Licenziamento collettivo in catene di supermercati: si può limitare ad un unico punto vendita?
01 Dicembre 2015
Massima
In tema di licenziamento collettivo per riduzione di personale, qualora il progetto di ristrutturazione aziendale si riferisca in modo esclusivo ad un'unità produttiva o ad uno specifico settore dell'azienda, la platea dei lavoratori interessati può essere limitata agli addetti ad un determinato reparto o settore solo sulla base di oggettive esigenze aziendali, in relazione al progetto di ristrutturazione aziendale. Tuttavia il datore di lavoro non può limitare la scelta dei lavoratori da porre in mobilità ai soli dipendenti addetti a tale reparto o settore se essi siano idonei - per il pregresso svolgimento della propria attività in altri reparti dell'azienda - ad occupare le posizioni lavorative di colleghi addetti ad altri reparti, con la conseguenza che non può essere ritenuta legittima la scelta di lavoratori solo perché impiegati nel reparto operativo soppresso o ridotto, trascurando il possesso di professionalità equivalente a quella di addetti ad altre realtà organizzative (rigetta e conferma App. Napoli, 22/03/2012). Il caso
Il caso oggetto della decisione della Suprema Corte riguardava il recesso intimato il 31/12/2008, nell'ambito di una procedura di licenziamento collettivo, da una nota società proprietaria di una catena di supermercati ad un lavoratore per soppressione del punto vendita ove egli era addetto. Non essendosi raggiunta, durante la procedura, un'intesa con le parti sindacali, la società aveva limitato l'applicazione dei criteri di legge (e, quindi, il bacino dei licenziamenti) agli addetti ad un unico supermercato (quello dismesso), senza operare la comparazione con i loro colleghi di altri punti vendita. La sentenza di primo grado aveva rigettato la domanda del lavoratore volta a far dichiarare l'illegittimità del recesso.
La Corte d'appello di Napoli, invece, in riforma della sentenza di primo grado, aveva condannato la società a reintegrare il lavoratore nel posto di lavoro, con risarcimento dei danni consequenziali. A sostegno di tale decisione la Corte di merito aveva evidenziato che, all'esito delle prove testimoniali, era emersa una forte sinergia tra il supermercato in dismissione e quelli collocati nella medesima regione, con frequenti passaggi di personale tra le varie unità. La Corte aveva altresì evidenziato che nella comunicazione di cui alla L. n. 223 del 1991, art. 4, comma 3, non vi era traccia dei motivi per i quali l'esubero del personale comportava una limitazione della platea dei lavoratori da licenziare a quelli della sola unità di vendita soppressa, non avendo la parte datoriale operato il doveroso scrutinio dei criteri legali applicabili per la selezione del personale da considerare in eccesso.
Per la cassazione della sentenza proponeva ricorso il datore di lavoro, evidenziando, tra l'altro, che la limitazione dei licenziamento ad un unico punto vendita era funzionale al progetto di ristrutturazione aziendale che, appunto, prevedeva la dismissione di quello specifico supermercato, ma non degli altri. Inoltre, la società evidenziava che, stante il licenziamento di tutti gli addetti a quel punto vendita, non era possibile applicare i criteri di cui alla L. n. 223 del 1991, art. 5, criteri, questi, che valgono solo nei casi in cui rimane ancora in servizio parte del personale in organico. La questione
La questione in esame è la seguente: qualora il progetto di ristrutturazione aziendale riguardi solo un punto vendita, è possibile (ed a quali condizioni) limitare la procedura di licenziamento collettivo esclusivamente ai lavoratori ivi addetti? Le soluzioni giuridiche
La sentenza in commento evidenzia che, in linea generale, sia possibile licenziare esclusivamente i lavoratori addetti ad un punto vendita, ma ciò sulla base di stringenti condizioni:
Proprio il profilo della fungibilità, osserva la Corte, è particolarmente rilevante nei casi in cui vi sia un frequente interscambio di personale tra i punti vendita (come spesso accadde nelle catene di supermercati e, più in generale, negli esercizi commerciali al dettaglio). Per cui, secondo la Corte, la sola autonomia tecnica e amministrativa non è sufficiente a ritenere legittima la scelta datoriale di limitare i licenziamenti al singolo punto vendita, anche in caso di chiusura dello stesso con conseguente licenziamento di tutti i lavoratori addetti, se il datore di lavoro non abbia osservato le suddette prescrizioni. Osservazioni
I principi evidenziati nella sentenza in commento, seppur mutuati da una consolidata giurisprudenza della Suprema Corte, rendono particolarmente difficile (se non impossibile) limitare una procedura di licenziamento collettivo ad un solo supermercato. Infatti, è innegabile che nella grande distribuzione si assista ad un costante interscambio di personale tra i singoli esercizi, spesso per rafforzare la presenza di addetti presso un negozio che in un determinato momento ha maggiore afflusso di clientela o per motivare i dipendenti evitando la loro “fossilizzazione”.
Tali pratiche, assolutamente consuete nelle grandi catene (ma spesso anche in quelle piccole), evidenziano quindi una elevata fungibilità del personale tra i singoli esercizi commerciali. Allorquando il datore di lavoro debba poi procedere alla chiusura di un punto vendita ed al licenziamento collettivo del personale ivi addetto, sarà praticamente impossibile giustificare l'apertura di una procedura limitata a quell'esercizio, dovendola necessariamente estendere a tutta l‘organizzazione aziendale. Infatti, il principio fissato dalla Corte non chiarisce i limiti del criterio della fungibilità, se cioè da interpretare come una fungibilità “in astratto” (cioè estesa a tutte le professionalità potenzialmente fungibili nell'organizzazione aziendale rispetto a quelle interessate dalla procedura) oppure in senso più restrittivo (ad esempio limitata ad un ambito territoriale più ristretto in cui l'azienda effettivamente procede ad un interscambio del personale tra i singoli esercizi).
Nella giurisprudenza, invero, non è infrequente il riferimento ad un criterio di fungibilità riguardante l'intera struttura dell'azienda. Ciò genera conseguenze pratiche spesso aberranti. Si pensi, ad esempio, ad un supermercato (in chiusura) che impieghi personale in possesso di elevati carichi di famiglia e anzianità rispetto ad altri punti vendita situati in tutt'altra zona del territorio nazionale. Il datore di lavoro, nell'applicazione dei criteri di legge, potrebbe trovarsi nella situazione di dover licenziare gli addetti ai supermercati esclusi dalla ristrutturazione e trasferire in altra zona del territorio nazionale i dipendenti addetti al supermercato in chiusura, con rilevantissimi problemi nella gestione di quest'ultimo passaggio (malattie “tattiche”, problemi familiari e personali, ecc.) e con conseguente compromissione della regolare continuità degli esercizi esclusi dalla ristrutturazione. Senza contare, ovviamente, la conseguenza paradossale per la quale i dipendenti licenziati sarebbero, almeno in parte, quelli di punti vendita non interessati dalla procedura.
Per cui, ad avviso dello scrivente, sarebbe auspicabile un superamento di tale interpretazione. Un buon equilibro tra le esigenze aziendali e quelle dei lavoratori potrebbe essere individuato in un criterio di fungibilità da applicare limitatamente all'esercizio interessato dalla procedura di licenziamento collettivo e solo quando la stessa non preveda la soppressione del punto vendita bensì la sola riduzione del personale ivi addetto (tesi, questa, non condivisa dalla sentenza in commento). In subordine, si potrebbe valutare di applicare il criterio della fungibilità in relazione alla zona territoriale più ristretta ove l'interscambio di personale tra i supermercati sia continuo e frequente, essendo solo apparentemente fungibili gli addetti impiegati in negozi tra loro molto distanti (per la ragionevole scelta di non considerare fungibili i dipendenti addetti in stabilimenti lontani tra loro, cfr. Cass., sez. lav., 31-07-2012, n. 13705, in motivazione).
Ciò, ovviamente, ferma restando la necessità di indicare, nella lettera di apertura della procedura, le motivazioni oggettive per le quali il datore di lavoro ha scelto di limitare la procedura rispetto all'intera organizzazione aziendale e del motivo per cui non è possibile riassorbire il personale licenziato in altri punti vendita. |