afferma che, per purgare la mora, il conduttore deve versare «l'importo dovuto per tutti i canoni scaduti (...) maggiorato degli interessi legali», che pertanto si intendono maturati senza alcuna necessità di preventiva intimazione o messa in mora.

CASISTICA

Interessi moratori su canoni scaduti

I debiti per pigioni relativi a contratti di locazione di immobili urbani producono, in caso di ritardo nell'adempimento delle obbligazioni, interessi moratori soltanto dalla costituzione in mora del conduttore, salva diversa pattuizione contrattuale, a norma dell'art. 1282, comma 2, c.c. (Cass. civ., sez. III, 6 marzo 1998, n. 2476; conforme, Cass. civ., sez. III, 27 settembre 1979, n. 4978).

Interessi moratori sui crediti per canoni non pagati

Per i crediti per fitti e pigioni non è necessaria la costituzione in mora quando il termine per pagare è scaduto e la prestazione deve essere effettuata nel domicilio del creditore (Cass. civ., sez. III, 17 dicembre 1986, n. 7628) o anche presso un terzo (Cass. civ., sez. III, 10 dicembre 1979, n. 6415).

Il rispetto dell'uso convenuto

A mente del comma 1, n. 1), dell'art. 1587 c.c., il conduttore deve servirsi della cosa locata «per l'uso determinato dal contratto o per l'uso che può altrimenti presumersi dalle circostanze».

Si tratta di un'obbligazione primaria del conduttore, che sussiste sia nel caso che la destinazione sia prevista con apposita clausola contrattuale, sia qualora, su questo punto, manchi una qualsiasi indicazione, perché in tal caso la legge fa riferimento a quello che può desumersi dalle circostanze che hanno accompagnato la conclusione del contratto.

La destinazione d'uso rappresenta una specificazione del godimento attribuito col contratto al conduttore

Come, ad es., un uso di ufficio, studio professionale, laboratorio artigianale, ma anche, per ognuna delle singole categorie, un uso più particolare, come studio di avvocato, ambulatorio medico, negozio di calzature, laboratorio di sartoria e simili.

Trattasi, comunque, di obbligazione negativa, nel senso che non rappresenta per il conduttore l'adempimento di un obbligo, quale appunto il servirsi della cosa locata, bensì l'ambito entro il quale il diritto al godimento attribuitogli dal locatore può essere esercitato. Il conduttore assume, in sostanza, «l'obbligo di "non fare" della cosa un uso diverso da quello determinato dal contratto o altrimenti determinabile» (Tabet).

La conseguenza dell'inadempimento di un siffatto obbligo, in considerazione del rilievo che gli ha conferito l'art. 1587 c.c., inserendolo tra quelli principali che fanno capo al conduttore, comporta pertanto la risoluzione del contratto ai sensi dell'art. 1453 c.c., ovviamente qualora il mutamento di destinazione non abbia scarsa importanza con riguardo all'interesse del locatore (art. 1454 c.c.).

L'uso diverso dal pattuito e l'art. 80 della l. 27 luglio 1978, n. 392

Il principio del rispetto dell'uso pattuito ha trovato un'ulteriore e più specifica disciplina nel disposto dell'art. 80 della l. 27 luglio 1978, n. 392 secondo il quale, «se il conduttore adibisce l'immobile ad un uso diverso da quello pattuito, il locatore può chiedere la risoluzione del contratto».

Si ritiene che il mutamento dell'uso pattuito, sanzionato con la risoluzione del contratto dall'art. 80 della legge appena citata, sia una cosa diversa dall'obbligo gravante sul conduttore di servirsi della cosa «per l'uso determinato nel contratto» di cui all'art. 1587 c.c.

L'art. 80, infatti, ha riguardo esclusivamente a quei mutamenti che comportano un diverso regime giuridico ai sensi della legge stessa, ed in tal caso, la gravità dell'inadempimento, tale da giustificare la risoluzione, è in re ipsa. Ogni altra modificazione della destinazione d'uso, che rimanga all'interno dei regimi fondamentali previsti dalle leggi n. 392 del 1978 o n. 431 del 1998, ricade invece nella generale disciplina di cui all'art. 1453 c.c., e pur potendo costituire inadempimento contrattuale, ne deve essere valutata l'importanza ai fini dell'azione di risoluzione del contratto.

La ratio dell'art. 80 della l. 27 luglio 1978, n. 392, è quella di applicare, agli immobili locati, il regime giuridico corrispondente al loro uso effettivo, onde evitare che il locatore venga a subire, per iniziativa del conduttore, una disciplina del rapporto diversa da quella convenzionalmente pattuita.

Il concetto di «uso diverso da quello contrattuale» che legittima il locatore a chiedere la risoluzione del contratto non si identifica pertanto con qualsiasi mutamento di destinazione, bensì solo con quello che comporti un corrispondente mutamento di regime giuridico (Cass. civ., sez. III, 22 aprile 1999, n. 3989).

L'ipotesi di cui all'art. 80 cit., va quindi riferita a tutti i casi in cui la variazione comporti l'applicazione di una diversa disciplina e, quindi, anche nel caso in cui il mutamento di destinazione produca effetti più sfavorevoli per il conduttore (Cass.civ., sez. III, 10 marzo 2010, n. 5767).

Qualora il mutamento di destinazione non determini il mutamento del regime giuridico cui è soggetto il rapporto di locazione, ma nondimeno ricorrano i presupposti di cui all'art. 1455 c.c., spetta pur sempre al locatore l'ordinaria azione di risoluzione per inadempimento ex art. 1453 c.c., anche oltre il termine previsto dall'art. 80, l. 392/1978 (Cass. civ. 22 aprile 1999, n. 3989; Cass. civ. sez. III, 16 novembre 1994, n. 9689; Cass. civ., sez. III, 18 novembre 1994, n. 9758; Cass. civ., sez. III, 22 marzo 1994, n. 2702).

Per quanto concerne le locazioni non abitative, non può disconoscersi la rilevante differenza che corre tra l'uso per studio professionale e l'uso per attività commerciale, in particolare per quanto attiene al complesso di diritti, quali la prelazione e l'indennità di avviamento, che si ricollegano a quest'ultimo e non al primo (Cass. civ., sez. III, 4 novembre 1992, n. 11952).

Secondo un'interpretazione di Cass. civ., sez. III, 1 aprile 1993, n. 3892, l'art. 80, si applica soltanto nei casi di passaggio dall'uso abitativo a quello non abitativo (e viceversa) e non nei casi in cui l'immobile conservi la destinazione commerciale e vengano mutate soltanto le modalità dell'uso originario; come quando l'immobile adibito per l'esercizio di una attività commerciale che implica contatti diretti con il pubblico degli utenti e dei consumatori, sia poi utilizzato per una diversa attività che non implica i predetti contatti.

Nello stesso senso, Cass. civ., sez. III, 19 novembre 1992, n. 12352, ritiene che l'art. 80 della l. 27 luglio 1978, n. 392, trovi applicazione soltanto qualora il mutamento di destinazione comporti il passaggio del contratto da una ad altra delle differenti discipline dettate dalla legge stessa per le diverse categorie di locazioni da essa considerate e dal codice civile per le locazioni residuali. Resterebbero, invece, fuori della previsione del richiamato art. 80, quei cambiamenti d'uso che si verificano nell'ambito del medesimo tipo locatizio e la cui rilevanza, ai fini della risoluzione del contratto, va esaminata in base ai criteri generali in tema di inadempimento contrattuale (Cass. civ., sez. III, 4 novembre1992, n. 11952).

L'orientamento dominante, peraltro, è nel senso che si applica l'art. 80 anche se il mutamento rimane nell'ambito della medesima categoria contrattuale, ma ne viene modificato il regime giuridico, come ad es. un'attività che comporti un contatto diretto con il pubblico originariamente escluso. (Cass. civ., sez. III, 1 aprile 1996, n. 2962).

CASISTICA

Trasformazione di esercizio commerciale

In caso di trasformazione di un esercizio commerciale da «negozio di alimentari» a «sala giochi», va esclusa l'applicabilità della disciplina di cui all' art. 80 della l. n. 392/1978 sul presupposto che esso opera nell'ambito della tipologia prevista dall'art. 27 della stessa legge e non comporta alcun mutamento di regime giuridico (Cass. civ., sez. III, 11 ottobre 2012, n. 17326).

In una fattispecie di locazione avente ad oggetto un locale ad uso deposito, il conduttore che in violazione degli accordi contrattuali, abbia intrapreso nell'immobile locato un'attività di vendita al pubblico, determina l'insorgenza di una situazione giuridica nuova, che comporta, fra l'altro, l'applicabilità della disciplina dell'indennità per la perdita dell'avviamento commerciale, la quale altera in maniera rilevante l'originario equilibrio tra le rispettive obbligazioni, anche future, delle parti in danno del locatore (Cass. civ., sez. III, 19 luglio 1996, n. 6511).

Mutamento parziale

Anche il mutamento parziale della destinazione della cosa locata - come, ad esempio, da pensione ad affittacamere - può costituire inadempimento grave del conduttore quando si traduca in una rilevante violazione del contratto in relazione alla volontà dei contraenti, alla natura e finalità del rapporto e, soprattutto, all'interesse del locatore (Cass. civ., sez. III, 5 luglio 1984, n. 3930).

Opere edilizie che modificano la struttura urbanistica dell'immobile locato

La modificazione della cosa locata come motivo di risoluzione del contratto per colpa del conduttore, va intesa non in senso assoluto e astratto, ma in senso relativo all'interesse del locatore, il quale ha diritto non solo a non vedere pregiudicato in suo danno l'equilibrio giuridico-economico del patto locatizio, ma anche alla conservazione della res locata, con il suo status di liceità urbanistica, le sue caratteristiche catastali, le sue strutture originarie e la sua destinazione assentite (Cass. civ., sez. III, 28 ottobre 1993, n. 10735).

In una fattispecie in cui il conduttore, al fine di modificare la destinazione della cosa locata da bar a pizzeria, aveva creato un nuovo locale attraverso le coperture del cortile attiguo ai due vani concessi in godimento, si è ritenuto trattarsi di modificazione non consentita, anche in assenza di apposito divieto contrattuale (Trib. Milano 19 luglio 1993).

Esigenze abitative transitorie

Qualora venga stipulato un contratto di locazione per soddisfare esigenze abitative transitorie del conduttore, e questi invece vada ad occupare l'immobile facendone la propria stabile residenza, si verifica un mutamento di destinazione che abilita il locatore a chiedere la risoluzione del contratto ai sensi dell'art. 80 della l. 392/1978. (Cass. civ. sez. III, 4 novembre 1992, n. 11952).

Nel caso in cui il locatore faccia acquiescenza al diverso uso dell'immobile, e non chieda la risoluzione del contratto nel termine di tre mesi dal momento i cui ne abbia avuto conoscenza, l'applicazione del regime giuridico corrispondente all'uso effettivo che ne consegue, non può mai legittimarlo a proporre l'azione contrattuale per danni da mutato uso in forza della disciplina generale in tema di inadempimento, poiché la sua inerzia, avendo consentito il consolidamento del diverso uso, ha eliminato con effetto retroattivo l'illegittimità della diversa destinazione, che il conduttore ha continuato a dare all'immobile locato (Cass. civ., sez. III, 15 febbraio 2005, n. 2976).

Il termine per l'esercizio dell'azione di risoluzione

Per la Corte Costituzionale (18 febbraio 1988, n. 185), la norma dell'art. 80, comma 1, della l. 27 luglio 1978, n. 392, che nella versione originaria stabiliva che, «se il conduttore adibisce l'immobile ad un uso diverso da quello pattuito, il locatore può chiedere la risoluzione del contratto entro tre mesi dal momento in cui ne ha avuto conoscenza e comunque entro un anno dal mutamento di destinazione», è costituzionalmente illegittima - per contrasto con l'art. 24, comma 1, Cost. - nella parte in cui dispone «e comunque entro un anno dal mutamento di destinazione».

Resta, quindi, in vigore la sola prima parte dell'art. 80, e pertanto il locatore può agire per la risoluzione del contratto anche oltre il termine di un anno, purché entro tre mesi dal momento in cui abbia avuto conoscenza del mutamento di destinazione.

Trattandosi di un termine (non di prescrizione, bensì) di decadenza dall'azione, questa non è superata da una diffida a ripristinare l'uso, ma impone l'esercizio dell'azione giudiziaria per la risoluzione (Bucci - Malpica -Redivo; Gabrielli - Padovini).

La conoscenza del locatore, ai fini della decorrenza del termine, «è quella che si realizza in concreto con l'effettivo diverso uso della cosa locata, sicché è solo da tale momento che inizia a decorrere il suddetto termine perentorio per chiedere la risoluzione del contratto, non potendo venire in rilievo, a tal fine, una situazione di semplice conoscenza della sola intenzione del conduttore» (così Cass. civ., sez. III, 21 febbraio 2006, n. 3683).

L'obbligo di restituire

Questo obbligo non è espressamente previsto dall'art. 1587 c.c. tra quelli principali del conduttore; è invece menzionato dall'art. 1590 c.c. che specifica come la cosa locata debba essere restituita nel medesimo stato in cui il conduttore l'ha ricevuta. É quindi evidente la relazione che sussiste tra l'obbligo di restituire e quello di usare della cosa locata con la diligenza del buon padre di famiglia, per l'uso convenuto.

Sulla natura contrattuale dell'obbligo di restituzione vi è concordia di opinioni nella maggioranza della dottrina e della giurisprudenza, la quale ultima, in un primo tempo orientata per la natura extracontrattuale, dopo la sentenza di Cass. civ., sez. III, 25 gennaio 1960, n. 61, ha costantemente seguito la tesi che l'obbligazione di restituire trovi la sua base giuridica nel contratto di locazione (Catelani).

Per aversi la liberazione del conduttore dall'obbligo di riconsegna della cosa locata, questa deve pertanto attuarsi esclusivamente «con la consegna del bene, anche se nella modalità della consegna delle chiavi, al locatore in persona o ad altri soggetti che lo rappresentino in virtù di espressa sua volontà», ciò perché il rapporto di locazione è un rapporto obbligatorio intuitu personae (Cass. civ., sez. III, 28 gennaio 2013, n. 1887).

In evidenza

Avvenuta l'incondizionata messa a disposizione dell'immobile o la restituzione delle chiavi, non è necessaria la redazione di un relativo verbale. La consegna materiale delle chiavi comporta lo scioglimento del vincolo contrattuale e, con esso, dell'obbligo di corrispondere i canoni di locazione (Cass. civ., sez. III, 17 gennaio 2012, n. 550; conformi, Cass. civ., sez. III, 24 marzo 2004 n. 5841; Cass. civ., sez. III, 17 gennaio 2012, n. 550 ).

Precisa l'art. 1590 c.c. che la cosa va restituita al locatore «nello stato medesimo in cui l'ha ricevuta» mediante il raffronto con la descrizione che ne sia stata fatta dalle parti; come noto, nel caso che la descrizione manchi, si presume che il conduttore abbia ricevuto la cosa in buono stato di manutenzione.

Pertanto, la descrizione dell'immobile locato effettuata dalle parti nel contratto, ha preminente valore probatorio «al fine di individuare quale sia il contenuto dell'obbligazione del conduttore di riconsegnare la cosa locata nello stesso stato in cui l'ha ricevuta e del dovere di diligenza che deve osservare nell'uso del bene locato» (Cass. civ., sez. III, 1 ottobre 2004, n. 19652; Cass. civ., sez. III, 7 luglio 2005, n. 14305).

Se il deterioramento ed il consumo avvengono in conseguenza dell'uso in conformità del contratto, il conduttore non può esserne tenuto responsabile in quanto questi eventi rappresentano un effetto normale dell'utilizzazione della cosa locata, che è l'oggetto della prestazione concessa al conduttore stesso (Cass. civ., sez. III, 28 novembre 1988, n. 6408; conforme Cass. civ., sez. III, 8 febbraio 1990, n. 880).

In conclusione

Questa parte della disciplina codicistica, segue una lunga e consolidata tradizione che ha trovato una prima risposta positiva nel codice napoleonico. Tuttavia, il fatto che la legge, per aspetti non secondari, si richiama ancora agli usi e consuetudini locali, rende ragione a chi ritiene che, al di fuori della normativa speciale, le norme di comportamento nell'uso dell'immobile locato si rifanno a doveri intuitivi e pertinenti, per chi si accinge ad usufruire di un bene altrui dietro pagamento di un corrispettivo.

Guida all'approfondimento

Gabrielli - Padovini, La locazione di immobili urbani, Padova, 2001, 448;

Catelani, Manuale della locazione, Milano, 2001, 252;

Cosentino - Vitucci, Le locazioni dopo le riforme del 1978-1985, Torino, 1986, 127;

Tabet, La locazione-conduzione, Milano, 1972, 436.

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