Salvata dalla contribuzione l’indennità una tantum corrisposta dal datore
02 Settembre 2014
Se è corretto ritenere la natura retributiva delle indennità di “divisa estera” e “di disagio”, corrisposte in misura fissa e con periodicità mensile dal datore ai dipendenti che operano all'estero, non lo è altrettanto per l'indennità una tantum per spese di “prima sistemazione”. Così stabilisce la Cassazione, censurando, con la sentenza del 28 agosto, n. 18419, la decisione di merito che, invece, considerava tutti e tre gli emolumenti una maggiorazione della retribuzione sotto forma di risparmio di spese, escludendone il carattere restitutorio.
Una delle condizioni che sottrae alla contribuzione le liberalità fatte dal datore è l'assenza di collegamenti, anche indiretti, tra le elargizioni stesse e il rendimento dei lavoratori e l'andamento aziendale (art. 12, Legge n. 153/69). A stabilire se i detti collegamenti esistano o meno è solo il giudice di merito, attraverso un apprezzamento di fatto, che, salvo vizi di motivazione o di violazione di legge, è incensurabile dalla Cassazione.
Nel caso di specie, assoggettare a contribuzione anche l'indennità una tantum di “prima sistemazione”, sulla scorta della quantificazione in misura fissa e della corresponsione continuativa, significa incorrere nel vizio di insufficienza della motivazione. Dalla sentenza di merito, non è chiaro agli Ermellini se il detto emolumento abbia natura retributiva - poiché riferito anche indirettamente a spese effettuate dal lavoratore per adempiere agli obblighi della prestazione di lavoro, risolvendosi in un adeguamento della retribuzione - o se abbia natura risarcitoria – perché riferito a spese che il dipendente era tenuto a sopportare nell'esclusivo interesse del datore, costituendo, come tale, la reintegrazione di una diminuzione patrimoniale collegata alle modalità della prestazione svolta -. |