Annullabilità dell'accordo transattivo di risoluzione del rapporto con incentivazione all'esodo e principio di presupposizione
07 Luglio 2016
Massima
La modifica normativa in tema di accesso ai requisiti pensionistici avvenuta successivamente alla risoluzione del rapporto di lavoro con incentivazione all'esodo non è idonea, in applicazione della cd. “presupposizione”, ad invalidare l'accordo di risoluzione del rapporto di lavoro con incentivazione e l'impugnativa di quest'ultimo si sottrae all'ambito di applicazione dell' art. 2113 c.c. Il caso
La sentenza riguarda un caso di un dipendente il cui rapporto di lavoro si era risolto in forza di un accordo transattivo stipulato con la parte datoriale, in virtù del quale lo stesso aveva aderito ad un “Piano triennale di incentivo all'esodo” promosso dalla società di appartenenza.
Era tuttavia accaduto che, decorso un anno dalla conclusione del contratto e sei/sette mesi dal pagamento di quanto concordato a titolo di incentivazione all'esodo, era entrato in vigore il D.L. 6.12.2011 n. 201 , che aveva aumentato da tre a cinque gli anni mancanti per poter accedere alla pensione.
Sulla scorta di tale modifica normativa sopravvenuta, il lavoratore, costretto a far fronte ad altri due anni di contribuzione, aveva impugnato stragiudizialmente il predetto accordo transattivo nei termini di cui all' art. 2113 c.c. successivamente chiedendo al Tribunale di Nuoro in via principale che ne fosse dichiarata la nullità ovvero l'annullabilità ed in via subordinata che la società fosse condannata a risarcirgli i danni subiti, pari alle retribuzioni non percepite ed ai contributi non versati dalla data di sottoscrizione dell'accordo risoluzione.
A fondamento della richiesta, il lavoratore adduceva che ove fosse stato al corrente dello ius superveniens non avrebbe sottoscritto il predetto accordo o quanto meno lo avrebbe sottoscritto a condizioni differenti.
Il Tribunale di Nuoro, valutata complessivamente la vicenda nei suoi contorni fattuali e temporali, ha rigettato la domanda, applicando l'istituto, di derivazione giurisprudenziale, dalla cd. “presupposizione”. Le questioni
La questione in esame riguarda da un lato gli effetti che una modifica normativa successiva alla risoluzione del contratto di lavoro possono avere sull'assetto contrattuale voluto dalle parti, ove peggiorativa nei contenuti rispetto alla disciplina previgente, e dall'altro le condizioni ed i limiti di impugnabilità di un accordo transattivo di risoluzione del rapporto di lavoro, con corresponsione di un incentivo all'esodo, ai sensi di quanto disposto dall' art. 2113 c.c. Le soluzioni giuridiche
Con la sentenza in esame il Tribunale perviene al rigetto della domanda, affrontando la tematica sotto un duplice profilo, in ordine di priorità logico/giuridica.
Secondo il Tribunale di Nuoro, infatti, sono “due le tematiche oggetto di ricorso: la gestione delle sopravvenienze normative che impattano sull'equilibrio contrattuale e la disposizione da parte del lavoratore di diritti derivanti da disposizioni inderogabili”.
Quanto al primo profilo, correttamente il Tribunale ritiene di applicare, nella fattispecie, la cd. “presupposizione”, istituto di creazione giurisprudenziale che completa il sistema, affiancandosi ai rimedi solutori di gestione delle sopravvenienze codificati e, cioè, l'impossibilità sopravvenuta ex art. 1463 c.c. e la risoluzione per eccessiva onerosità ex art. 1467 c.c. ; presupposizione che si realizza “tutte le volte in cui, dal contenuto del contratto, risulti che le parti abbiano inteso concluderlo subordinatamente all'esistenza di una data situazione di fatto considerata presupposto imprescindibile della volontà negoziale, la mancanza della quale comporta, per l'effetto, la caducazione del contratto stesso, ancorché a tale situazione, comune ad entrambi i contraenti e indipendentemente dalla volontà dei medesimi, non si sia compiuto, nell'atto negoziale, alcun riferimento” ( Cass. 21 novembre 2001 n. 14629 ).
Secondo la Suprema Corte “La presupposizione, non attenendo né all'oggetto né alla causa né ai motivi del contratto, consiste in una circostanza ad esso esterna, che pur se non specificatamente dedotta come condizione, ne costituisce specifico ed effettivo presupposto di efficacia in base al significato proprio del medesimo, assumendo per entrambe le parti, o anche per una sola di esse, ma cono riconoscimento da parte dell'altra, valore determinante ai fini del mantenimento del vincolo contrattuale” ( Cass. 25 maggio 2007 n. 12235 ).
Analizzando le pronunce giurisprudenziali in tema di presupposizione, il Tribunale di Nuoro ha escluso nella fattispecie l'applicabilità di detto rimedio solutorio del contratto evidenziando come “la regolazione delle sopravvenienze ha senso quando le parti sono ancora avvinte da un rapporto contrattuale attuale e, quindi, strette da un contratto ad esecuzione continuata o periodica, o da un contratto ad effetti istantanei in cui però debbano essere ancora adempiute le obbligazioni nascenti dal contratto”.
Tanto, in linea con altre pronunce della Suprema Corte, entrambe in materia di risoluzione di un contratto di vendita di un terreno poi dichiarato inedificabile, che avevano applicato il principio della presupposizione in situazioni nelle quali le obbligazioni nascenti dal contratto non erano state ancora adempiute ( Cass. 28 agosto 1993 n. 9125 ) ovvero erano state adempiute ma in periodo immediatamente antecedente la sopravvenuta inedificabilità, sì da vanificare il programma economico perseguito (Cass. 17 maggio 1976 n. 1738).
Nel caso in esame, viceversa, il rapporto di lavoro era stato risolto un anno prima dell'entrata in vigore della modifica normativa in materia pensionistica, mentre il corrispettivo concordato a titolo di incentivazione all'esodo era stato corrisposto – ed accettato senza riserve dal lavoratore – circa sei mesi prima della citata modifica normativa.
Ragion per cui il Tribunale di Nuoro ha ritenuto inapplicabile il rimedio solutorio ancorato al principio della presupposizione, correttamente ritenendo che la conclusione e l'esecuzione delle pattuzioni raggiunte in sede transattiva non potessero essere modificate dallo ius superveniens pregiudizievole per il lavoratore.
Dichiarato inapplicabile il principio della presupposizione, il Tribunale di Nuoro ha poi valutato il capo di domanda volto alla declaratoria di nullità ovvero di illegittimità dell'accordo transattivo sottoscritto con il datore di lavoro poiché, secondo la prospettazione della parte istante, avente ad oggetto diritti del prestatore di lavoro derivanti da disposizioni inderogabili ai sensi di quanto disposto dall' art. 2113 c.c.
Anche sotto tale profilo il Tribunale di Nuoro ha ritenuto la domanda infondata, ribadendo il principio espresso dalla Suprema Corte ( Cass. del 19 ottobre 2009 n. 22105 ), secondo cui il diritto del lavoratore di disporre della prosecuzione del rapporto di lavoro ha carattere disponibile, giusta la facoltà del recesso ad nutum che la legge pacificamente gli riconosce, così sottraendosi dall'ambito di applicazione dell' art. 2113 c.c. Osservazioni
La vicenda in esame non può prescindere da una valutazione di carattere più generale, che riguarda il vezzo ormai consolidato del nostro legislatore di intervenire a gamba tesa e con disposizioni peggiorative su situazioni giuridiche consolidate anche in materia pensionistica, stravolgendo assetti contrattuali ed anche aspettative di vita ormai consolidati.
Esempio eclatante di tale modus operandi è costituito dalla nota vicenda dei cd. “esodati”, ovverossia di coloro i quali, in procinto di andare in pensione poiché in possesso dei requisiti anagrafici o contributivi secondo una determinata normativa, hanno risolto il proprio rapporto di lavoro per dimissioni o consensualmente con la corresponsione di un incentivo all'esodo, salvo poi, a distanza di tempo più o meno lungo, rimanere vittime di provvedimenti normativi medio tempore intervenuti, che hanno innalzato l'età minima per accedere al trattamento pensionistico.
Di qui lo svilupparsi di un contenzioso giudiziario volto a far dichiarare la nullità degli accordi risolutivi precedentemente stipulati con la parte datoriale, invocando l'istituto, di creazione dottrinale e giurisprudenziale, della presupposizione, configurabile quando “da un lato, un'obiettiva situazione di fatto o di diritto (passata, presente o futura) possa ritenersi che sia stata tenuta presente dai contraenti nella formazione del loro consenso – pur in mancanza di un espresso riferimento ad essa nelle clausole contrattuali – come presupposto condizionante la validità ed efficacia del negozio e, dall'altro, il venir meno o il verificarsi della situazione stessa sia del tutto indipendente dall'attività e volontà dei contraenti e non corrisponda, integrandolo, all'oggetto di una specifica obbligazione dell'uno o dell'altro” ( Cass. 23 settembre 2004 n. 19144 ).
La tematica pone un evidente problema di tutela di affidamento di entrambe le parti contraenti, che hanno concluso l'accordo di risoluzione rebus sic stantibus, i cui contenuti rischiano di essere travolti da una normativa sopravvenuta, che fa venir meno lo stato di fatto che necessariamente fu presupposto dalle parti medesime all'atto della sottoscrizione del verbale di conciliazione, avente ad oggetto la risoluzione consensuale del rapporto di lavoro con corresponsione di un determinato importo a titolo di incentivazione all'esodo.
Occorre quindi verificare su chi debbano gravare le conseguenze del venir meno delle circostanze falsamente rappresentate all'atto della sottoscrizione del verbale di risoluzione del rapporto di lavoro.
Nella fattispecie, il Tribunale di Nuoro, nel respingere la domanda del lavoratore che aveva sottoscritto un verbale di conciliazione contenente la previsione della risoluzione del contratto di lavoro con corresponsione dell'incentivo all'esodo, ha correttamente attribuito rilevanza preminente al fatto che la risoluzione del rapporto di lavoro fosse intervenuta un anno prima della modifica legislativa e che l'incentivo all'esodo fosse stato corrisposto sei/sette mesi prima di tale modifica.
Non mancano pronunce di diverso contenuto, ma comunque orientate a tutelare l'affidamento di entrambe le parti contraenti, secondo cui: “L'atto di risoluzione consensuale del contratto di lavoro concluso tra il datore di lavoro e il lavoratore prossimo al pensionamento perde validità ed efficacia per difetto sopravvenuto della presupposizione, soltanto qualora le modifiche normative successivamente intervenute, oltre ad alterare tempi e modi del pensionamento, abbiano comportato un sostanziale disequilibrio economico dell'accordo solutorio” (Trib. Roma, ord. 24 dicembre 2012 n. 33821).
Diversamente opinando, si introdurrebbe un grave vulnus al principio della certezza dei rapporti giuridici e alla tutela dell'affidamento di entrambe le parti contraenti, assegnando una valenza incerta ad assetti contrattuali definiti, che potrebbero essere rimessi in discussione anche a distanza di lungo tempo, ove incidenti sulle circostanze di fatto poste dalle parti alla base della sottoscrizione dell'accordo risolutivo del rapporto di lavoro. Ferma ovviamente restando ogni ulteriore valutazione, nell'ottica di tutela del lavoratore, della compatibilità dello ius superveniens con il quadro costituzionale ovvero con la normativa comunitaria.
Condivisibile appare poi la pronuncia nella parte in cui esclude nella fattispecie l'inapplicabilità dell' art. 2113 c.c. sul presupposto che “il diritto del lavoratore di disporre della prosecuzione del rapporto di lavoro ha carattere disponibile, giusta la facoltà del recesso ad nutum che la legge pacificamente gli riconosce, e si sottrae pertanto all'ambito di applicazione dell' art. 2113 c.c. ” ( Cass. 19 ottobre 2015 n. 22105 ).
Trattasi di orientamento consolidato della Suprema Corte, secondo cui le rinunce e transazione aventi ad oggetto la cessazione del rapporto di lavoro non rientrano nell'ambito di applicazione dell' art. 2113 c.c. ( Cass. 28 agosto 2003 n. 4780 ), sicché diventa irrilevante, sicché diventano irrilevanti, ove la conciliazione sia avvenuta in sede sindacale, gli eventuali vizi formali del procedimento di formazione della conciliazione sindacale, proprio in virtù della disponibilità del diritto alla prosecuzione del rapporto, che in quanto tale non può rientrare nella tutela di cui all' art. 2113 c.c. ( Cass. ord. 18 marzo 2014 n. 6265 ). |