Licenziamento collettivo anticipato da risoluzioni incentivate: legittimità del criterio della pensionabilità
11 Novembre 2015
Massime
Ove un licenziamento collettivo sia preceduto da un piano di esodo incentivato dei lavoratori, da effettuarsi mediante adesione volontaria ad un piano di uscita calendarizzato nel tempo, l'utilizzo dell'unico criterio di scelta, nel personale da licenziare, della pensionabilità è legittimo con riferimento ai lavoratori che non abbiano aderito al piano di esodo volontario anche ove la data di cessazione del rapporto dei lavoratori che abbiano accettato l'esodo anticipato sia successiva a quella del personale licenziato in applicazione del criterio della pensionabilità.
Ove un licenziamento collettivo sia preceduto da un piano di esodo incentivato dei lavoratori, da effettuarsi mediante adesione volontaria ad un piano di uscita calendarizzato nel tempo, l'utilizzo dell'unico criterio di scelta, nel personale da licenziare, della pensionabilità non può ritenersi legittimo ove la data di cessazione del rapporto dei lavoratori che abbiano accettato l'esodo anticipato sia successiva a quella del personale licenziato in applicazione del criterio della pensionabilità, atteso che l'adesione all'esodo intanto giustifica la sottrazione del dipendente dalla platea dei licenziabili in quanto abbia determinato l'effettiva risoluzione del rapporto nel momento in cui l'azienda, all'esito della procedura, intimi i singoli atti di recesso.
Appello Roma 23 giugno 2015, vai alla Sezione Casi e sentenze di merito Appello Roma 23 aprile 2015, vai alla Sezione Casi e sentenze di merito Il caso
Le pronunce, di opposto contenuto, riguardano la medesima procedura di riduzione di personale avviata da un istituto di credito e altre aziende del gruppo all'esito della sottoscrizione con la parte sindacale di un accordo sul Piano Strategico 2015 finalizzato alla riduzione dei costi aziendali.
L'accordo sindacale prevedeva che, prima di avviare la procedura di licenziamento collettivo, si utilizzasse un sistema di uscita mediante esodo incentivato del personale. In particolare si prevedeva la possibilità, per i dipendenti che avessero già maturato ovvero maturassero entro il triennio successivo i requisiti di legge previsti per avere diritto ai trattamenti pensionistici AGO, di presentare entro un termine perentorio domanda irrevocabile di risoluzione su base volontaria e consensuale del rapporto di lavoro alla data di maturazione del trattamento pensionistico. Detto accordo prevedeva altresì che nel caso in cui il numero delle adesioni all'esodo incentivato fosse stato inferiore rispetto a quello previsto, la parte datoriale avrebbe avviato una procedura di riduzione di personale, nell'ambito della quale i lavoratori in esubero sarebbero stati individuati con applicazione del criterio della pensionabilità, per cui sarebbero stati licenziati i lavoratori già in possesso dei requisiti di accesso al trattamento pensionistico AGO, ovvero che li maturassero nel triennio successivo. Una norma transitoria di detto accordo, dalla quale è nato il contenzioso, prevedeva poi la possibilità, per determinati lavoratori che ricoprivano posizioni con contenuti specialistici e/o commerciali e che avessero aderito all'esodo incentivato, di posticipare la data di risoluzione dei rapporto di lavoro per un periodo di massimo 9 mesi.
Entrambi i lavoratori licenziati all'esito della procedura di riduzione di personale hanno impugnato il licenziamento, evidenziando, oltre a vizi formali della procedura per violazione dell'art. 4 della legge n. 223/91, la violazione dell'art. 5 della legge medesima nell'individuazione dei dipendenti da licenziare con riferimento al criterio della pensionabilità, ritenuto discriminatorio poiché fondato sul solo requisito dell'età e comunque illegittimo, in quanto la parte datoriale aveva discrezionalmente escluso dalla platea dei licenziabili un determinato numero di dipendenti che avevano aderito volontariamente all'esodo anticipato, posticipandone tuttavia la fuoriuscita dall'azienda in applicazione della clausola transitoria sopra riportata. Le questioni
La Corte si interroga se sia legittima l'applicazione del criterio della pensionabilità in una ipotesi in cui, di fatto, un determinato numero di lavoratori era stato escluso dalla procedura di riduzione di personale poiché aveva aderito ad una risoluzione volontaria del rapporto di lavoro, tuttavia posticipando gli effetti dell'uscita rispetto ai lavoratori licenziati all'esito della procedura, in applicazione di un accordo sindacale che prevedeva di differire l'uscita per un determinato numero di lavoratori che ricopriva posizioni con contenuti specialistici e/o commerciali di particolare rilevanza. Le soluzioni giuridiche
La Corte di Appello di Roma, in differente composizione, ha dato una risposta di contenuti opposti rispetto alle richieste dei lavoratori, diversamente interpretando la portata dell'accordo transitorio con il quale si consentiva ai lavoratori che avessero aderito al piano volontario di esodo di posticipare gli effetti della cessazione del rapporto di lavoro per effetto dello svolgimento di mansioni di particolare rilevanza.
In via preliminare, va evidenziato che entrambe le sentenze hanno rigettato i motivi di doglianza attinenti ai vizi di procedura, aderendo all'ormai consolidato orientamento della Suprema Corte in virtù del quale, una volta accertata la regolarità della procedura e la completezza delle informazioni fornite alle organizzazioni sindacali, il controllo giudiziale non può riguardare l'esistenza delle ragioni di riduzione o trasformazione dell'attività produttiva, ponendosi il rispetto delle forme e delle procedure in funzione surrogatoria del controllo di merito (Cass. 14 giugno 2007, n. 13876; Cass. 11 marzo 2011, n. 5884; Cass. 26 agosto 2013, n. 19576).
Con riferimento, viceversa, alle modalità di utilizzazione del criterio di scelta della pensionabilità, i contenuti delle pronunce divergono profondamente, atteso che una sentenza rigetta le tesi del lavoratore, concludendo per la legittimità del licenziamento, mentre l'altra dichiara illegittimo il licenziamento, con conseguente applicazione della tutela reintegratoria debole (con condanna della società convenuta al pagamento di un'indennità risarcitoria pari a 12 mensilità).
In particolare, la prima sentenza (Appello Roma, 23 giugno 2015), partendo dal presupposto che il criterio del possesso del requisito per accedere al pensionamento, nella scelta del personale da licenziare, sia legittimo anche con riferimento alla giurisprudenza comunitaria espressasi sul punto, ha ritenuto che la disposizione transitoria con la quale si consentiva al personale che avesse volontariamente aderito all'esodo di posticipare la data di cessazione del rapporto, comunque per un periodo massimo di 9 mesi, non avesse in alcun modo condizionato il licenziamento dei pensionabili, attenendo detta disposizione transitoria unicamente alla efficacia temporale degli esodi anticipati e non alla individuazione dei soggetti da licenziare, che pacificamente erano tutti i dipendenti che non avevano accettato la proposta di esodo volontario e che erano in possesso del requisito pensionistico o lo avrebbero maturato nel corso dell'arco temporale individuato in sede sindacale. Ed infatti, “la protrazione nel tempo di alcuni dei rapporti di lavoro che si erano risolti per dimissioni o comunque volontariamente non ha sottratto i lavoratori aderenti all'esodo al licenziamento: il numero delle dimissioni incentivate è stato considerato ai fini della individuazione del numero dei lavoratori da licenziare, con la conseguenza che la ricorrente comunque sarebbe stata inserita fra i dipendenti da licenziare e senza necessità di alcuna ulteriore comparazione perché alla data del licenziamento aveva maturato il diritto al trattamento pensionistico e perché non aveva aderito alla proposta di esodo o di risoluzione consensuale del rapporto. L'esercizio della facoltà prevista nella norma transitoria non ha influito minimamente sul criterio della pensionabilità né ha condizionato la trasparenza della scelta dei lavoratori da licenziare: sono stati licenziati, così come concordato in sede sindacale, tutti e solo i lavoratori che alla data indicata negli accordi sindacali intervenuti nel corso della procedura avevano maturato il diritto al trattamento pensionistico e che non avevano aderito alla proposta di esodo incentivato”.
Di parere opposto l'altra pronuncia oggetto di commento (Appello Roma, 23 aprile 2015), secondo cui la facoltà di posticipare la risoluzione del rapporto di lavoro per quei dipendenti che avevano aderito all'esodo volontario e ricoprivano posizioni con contenuti specialistici e/o commerciali di particolare rilevanza in realtà si traduceva in uno strumento di elusione del criterio di scelta concordato, per la notevole discrezionalità attribuita alla parte datoriale nella fase di scelta del personale da licenziare. Secondo tale pronuncia, infatti, nel caso di specie la parte datoriale “consentendo a dipendenti, individuati in base a criteri assolutamente discrezionali, di aderire all'esodo anticipato ma di differire nel tempo gli effetti di detta adesione, di fatto ha consentito la prosecuzione di rapporti che, in base all'unico criterio adottato, ossia quello del possesso dei requisiti per il pensionamento, dovevano essere immediatamente risolti, o per effetto della adesione all'esodo volontario o per l'iniziativa unilaterale del datore”. Osservazioni
La legittimità del criterio della pensionabilità nell'ambito delle procedure di riduzione del personale è stata ampiamente scrutinata dalla giurisprudenza, sia nazionale che comunitaria.
In primo luogo, ci si è chiesti se l'applicazione di detto criterio potesse ritenersi compatibile con la direttiva 2000/78/CE (articolo 6 paragrafo 1), secondo cui gli Stati membri possono prevedere che le disparità di trattamento in ragione dell'età non costituiscano discriminazione laddove esse siano oggettivamente e ragionevolmente giustificate, nell'ambito del diritto nazionale, da una finalità legittima, compresi giustificati obiettivi di politica del lavoro, di mercato del lavoro e di formazione professionale. Sul punto, la Corte di Giustizia si è pronunciata più volte affermando che una disparità di trattamento in ragione dell'età non costituisce discriminazione quando è obiettivamente giustificata da una delle finalità indicate dalla direttiva (Corte di Giustizia, sentenza 5 marzo 2009, Age Concern England, C-388/2007; sentenza 18 giugno 2009, Hutter, C-88/2008; sentenza 6 novembre 2012, S. Prigge, C-286/2012).
Analogamente, la Corte Costituzionale (sentenza 30 giugno 1994, n. 268) ha ritenuto che “la svalutazione del privilegio tradizionale dell'anzianità di servizio, nei confronti dei lavoratori prossimi al raggiungimento dei requisiti di età e di contribuzione per fruire di un trattamento di quiescenza, può essere giustificata in una situazione del mercato del lavoro tale da escludere per i lavoratori più giovani la possibilità di trovare a breve termine un altro posto di lavoro, oppure, secondo un criterio accolto dalla stessa legge n. 223/91 (art. 28), nei casi di ristrutturazioni industriali caratterizzate da elevati livelli di innovazione tecnologica”.
Anche la Suprema Corte ha ritenuto che il criterio di scelta convenzionale della pensionabilità non possa ex se ritenersi discriminatorio, anche se adottato in via esclusiva; valutati i diversi interessi dei lavoratori coinvolti, la Suprema Corte ha infatti ritenuto che il criterio in questione risponda a razionalità “perché ad esso corrisponde comunque il raggiungimento di una provvidenza economica pensionistica certa, inesistente per i giovani licenziandi…. Nel caso di specie il male minore è rappresentato dall'accesso alla prestazione pensionistica (Cass. 9 settembre 2000 n. 11875; in termini, sulla giustificatezza dei licenziamenti dei lavoratori che, in applicazione del criterio della pensionabilità, subiscono un danno comparativamente minore, Cass. 13 settembre 2002, n. 13393; Cass. 2 dicembre 2003, n. 12871); tuttavia, la Cassazione ha ritenuto che nell'utilizzo di detto criterio di scelta debba ritenersi esclusa qualsivoglia discrezionalità della parte datoriale, all'evidente fine di evitarne un uso distorto. Conseguentemente, ad esempio, è stato ritenuto illegittimamente utilizzato il criterio della pensionabilità in ipotesi in cui lo stesso prescindesse da una predeterminazione quantitativa (rispetto ai numeri) e qualitativa (rispetto alle categoria di appartenenza) degli esuberi, poiché in tal caso il criterio di scelta della pensionabilità finiva per colpire indistintamente tutti i dipendenti indipendentemente dalle eccedenze dichiarate dall'azienda (Cass. 20 marzo 2013, n. 6959).
L'utilizzo nei casi oggetto di commento del criterio convenzionale della pensionabilità, nella scelta dei lavoratori da licenziare, va quindi valutato in relazione alla ratio sottesa alla legge n. 223/91, che è quella di garantire una gestione trasparente ed oggettiva degli esuberi di personale, escludendo qualsivoglia discrezionalità della parte datoriale, il cui potere di recesso collettivo è a tal fine procedimentalizzato.
Applicando i principi di cui sopra al caso di specie, non sembra violata la ratio della norma, ove si consideri che la facoltà data ai lavoratori di aderire ad una risoluzione consensuale del rapporto di lavoro prima dell'attivazione della procedura unilaterale di riduzione del personale non ha inciso nella scelta dei lavoratori da licenziare, poiché all'esito della conclusione della procedura sono stati licenziati, nel rispetto degli accordi sindacali, unicamente i lavoratori che alla data indicata negli accordi sindacali avevano maturato il diritto al trattamento pensionistico che in precedenza non avevano aderito alla proposta di esodo incentivato. Nella fattispecie, quindi, il criterio della pensionabilità non ha subito una utilizzazione arbitraria ovvero distorta da parte del datore di lavoro, considerato che i lavoratori licenziati possedevano i requisiti individuati in sede collettiva ai fini della scelta del personale da licenziare, né pare che il mero dato temporale della data di uscita dall'azienda (posticipato per i lavoratori che avevano aderito all'esodo incentivato) possa aver influito, condizionandola, sulla scelta dei lavoratori da licenziare, una volta verificato che gli stessi erano in possesso del requisito della pensionabilità. Riferimenti bibliografici
M. MISCIONE, I licenziamenti per riduzione di personale e la mobilità in CARINCI (a cura di), La disciplina dei licenziamenti dopo le leggi 10/90 e 223/91, Napoli, 1991, 329 e ss.
G. NATULLO, La contrattazione collettiva sui criteri di scelta nei licenziamenti collettivi: funzioni, contenuti, struttura, in Dir. Rel Ind. 2002, 499
A. VALLEBONA, Il licenziamento collettivo per riduzione di personale, in Mass. Giur. Lav, 1992, 431 |