Il potere di regolamentazione delle Casse di Previdenza private in relazione ai criteri di calcolo dei trattamenti pensionistici
05 Maggio 2015
Massima
In tema di liquidazione dei trattamenti pensionistici da parte delle Casse di Previdenza private il rispetto del c.d. principio del pro rata costituisce limite minimo indefettibile che le Casse medesime devono obbligatoriamente considerare. Il caso
Tizio, assicurato iscritto alla Cassa Nazionale di Previdenza e Assistenza a favore dei ragionieri e periti commerciali, è andato in pensione con decorrenza dal 1° giugno 2008. Il trattamento di quiescenza riconosciutogli è stato liquidato in base ai criteri stabiliti dalle delibere adottate dalla indicata Cassa previdenziale. Lo stesso Tizio ha proposto ricorso avverso il provvedimento di riconoscimento del trattamento di quiescenza sostenendo che i criteri stabiliti dai regolamenti adottati dall'Ente previdenziale privato sono in contrasto con i principi stabiliti dalla legge. In particolare, ha sostenuto che, ai sensi dell'art. 3 comma 12 della legge 335/95 per come modificato dall'art. 1 comma 763 della legge 296/2006, il trattamento pensionistico spettantegli deve essere calcolato applicando in maniera rigorosa il c.d. sistema del pro rata. La questione
Il caso posto al vaglio della Suprema Corte nella ordinanza che si commenta riguarda il potere di regolamentazione delle Casse di Previdenza private in relazione ai criteri di calcolo dei trattamenti pensionistici liquidati dagli stessi Enti. In particolare, si discute se le indicate Casse possono applicare metodi di determinazione del trattamento differenti rispetto a quelli previsti nel momento in cui sono stati versati i contributi previdenziali. In altri termini, se il c.d. principio del pro rata costituisce il limite minimo invalicabile che le Casse medesime devono obbligatoriamente rispettare. Le soluzioni giuridiche
L'orientamento consolidato della Giurisprudenza di legittimità risulta fissato nel seguente principio di diritto: "Nel regime dettato dalla L. 8 agosto 1995, n. 335, art. 1, comma 12 (di riforma del sistema pensionistico obbligatorio e complementare), prima delle modifiche a tale disposizione apportate dalla L. 27 dicembre 2006, n. 296, art. 1, comma 763 (legge finanziaria 2007), la garanzia costituita dal principio c.d. del pro rata - il cui rispetto è prescritto per le casse privatizzate ex D.Lgs. 30 giugno 1994, n. 509, nei provvedimenti di variazione delle aliquote contributive, di riparametrazione dei coefficienti di rendimento o di ogni altro criterio di determinazione del trattamento pensionistico, in termini peggiorativi per gli assicurati, in modo che siano salvaguardate le anzianità già maturate rispetto alla introduzione delle modifiche derivanti dai provvedimenti suddetti - ha carattere generale e trova applicazione anche in riferimento alle modifiche in peius dei criteri di calcolo della quota retributiva della pensione e non già unicamente con riguardo alla salvaguardia, ratione temporis, del criterio retributivo rispetto al criterio contributivo introdotto dalla normativa regolamentare delle Casse" (ex pluribus: Cass. sez. lav., 18 aprile 2011, n. 8846; Cass. sez. lav., 2 maggio 2011, n. 9621; Cass. sez. 6-L, 7 marzo 2012, n. 3613; Cass. sez. lav., 30 luglio 2012, n. 13607, da ultimo Cass. sez. 6-L, 14 febbraio 2014, n. 3520). Dopo la modifica di cui al citato art. 1 comma 763 L. 296/2006, si è ritenuto, tuttavia, che "per i trattamenti pensionistici liquidati a partire dal 1 gennaio 2007 trova applicazione il medesimo L. n. 335 del 1995, art. 3, comma 12, ma nella formulazione introdotta dal citato L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 763, che prevede che gli enti previdenziali suddetti emettano i provvedimenti necessari per la salvaguardia dell'equilibrio finanziario di lungo termine, "avendo presente" - e non più rispettando in modo assoluto - il principio del pro rata in relazione alle anzianità già maturate rispetto alla introduzione delle modifiche derivanti dai provvedimenti suddetti e comunque tenendo conto dei criteri di gradualità e di equità fra generazioni con espressa salvezza degli atti e delle deliberazioni in materia previdenziale già adottati dagli enti medesimi ed approvati dai Ministeri vigilanti prima della data di entrata in vigore della L. n. 296 del 2006; atti e Delib. che, in ragione della disposizione qualificata di interpretazione autentica recata dalla L. 27 dicembre 2013, n. 147, art. 1, comma 488 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - legge di stabilità 2014) si intendono legittimi ed efficaci a condizione che siano finalizzati ad assicurare l'equilibrio finanziario di lungo termine" (Cass. sez. lav., 13 novembre 2014, n. 24221). Di fronte all'indicato contrasto giurisprudenziale, la Sezione Lavoro della Suprema Corte, con l'ordinanza che si commenta, ha rimesso la questione alle Sezioni Unite del medesimo Supremo Consesso. Osservazioni
L'evoluzione normativa ha avuto incisivi risvolti sulla disciplina regolamentare adottata dagli Enti di Previdenza privati in materia di pensione. Come tutti sappiamo, il sistema di calcolo delle pensioni, per tutti i settori, è stato modificato dalla legge 335/95. Prima della sua entrata in vigore, i trattamenti di quiescienza venivano genericamente calcolati e liquidati con il sistema c.d. retributivo in forza del quale la prestazione pensionistica doveva essere parametrata alla retribuzione percepita o dovuta al singolo lavoratore. Per i lavoratori autonomi il dato retributivo era fittiziamente determinato dai singoli Enti o Istituti in base ai criteri stabiliti per legge. La citata legge 335/95 ha inserito nel nostro ordinamento il sistema di calcolo c.d. contributivo per il quale la pensione deve essere calcolata, a regime, esclusivamente sulla base dei contributi effettivamente versati dal soggetto assicurato. Si è previsto, tuttavia, che il passaggio dal primo al secondo sistema doveva essere graduale. Si sono salvaguardate, infatti, le posizioni dei lavoratori che potevano già far valere alla data di entrata in vigore della indicata legge una determinata anzianità contributiva. In queste ipotesi, si è mantenuto il sistema retributivo, quantomeno per la contribuzione accreditata nei periodi precedenti alla riforma, e si è stabilito che il trattamento pensionistico deve essere liquidato in base al c.d. principio del pro rata secondo il quale l'importo complessivo del trattamento previdenziale deve essere determinato sommando le "quote" di pensione risultanti dai due diversi metodi di calcolo: retributivo e contributivo.
Per quanto riguarda le Casse Private, l'esigenza di salvaguardia della descritta gradualità, ha determinato che i trattamenti di quiescienza riconosciuti dopo il 31/12/1995 a favore dei lavoratori iscritti ai medesimi Enti dovevano essere liquidati "nel rispetto del principio del pro rata in relazione alle anzianità già maturate". L'art. 3 comma 12 della legge 335/95, nella originaria formulazione, disponeva, infatti, che "Nel rispetto dei princìpi di autonomia affermati dal decreto legislativo 30 giugno 1994, n. 509, ....... , allo scopo di assicurare l'equilibrio di bilancio ....... sono adottati dagli enti medesimi (le Casse private n.d.r.) provvedimenti di variazione delle aliquote contributive, di riparametrazione dei coefficienti di rendimento o di ogni altro criterio di determinazione del trattamento pensionistico nel rispetto del principio del pro rata in relazione alle anzianità già maturate rispetto alla introduzione delle modifiche derivanti dai provvedimenti suddetti." A tale proposito la Giurisprudenza di legittimità aveva chiarito che l'autonomia attribuita alle Casse Private nell'esercizio del potere di variazione stabilito dalla citata disposizione trovava, quindi, limite, non solo nella definizione dei tipi di provvedimento da adottare - identificati, appunto, in base al loro contenuto ("variazione delle aliquote contributive, di riparametrazione dei coefficienti di rendimento o di ogni altro criterio di determinazione del trattamento pensionistico") - ma anche (nel) la imposizione del "rispetto del principio del pro rata". In forza del descritto principio si è ritenuto che la garanzia del rispetto del principio del pro rata "ha carattere generale e trova applicazione anche in riferimento alle modifiche in peius dei criteri di calcolo della quota retributiva della pensione e non già unicamente con riguardo alla salvaguardia, ratione temporis, del criterio retributivo rispetto al criterio contributivo introdotto dalla normativa regolamentare delle Casse" (V. le citate Cass. 18.4.11 n. 8847; Cass. ord. 7.3.12 n. 3613; Cass. 29.10.12 n. 18556; Cass. n. l3607/12; Cass. n. 8559/12; Cass. n. 18558/12, Cass. n. 18479/12; Cass. nn. 13607/2012, 13613/2012, 13614/2012 ).
La riferita interpretazione costituiva approdo consolidato della Giurisprudenza di legittimità. Sennonché, il menzionato art. 3 comma 12 della legge 335/95 è stato modificato dall'art. 1 comma 763 della legge 27 dicembre 2006 n. 296. Questa norma, nel dichiarato intento di far raggiungere alle Casse private l'equilibrio di bilancio in un arco temporale non inferiore a trent'anni, ha disposto che, a tali fini, gli indicati Enti possono adottare "i provvedimenti necessari per la salvaguardia dell'equilibrio finanziario di lungo termine, avendo presente il principio del pro rata in relazione alle anzianità già maturate rispetto alla introduzione delle modifiche derivanti dai provvedimenti suddetti e comunque tenuto conto dei criteri di gradualità e di equità fra generazioni." Al fine di salvaguardare eventuali interventi regolamentari già adottati in base ai criteri precedentemente contenuti nella norma, si è anche previsto che “Sono fatti salvi gli atti e le deliberazioni in materia previdenziale adottati dagli enti di cui al presente comma ed approvati dai Ministeri vigilanti prima della data di entrata in vigore della presente legge”. Quest'ultimo inciso è stato autenticamente interpretato dall'art. 1 comma 488 della legge 147/2013 per il quale gli atti sopra descritti “si intendono legittimi a condizione che siano finalizzati ad assicurare l'equilibrio finanziario di lungo termine”.
Nel delineato contesto appare evidente che le descritte modifiche normative potrebbero portare, da un lato, a distinguere le fattispecie relative all'insorgenza del diritto ai trattamenti di quiescenza liquidati dalle Casse Private in relazione al tempo in cui il diritto medesimo viene ad esistenza (prima o dopo, cioè, all'entrata in vigore della legge 296/2006) e, dall'altro, a verificare la portata e l'applicabilità della norma di salvaguardia degli atti (già) adottati dai vari Enti in relazione all'interpretazione autentica di cui si è riferito. In merito al primo è necessario accertare se il principio del rispetto del pro rata abbia o meno, ancora, natura cogente. Per quanto riguarda il secondo, invece, è necessario indagare se esistono e quali sono i limiti alla salvaguardia degli atti di gestione, in contrasto con la previgente normativa, adottati dalle Casse ed approvati dai Ministeri vigilanti prima della data di entrata in vigore della modifica apportata dalla citata legge 296/2006 per come autenticamente interpretata dalla legge 147/2013. Sono questi i sostanziali "dubbi" che ha posto l'ordinanza in commento. La fattispecie sottoposta al suo esame riguarda, infatti, una pensione corrisposta dalla Cassa di Previdenza per i Ragionieri e periti commerciali avente decorrenza 1 giugno 2008. Ma andiamo per ordine. Ad una prima lettura sembrerebbe che il principio del pro rata non debba più essere (assolutamente) "rispettato" ma lo stesso deve, invece, essere "tenuto presente" così come si deve "tenere conto" dei criteri di gradualità e di equità fra generazioni, al fine di salvaguardare l'equilibrio finanziario di lungo periodo. La contorta esposizione lessicale usata dal legislatore impedisce l'individuazione di criteri oggettivi in base ai quali definire i limiti e le differenze tra il precedente "rispetto" (assoluto) del detto principio del pro rata e l'attuale "tenere presente" il medesimo principio. D'altra parte, il potere di intervento delle Casse, indirizzato (e limitato) al solo raggiungimento dell'equilibrio finanziario di lungo periodo (cinquant'anni, arg. ex art. 24 comma 24 D.L. 201/2011 conv. in legge 22 dicembre 2011, n. 214), attribuisce agli stessi Enti una discrezionalità che può incidere in maniera sostanziale sul diritto, rectius, sulla quantificazione, del trattamento di quiescenza dei singoli iscritti. E mentre nel settore dell'Assicurazione generale obbligatoria i limiti tra le due contrapposte esigenze (quella dell'assicurato ad avere liquidata una prestazione pensionistica adeguata che tenga conto della sua storia contributiva precedente alla riforma e quella dell'Ente previdenziale a raggiungere le economie di bilancio) risultano specificamente individuati dallo stesso legislatore il quale, indistintamente per i lavoratori subordinati ed i lavoratori autonomi, ha disciplinato la regolamentazione temporale del sistema di calcolo della pensione attraverso la disciplina delle quote da calcolarsi, rispettivamente, con il sistema retributivo e contributivo, nell'ambito dei rapporti tra Casse Private e loro iscritti viene attribuita alle prime una autonomia e discrezionalità alle quali non vengono posti limiti se non quelli derivanti dal rispetto dell'equilibrio di bilancio di lungo periodo. A parere di chi scrive, l'opzione ermeneutica per la quale il rispetto del principio del pro rata da parte delle Casse Private non è più assoluto determina una palese violazione del principio di uguaglianza di cui all'art. 3 della Carta Fondamentale. Non si ritiene, infatti, possibile differenziare il sistema di calcolo della pensione di lavoratori che svolgono una uguale attività lavorativa (autonoma) in relazione alla Cassa o Ente Previdenziale che provvede all'erogazione della prestazione. Il principio del pro rata costituisce, per esplicita scelta legislativa, il mezzo adeguato alle esigenze di vita dei pensionati che trova fondamento nel secondo comma dell'art. 38 della Costituzione. E tale principio deve trovare applicazione cogente anche nei confronti delle Casse Previdenziali la cui attività istituzionale di previdenza ed assistenza continua ad avere carattere pubblicistico (Corte Cost. n. 15 del 5 febbraio 1999) ed alle quali non è stato attribuito (né sarebbe stato possibile attribuire) il potere di incidere sulla disciplina sostanziale di tali assicurazioni (Corte Cost. n. 248 del 18 luglio 1997; Cass. sez. lav., 5 aprile 2005 , n. 7010; T.A.R. Lazio Roma, sez. III 08 marzo 2011 n. 2121). Sull'argomento, mette conto chiarire che il citato art. 24 commi 24 e 2 del D.L. 201/2011, proprio per evitare eventuali disparità di trattamento, pur ribadendo l'autonomia delle Casse nella materia, da esercitarsi entro il 30 settembre 2012, ha previsto che in caso di mancato intervento da parte dei medesimi Enti nel termine previsto dalla stessa disposizione ovvero in caso di mancata approvazione degli emanandi regolamenti da parte dei Ministeri Vigilanti, dall'01.01.2012, devono trovare applicazione, anche nei confronti dei loro iscritti, le norme che pongono come limite minimo il pro rata nei confronti della generalità dei lavoratori. Sotto altro profilo, l'art. 1 comma 12 della legge 335/95 nella nuova formulazione si appalesa in contrasto con il principio di ragionevolezza di cui al citato art. 3 della Costituzione. In merito, giova ricordare che "L'individuazione dei presupposti per il conseguimento dei trattamenti di quiescenza, al pari della determinazione della misura delle prestazioni o delle correlative variazioni, rientra, infatti, nel novero delle scelte riservate al legislatore, attraverso un bilanciamento dei valori contrapposti, che tenga conto accanto alle esigenze di vita dei beneficiari anche delle concrete disponibilità finanziarie e delle esigenze di bilancio (ex plurimis, sentenze n. 316 del 2010, n. 30 del 2004, e ordinanza n. 256 del 2001). Tale libertà di scelta incontra pur sempre il limite della ragionevolezza (sentenze e ordinanza citate)" (Corte Cost. 16 luglio 2014 n. 203). In quest'ottica, i criteri stabiliti dal legislatore e di cui si è sopra riferito, rimandando agli adottandi atti delle singole Casse, impediscono di pervenire ad una individuazione oggettiva dei limiti di normazione posti agli Enti Previdenziali privati. L'applicazione del concetto secondo il quale gli Enti medesimi devono '"avere presente" il principio del pro rata tenendo conto dei criteri di gradualità e di equità fra generazioni al fine di assicurare l'equilibrio finanziario di lungo termine, comporta l'attribuzione alle stesse di una assoluta discrezionalità che può determinare inconcepibili interventi sul diritto alla pensione-mezzo adeguato alle esigenze di vita degli assicurati. Inoltre, la genericità dei termini usati impedisce la valutazione e l'esercizio del potere di controllo giurisdizionale sugli atti adottabili dalle Casse Private. L'equilibrio finanziario di lungo periodo, anche se astrattamente accertabile, come mero dato numerico, nella fase di merito dei giudizi (Cass. sez. lav. 12 agosto 2014 n. 17892), può essere rispettato con interventi sia nell'ambito del rapporto contributivo (attraverso gli aumenti delle aliquote) sia nell'ambito del rapporto previdenziale (attraverso le riduzioni degli importi delle prestazioni). La mancata certa specificazione dei limiti tra i due descritti criteri (pro rata e gradualità ed equità fra generazioni) non consente di definire in nessun modo quale debba essere il rapporto minimo che deve esserci tra gli stessi. Né vale sostenere che, così facendo, il legislatore ha, sostanzialmente, delegato in toto la funzione normativa agli Enti medesimi i quali possono intervenire "anche in deroga a disposizioni di legge precedenti" (Cass. sez. lav. 16 novembre 2009 n. 24202). In effetti, per come autorevolmente chiarito, "occorre tener conto del carattere tutt'affatto speciale dei regolamenti di delegificazione previsti in generale, e disciplinati nella formazione, dalla L. 23 agosto 1988, n. 400, art. 17, comma 2, e "destinati a sostituire, in materie non coperte da riserva assoluta di legge, preesistenti disposizioni legislative statali, in conformità a nuove norme generali regolatoci della materia stabilite con legge, e con effetto di abrogazione differita delle disposizioni legislative sostituite" (Corte Cost. n. 376 del 2002). Tale disposizione, pur priva di rango costituzionale, disegna un modello di carattere generale di tal che la deviazione da esso, ad opera della legge ordinaria, è di stretta interpretazione" (Cass. sez. lav. 13 novembre 2014 n. 24221). In questo contesto, tuttavia, nelle materie in cui vi sia riserva di legge, anche relativa (come è nella materia che stiamo esaminando), ove si verifichi "una sottrazione di una materia alla preesistente disciplina della fonte primaria, con contestuale abrogazione delle norme di legge previgenti, (la norma delegante n.d.r.) non può essere priva di indicazioni (oggetto/materia, criteri e principi direttivi, limiti) volte a costituire un parametro, pur ampio e generico, per il successivo sindacato giurisdizionale di legittimità dell'atto da parte del giudice amministrativo, pena la violazione degli artt. 24 e 113 Cost." (Cons. Stato Sez. IV 10 luglio 2013 n. 3675). Appare di tutta evidenza che una interpretazione dell'art. 3 comma 12 della legge 335/95, nella formulazione vigente, secondo la quale il principio del pro rata non costituisce limite indefettibile per le Casse private, determinerebbe l'indicata violazione dei citati art. 24 e 113 della Carta Fondamentale nonché, inoltre, dell'art. 38 2° comma della stessa Costituzione in quanto l'eventuale differente sistema di calcolo della pensione comporterebbe la "non adeguatezza" del mezzo-trattamento di quiescenza alle esigenze di vita del pensionato. Le considerazioni svolte portano a ritenere superato anche il profilo riguardante la sanabilità delle delibere adottate dalle Casse prima delle modifiche apportate dalla più volte citata legge 296/2006. Le stesse, inoltre, devono intendersi sanate e sanabili se riferiti ai bilanci tecnici degli Enti previdenziali privatizzati (Corte d'Appello Roma 18 giugno 2014, n. 2219 in materia di restituibilità della contribuzione non utilizzata da parte della Cassa di Previdenza Forense) al fine di salvaguardare l'attività legittimamente posta in essere "allo scopo di assicurare l'equilibrio di bilancio con l'intento di evitare che le modifiche apportate potessero rendere inutilizzabili gli interventi già adottati a tali fini e creare degli eventuali squilibri finanziari. Non si tratta di una generica salvaguardia di tutti gli atti adottati dalle Casse private, compresi quelli illegittimi perché contrari alle norme precedentemente in vigore, ma soltanto di quelli, relativi alla formazione dei bilanci (si pensi, a titolo di mero esempio, alle riserve di bilancio), che erano stati posti in essere legittimamente, al precipuo fine di evitare squilibri finanziari" (mi sia consentito rinviare a D. Mesiti, La restituzione dei contributi agli Avvocati che non hanno maturato i requisiti per il diritto a pensione, in Rivista Italiana di Diritto de Lavoro, 2015, II pag. 269 e ss.). In conclusione, si ritiene che una interpretazione costituzionalmente orientata comporta che il mantenimento del principio del pro rata come limite minimo indefettibile per il calcolo del trattamento di quiescenza deve trovare applicazione in maniera rigida anche per le prestazioni corrisposte dalle Casse di Previdenza privatizzate. L'esigenza di rimessione alle SS.UU. rappresentata nell'ordinanza che si commenta risulta tempestiva ed oculata soprattutto in relazione al preposto obiettivo di evitare che una eventuale diversificazione delle soluzioni interpretative possa determinare la violazione anche delle norme Comunitarie ed il conseguente intervento delle Corti sovranazionali. |