Il Jobs Act e le tutele crescenti: reintegra e indennizzo alla luce dei criteri direttivi
04 Dicembre 2014
Il disegno di legge delega approvato in via definitiva dal Senato della Repubblica detta principi e criteri direttivi che il Governo è delegato a tradurre in disposizioni di legge, mediante decreti legislativi attuativi da emanarsi nell'arco di 6 mesi dalla data di entrata in vigore della legge, in materia di riforma degli ammortizzatori sociali, dei servizi per il lavoro e delle politiche attive, nonché in materia di riordino della disciplina dei rapporti di lavoro e dell'attività ispettiva e di tutela e conciliazione delle esigenze di cura, di vita e di lavoro.
Tra le disposizioni che più hanno fatto discutere, favorendo un aspro dibattito in sede politica e sindacale, vi sono quelle che si riferiscono all'adozione del contratto di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti in relazione all'anzianità di servizio. Il nuovo strumento contrattuale, secondo le linee guida che sono state delineate nella legge delega, si accompagna ad una apposita misura sanzionatoria da cui sarà assistito il lavoratore nel caso di successivo licenziamento dichiarato illegittimo, che consiste essenzialmente nel riconoscimento di un indennizzo risarcitorio graduato in relazione agli anni di anzianità aziendale. In tale rinnovato contesto, che si applicherà solo ai contratti a tempo indeterminato stipulati dopo l'entrata in vigore della legge, la tutela reintegratoria mantiene un valore assolutamente residuale, applicandosi solo nei casi di licenziamento nullo e discriminatorio, nonché in presenza di specifiche fattispecie di licenziamento disciplinare ingiustificato.
La legge delega detta il principio secondo cui, per le nuove assunzioni con contratto di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti, il diritto alla reintegrazione del lavoratore viene, di base, escluso e sostituito con il meccanismo indennitario legato all'anzianità di servizio per i licenziamenti economici - per tali dovendosi intendere (ma sarebbe opportuno un chiarimento in sede di decreto attuativo, stante la formulazione tecnicamente non impeccabile di questo passaggio del testo di legge) i licenziamenti intimati per ragioni inerenti all'attività produttiva o all'organizzazione del lavoro - salvo che il provvedimento espulsivo non sia ritenuto nullo o discriminatorio, mentre per i licenziamenti disciplinari - ovvero ricollegati ad un comportamento inadempiente del lavoratore – il reintegro è previsto, oltre che nei casi di nullità e di discriminatorietà, in specifiche fattispecie di licenziamento disciplinare ingiustificato.
Rispetto all'apparato sanzionatorio previsto dall'art. 18 dello Statuto dei Lavoratori, già oggetto di riforma da parte della Legge n. 92/2012, si assiste ad una riduzione ulteriore dell'ambito di applicazione della tutela reintegratoria, in quanto in presenza di licenziamenti per giustificato motivo oggettivo è sempre escluso, a fronte della declaratoria di illegittimità di licenziamento, il diritto alla reintegrazione del lavoratore, ad eccezione unicamente delle ipotesi di nullità del licenziamento stesso, quale ad esempio quello irrogato in periodo di maternità o in concomitanza di matrimonio, o di licenziamento adottato per ragioni ritorsive o discriminatorie, quale quello determinato dall'appartenenza sindacale del lavoratore, dal suo orientamento sessuale o da ragioni razziali.
Per i licenziamenti riconducibili ad una condotta inadempiente e disciplinarmente censurabile del lavoratore si prevede l'ulteriore ipotesi per cui il diritto alla reintegrazione è salvaguardato in “specifiche fattispecie di licenziamento disciplinare ingiustificato”, il cui contenuto dovrà essere definito in apposito decreto attuativo. A tale proposito, la legge delega demanda al Governo, su proposta del Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali, di emanare nell'arco di 6 mesi dalla data di entrata in vigore della legge, uno o più decreti legislativi che avranno ad oggetto, tra l'altro, la nuova disciplina del contratto di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti e la regolamentazione dell'apparato sanzionatorio ad esso collegato in presenza di licenziamento illegittimo/ingiustificato.
È già stato prefigurato da più parti, sia dai tecnici del giuslavoro che in ambienti politico/sindacali, uno scenario secondo il quale il nuovo meccanismo a tutele crescenti comporterebbe il riconoscimento di un indennizzo economico pari a una mensilità e mezzo per ogni anno di anzianità aziendale del lavoratore, con un massimo di 36 anni di anzianità (secondo alcuni ridotto a 24 anni di anzianità). Le nuove disposizioni attuative, che il Governo pare orientato ad introdurre entro fine anno, sembrerebbero prevedere, inoltre, secondo le prime indicazioni, la facoltà per il datore di lavoro di versare direttamente al lavoratore un importo corrispondente ad una mensilità di retribuzione per ogni anno di servizio fino ad un massimo di 24 mesi (secondo alcuni ridotto a 18 mesi), con l'ulteriore previsione per cui, se il lavoratore accetta l'offerta o se, comunque, non restituisce l'importo versato spontaneamente dal datore entro un tempo dato, il meccanismo sanzionatorio previsto in caso di declaratoria di illegittimità del licenziamento non potrà più operare.
Tale nuovo strumento contrattuale si colloca nel contesto più generale di quella previsione della legge delega per cui al Governo è demandato di promuovere, in coerenza con le indicazioni europee, il contratto a tempo indeterminato come forma comune di contratto di lavoro, a tale proposito individuando misure che rendano tale tipologia contrattuale più conveniente rispetto alle altre forme contrattuali di lavoro sia in termini di oneri diretti che indiretti. Anche in tal caso, tra le ipotesi di cui si è ventilato vi sono quella di uno sgravio contributivo in sede di assunzione e quella di un parziale abbattimento degli oneri fiscali.
Ulteriore principio definito dalla legge delega è quello per cui il Governo è delegato ad adottare una specifica disposizione che consenta di disporre di termini certi per l'impugnazione del licenziamento. A tale proposito, merita osservare che l'art. 6 della Legge n. 604/1966, che è stato recentemente frutto di modifiche ed integrazioni a partire dal Collegato lavoro, prevede già termini di decadenza molto stringenti, ragion per cui è lecito ipotizzare che i nuovi termini certi per l'impugnazione di licenziamento, cui si riferisce la legge delega, siano da ricondurre all'ambito dei recessi datoriali relativi al contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti.
Altro principio introdotto in sede di delega è quello per cui il Governo è sollecitato ad una revisione della disciplina dei controlli a distanza sugli impianti e sugli strumenti di lavoro, ancora oggi regolati essenzialmente dall'art. 4 della Legge n. 300/1970, per i quali si richiede un intervento volto ad aggiornare la regolamentazione vigente e renderla più coerente con l'evoluzione tecnologica nel frattempo intervenuta. La delega al Governo in materia di controlli a distanza dovrà essere esercitata, per espressa previsione, attraverso un bilanciato contemperamento delle esigenze produttive ed organizzative dell'impresa con l'esigenza di tutela della dignità e della riservatezza dei lavoratori.
Un altro ambito di intervento della legge delega riguarda l'introduzione, anche in via sperimentale, del compenso orario minimo, con la precisazione che il minimo orario si applicherà non solo ai rapporti di lavoro subordinato, ma anche alle collaborazioni coordinate e continuative fino al “loro superamento”, ovvero fino a quando lo strumento contrattuale delle collaborazioni coordinate e continuative non sarà definitivamente sostituito. Il principio di delega sull'introduzione del compenso orario minimo, che presuppone la consultazione preventiva delle parti sociali, si applica con riferimento ai settori che non sono regolati da contratti collettivi sottoscritti dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale. Merita segnalare, peraltro, che la previsione sull'introduzione del salario minimo registra forti opposizioni, in quanto nell'attuale ordinamento trovano essenzialmente applicazione i livelli retributivi minimi stabiliti dai CCNL per ciascun settore merceologico e collettivo, che la stessa giurisprudenza applica per la determinazione dei livelli salariali minimi di competenza dei lavoratori a cui non è applicato un CCNL e per la verifica, in caso specifici, circa il rispetto dei parametri di sufficienza e proporzionalità della retribuzione.
La legge delega prevede la possibilità di estendere il ricorso alle prestazioni di lavoro accessorio nei diversi settori produttivi per attività discontinue e occasionali, a condizione che vi sia piena tracciabilità dei buoni lavoro acquistati e con contestuale rideterminazione delle aliquote previdenziali. L'ampliamento del ricorso al lavoro accessorio dovrà essere operato secondo linee coerenti con il principio di delega individuato alla lettera a) del comma 7 dell'art. 1 della legge delega, a norma del quale il Governo, nell'adozione del relativo decreto attuativo, dovrà valutare l'effettiva coerenza di tale misura, tra l'altro, con il tessuto occupazionale e con il contesto produttivo nazionale e internazionale.
La legge delega interviene anche sullo ius variandi in materia di mansioni, delegando il Governo ad introdurre, mediante decreto legislativo, disposizioni volte alla revisione della disciplina sulle mansioni nell'ambito di processi di riorganizzazione, di ristrutturazione o di conversione aziendale. Anche in questo caso, l'intervento da parte del Governo dovrà essere operato mediante il contemperamento dell'interesse datoriale alla distribuzione delle mansioni tra i dipendenti in modo utile e funzionale alle esigenze dell'impresa con l'interesse del lavoratore alla salvaguardia non solo del posto di lavoro, ma anche delle sue competenze professionali e delle sue esigenze di vita ed economiche. La nuova disciplina dovrà prevedere limiti alla modifica dell'inquadramento conseguente all'assegnazione di nuove e differenti mansioni, mentre alla contrattazione collettiva, ivi compresa quella aziendale e di secondo livello, viene consentito di individuare ulteriori ipotesi di disciplina.
Il Governo viene espressamente delegato ad introdurre un testo organico semplificato in merito alla disciplina delle tipologie contrattuali presenti nel mercato del lavoro, individuando e analizzando tutte le forme contrattuali esistenti nel contesto della situazione occupazionale e produttiva nazionale e internazionale, al fine di operare un intervento di semplificazione, di modifica o di superamento delle medesime tipologie contrattuali. A tale riguardo, la legge delega stabilisce che il Governo si muova nella direzione di abrogare le disposizioni sulle singole forme contrattuali che risultino incompatibili con il nuovo testo organico semplificato, con il precipuo intento di eliminare sovrapposizioni normative e problemi di interpretazione e di applicazione.
Tra le misure che il Governo è delegato ad adottare si collocano quelle sulla introduzione di un decreto legislativo che rafforzi gli strumenti diretti a favorire un percorso di alternanza tra scuola e lavoro e, inoltre, quella diretta ad un semplificazione e razionalizzazione delle attività ispettive attraverso l'istituzione, tra l'altro, di un'Agenzia unica per le ispezioni del lavoro tramite integrazione in un'unica struttura dei servizi ispettivi del Ministero del lavoro, dell'INPS e dell'INAIL e con ulteriore previsione di strumenti e forme di coordinamento con i servizi ispettivi delle ASL e delle ARPA.
Per ulteriori approfondimenti sulla Riforma, leggi Il Jobs Act è legge: i pilastri della riforma per incentivare il mercato del lavoro. |