Il mobbing è reato indipendentemente dalla dimensione aziendale
02 Gennaio 2015
In materia di mobbing, la Corte di Cassazione ha ritenuto applicabile il reato di maltrattamento ex art. 572 del codice penale (maltrattamenti contro familiari e conviventi, esteso anche a coloro cui viene affidata una persona per l'esercizio di un'arte o professione), a carico dei vertici della società, per le vessazioni compiute a carico di alcune dipendenti per lungo tempo. Nella Sentenza n. 53416 pubblicata il 22 dicembre 2014, la Suprema Corte ha giudicato quali elementi irrilevanti alla configurabilità del reato sia la dimensione dell'azienda, sia il prolungato periodo di tempo da cui tali vessazioni si protraevano, che invece per la difesa erano elementi tali da escludere il reato ex art. 572 Cp. La sentenza afferma che la fattispecie di maltrattamenti in famiglia, tradizionalmente concepita in un contesto familiare, è stata nel tempo estesa anche a rapporti di tipo diverso, di educazione ed istruzione, cura, vigilanza e custodia nonché a rapporti professionali e di prestazioni d'opera. La suprema corte ha quindi riconosciuto la possibilità di assimilare alla fattispecie i maltrattamenti commessi da soggetto investito di autorità in un contesto lavorativo alla condotta del c.d. mobbing posta in essere dal datore di lavoro a danno del lavoratore, quale fenomeno connotato da una reiterazione di più atteggiamenti nel tempo volti ad esprimere ostilità verso la vittima ed a isolare il dipendente nell'ambiante di lavoro Per la configurabilità del reato di mobbing vanno quindi sempre valutati i fatti e le effettive dinamiche dei rapporti tra il titolare e i dipendenti.
La Suprema Corte afferma infine che non rileva, il fatto che la dipendente abbia denunciato i vertici societari alla procura, al sindacato e sulla stampa: il reato non viene meno di fronte al fatto che la lavoratrice ha attivato tutti i mezzi a sua difesa. |