Trattamento di fine rapporto in busta paga? La scelta al lavoratore

Massimiliano Gorgoni
08 Gennaio 2015

I lavoratori del settore privato hanno la possibilità di richiedere, per il periodo compreso tra marzo 2015 e giugno 2018, l'erogazione direttamente in busta paga delle somme che il datore di lavoro è tenuto a trattenere a titolo di trattamento di fine rapporto. Questa novità è stata introdotta con la legge n. 190 del 23 dicembre 2014 - pubblicata nella gazzetta ufficiale n. 300 del 29 dicembre 2014 (legge di stabilità per l'anno 2015). Si tratta di una disposizione sperimentale che, al momento, è prevista solo per il periodo indicato dalla norma. L'accesso al trattamento in busta paga può avvenire a domanda del lavoratore ed è irrevocabile per l'intero periodo interessato. Possono essere percepite solo le quote maturande del trattamento di fine rapporto, comprese quelle devolute alla previdenza complementare, nei termini che saranno stabiliti da un decreto che dovrà essere emanato dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri.

Quadro normativo del trattamento di fine rapporto

La novità legislativa si inserisce in un quadro normativo assai articolato che ha visto negli ultimi anni diversi interventi da parte del legislatore. Giova rammentare che il trattamento di fine rapporto, regolamentato dall'art. 2120 del codice civile, è un istituto giuridico avente carattere retributivo-previdenziale previsto a garanzia dei lavoratori al fine di compensare, tramite un risparmio forzoso ed una rivalutazione ex lege, quella situazione di bisogno economico del lavoratore che può nascere all'atto della cessazione del rapporto di lavoro. L'istituto tutela altresì i suoi superstiti del lavoratore, i quali accedono iure proprio alla liquidazione delle somme. Non è un istituto a carattere universale, non è infatti contemplato in Francia, in Germania né nel Regno Unito. Si concretizza in una erogazione di denaro una tantum, non trasformabile in rendita, il cui importo è la risultante di tutti gli accantonamenti effettuati, rivalutati al 31 dicembre di ogni anno del 1,5% oltre l'aggiunta del 75% dell'aumento dell'indice Istat dei prezzi al consumo. Nei vari interventi legislativi che hanno avuto ad oggetto il TFR, giova ricordare che le somme destinate agli accantonamenti sono state prese in considerazione per finanziare la previdenza complementare, al fine di garantire maggiori prestazioni pensionistiche future. L'istituto del TFR, che ha sempre rappresentato una fonte importante di finanziamento per le imprese, traducendosi in una mera posta di bilancio senza necessità di accantonamento reale delle somme, con la riforma prevista dalla L. 296/2006 (legge finanziaria per il 2007) aveva subito una ulteriore importante modifica. Infatti l'art. 1, comma 755 e ss. della legge da ultimo citata aveva stabilito che le imprese con un numero superiore a 50 unità hanno l'obbligo di versare le somme accantonate al Fondo di Tesoreria INPS. Conseguentemente il TFR maturando restava a disposizione delle sole imprese con meno di 50 dipendenti e solo nei confronti di quei lavoratori che non avessero aderito alla previdenza complementare.

Nell'ambito della attuale riforma del TFR è importante distinguere due istituti:

- il TFR anticipato in busta paga e

- le anticipazioni del TFR.

Il TFR anticipato in busta paga, analizzato in questo articolo, permette al lavoratore di percepire direttamente nella retribuzione le somme senza alcun accantonamento né rivalutazione. Le anticipazioni del TFR, invece, sono degli acconti di quanto già accantonato e rivalutato erogabili fino al 70% e soggiacciono a precisi requisiti: 8 anni di anzianità e specifiche situazioni soggettive (quali spese sanitarie, acquisto prima casa, alcune forme di tutela della genitorialità). Accanto alle anticipazioni del TFR e aventi la medesima finalità, vanno anche considerati tutti gli istituti di anticipazione delle somme accantonate e rivalutate nei fondi pensione. Anche qui per accedere alle anticipazioni sono presenti alcuni requisiti, maggiormente benevoli per i lavoratori, rinvenibili nel “documento sulle anticipazioni” dei fondi ai quali si aderisce.

La novità in esame, sostanzialmente, più che intervenire trovando una nuova destinazione del TFR, attua una parziale sospensione della disciplina di cui all'art. 2120 del codice civile, ovvero dell'eventuale adesione alla previdenza complementare, proponendo al lavoratore di disinvestire per ottenere una immediata liquidità. Si tratta di una libera scelta, che richiede un atto di maturità del lavoratore e consapevolezza delle conseguenze, in quanto una volta effettuata la scelta è irrevocabile.

La legge di stabilità per il 2015

La riforma del TFR è diventata legge. La previsione normativa è contenuta nella Legge 190 del 23 dicembre 2014 (legge di stabilità per il 2015) che espressamente la regolamenta con l'art. 1 commi dal 26 al 34.

Analizziamone i punti rilevanti.

L'art. 1 comma 26, che aggiunge il comma 756 bis all'art. 1 della L. 296/2006, sopra richiamata, introduce il diritto a percepire direttamente in busta paga la quota maturanda del TFR, al netto del contributo di cui all'articolo 3 ultimo comma della legge 297/1982, ovvero la quota del TFR maturando devoluto alla previdenza complementare di cui al D.Lgs. 252/2005 (disciplina delle forme pensionistiche complementari), tramite liquidazione diretta mensile, come parte integrante della retribuzione. Per poter presentare la domanda, il lavoratore deve avere un rapporto di lavoro in essere da almeno sei mesi con il medesimo datore. I termini specifici e le modalità per l'attuazione della disposizione normativa descritta saranno definiti con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri. La disposizione ha carattere dichiaratamente sperimentale per un periodo limitato che ricopre le mensilità comprese tra marzo 2015 e giugno 2018. Una volta liberamente espressa la volontà di ottenere in busta paga le quote del TFR, non è possibile revocare tale istanza fino al completamento del periodo sperimentale. A differenza della previsione legislativa sull'adesione silente alla previdenza complementare, in questo caso, se non vi è alcuna manifestazione di volontà da parte del lavoratore, il regime giuridico impresso agli accantonamenti del TFR resta quello previgente.

L'art. 1 commi 30, 31 e 32 prendono in considerazione le conseguenze per le imprese che debbano fronteggiare l'immediata erogazione delle somme, perdendo quella che rappresentava una importante forma di finanziamento. I datori di lavoro possono infatti corrispondere direttamente le somme ai lavoratori ma, al fine di neutralizzare l'impatto negativo di tale erogazione, la legge di stabilità ha previsto un sistema di accesso al credito tramite un finanziamento assistito da garanzia rilasciata dal Fondo istituito nell'INPS ai sensi del comma 32 e, in ultima istanza, garantito dallo Stato, erogato a seguito di procedura certificativa da parte dell'INPS, regolata in particolare dal comma 31. Le istanze di finanziamento potranno essere presentate ad una delle banche o ad uno degli intermediari finanziari che aderiranno ad un apposito accordo-quadro stipulato tra i Ministri del lavoro e delle politiche sociali e dell'economia e delle finanze e l'ABI. Concretamente, pertanto, l'INPS rilascia all'impresa che ne fa richiesta un certificazione del diritto alla prestazione, la quale viene trasmessa alla banca che successivamente erogherà il finanziamento garantito. Nel caso in cui i datori non intendano aderire allo schema di accesso del credito previsto dalla norma, si applicheranno le disposizioni previste dall'art. 10 del D. Lgs. n. 252/2005 (cfr. art. 1 commi 28 e 29 L. 190/2014). In sostanza le imprese dovrebbero riuscire ad ottenere un finanziamento, assistito da garanzia, da restituire quando termina il rapporto di lavoro, alle medesime condizioni previste per la liquidazione del dipendente in regime di TFR ordinario.

Il rinvio alla normativa di secondo grado per l'attuazione dell'intera riforma del trattamento di fine rapporto, da emanarsi entro 30 giorni dall'entrata in vigore della legge (1 gennaio 2015), è previsto dall'art. 1 comma 33.

Ambito di applicazione

La riforma del TFR contenuta nella legge di stabilità per il 2015 non ha carattere generale. Sono infatti esclusi i lavoratori domestici e i lavoratori del settore agricolo e tutto il pubblico impiego. Se le caratteristiche peculiari del lavoro domestico e agricolo giustificano la scelta legislativa, altrettanto non può dirsi per il pubblico impiego. Infatti il processo di armonizzazione del pubblico impiego con l'impiego privato iniziato negli anni novanta e disciplinato in particolare con l'art. 2 della L. 335/1995, contenente l'espressa previsione dell'armonizzazione dei due regimi, subisce un ulteriore momento di discriminazione. In questo caso subiscono conseguenze negative ancora una volta i pubblici dipendenti, con particolare riferimento alla generazione assunta dopo il 1 gennaio 2001 nell'ambito del pubblico impiego contrattualizzato da sempre in regime di TFR, ai quali la giurisprudenza nega anche il diritto ad ottenerne le anticipazioni.

Per quanto concerne il lato datoriale, le novità non si applicano ai soggetti sottoposti a procedure concorsuali e alle aziende dichiarate in crisi secondo l'articolo 4 della citata legge n. 297 del 1982.

Regime fiscale

L'articolo 1 comma 26 della legge di Stabilità regolamenta anche le conseguenze fiscali. In primo luogo è necessario evidenziare che la parte della retribuzione, non più accantonata e percepita direttamente nella busta paga, incrementa la retribuzione complessiva del lavoratore ed è assoggettata a tassazione ordinaria, più gravosa rispetto alla tassazione separata alla quale soggiace il TFR. Il comma precisa che per tale retribuzione aggiuntiva non si applica la disposizione del T.U. delle imposte sui redditi relativa alla tassazione del TFR né la stessa è imponibile ai fini previdenziali. Il comma 27, che deve essere letto unitamente al comma 12 della legge di Stabilità il quale ha modificato l'articolo 13 comma 1 bis del T.U.I.R., stabilisce che ai soli fini della verifica dei limiti di reddito complessivo non si tiene conto delle maggiori somme percepite a titolo di retribuzione integrativa tramite il versamento del TFR in busta paga. La norma in esame precisa che resta ferma la contribuzione al Fondo gestito dall'INPS.

Il versamento del TFR in busta paga, aumentando di fatto il reddito percepito, ha anche delle ulteriori incidenze sulla tassazione del lavoratore. Infatti con l'aumento del reddito imponibile ai fini dell'ISEE il lavoratore potrà conseguentemente vedere ridotte varie agevolazioni e detrazioni fiscali, così come saranno diverse le aliquote IRPEF.

Rapporto con la previdenza complementare

La legge di stabilità prevede la possibilità per il lavoratore di percepire in busta paga anche le quote devolute alla previdenza complementare. Questo aspetto è sicuramente coerente con la riforma del TFR. Giova infatti rammentare che il legislatore dell'epoca, al fine di incentivare l'adesione alla previdenza complementare, aveva previsto il meccanismo del silenzio assenso tramite il quale le quote di TFR maturande confluivano tacitamente nelle forme pensionistiche complementari. Oggi il legislatore permette, quindi, di recuperare anche tale devoluzione manifestata in forma espressa o tacita. Anche in questo caso, pertanto, il lavoratore può effettuare il relativo disinvestimento. Per i fondi pensione, il cui decollo non è mai veramente avvenuto nella misura auspicabile, la presente riforma rappresenta un altro duro colpo, unitamente all'aumento della tassazione. Sono state molte infatti le reazioni del mondo pensionistico integrativo che hanno evidenziato come tali manovre avranno un impatto negativo su prestazioni future.

Come orientarsi

La scelta di richiedere il TFR in busta paga passa necessariamente da un atto di disinvestimento, per aumentare le entrate nell'immediato. Naturalmente tale scelta non può che essere soggettiva. Con tale adesione il lavoratore avrà una maggiore disponibilità economica (che secondo gli studi sarà mediamente di circa 75 euro al mese, variando in relazione ai redditi). È vero che la disposizione normativa ha carattere meramente sperimentale con orizzonte temporale limitato, ma per potervi accedere è comunque necessario effettuare tutte le considerazioni possibili. Tra le variabili da tenere bene in considerazione vi sono, ovviamente, anche le conseguenze previste dal regime di tassazione. In considerazione della bassa alfabetizzazione previdenziale esistente, per effettuare una scelta nel caso concreto si ritiene conveniente consultare un esperto del settore. Lo Stato, specie quando rimette ai singoli lavoratori scelte aventi importanti riflessi sociali come nel caso considerato, dovrebbe sempre garantire con maggiore profondità e trasparenza sia una completa informazione che una vera alfabetizzazione previdenziale.

Secondo un sondaggio di Confesercenti l'adesione si dovrebbe attestare tra il 15 ed il 20% dei lavoratori, mentre circa il 15% è ancora indeciso. Le stime del Governo sono più ottimistiche, prevedendo una adesione media del 50% dei lavoratori. Tra gli aderenti si prevede che circa il 60% pensa di mettere i soldi da parte, il 25% pensa di utilizzarli per pagare conti o nuovi acquisti, mentre il residuo 15% pensa ad un investimento di diverso tipo.

Sicuramente poter contare su una somma integrativa nella busta paga permette di ridurre, con un aiuto immediato e concreto, le difficoltà finanziarie in cui versano molte famiglie nell'attuale contesto economico, con un impatto indiretto anche sulla ripresa dei consumi.

Certo è necessario avere ben presente quale sia l'effetto futuro del disinvestimento che si attua. Il TFR presso il datore di lavoro produce una rendita sicura, che è quella stabilita dall'art. 2120 del codice civile. Le quote di TFR versate nei fondi pensione, alle quali si aggiunge anche un contributo datoriale, sono soggette ad una rendita variabile in relazione ai rendimenti degli stessi fondi ed ai profili di investimento ai quali si è aderito. I rendimenti registrati negli ultimi anni, nonostante la crisi finanziaria, sono comunque di tutto rispetto, per quanto sugli stessi si abbatta la scure della tassazione. Dalle osservazioni dell'autorità di controllo COVIP nel 2013, ad esempio, i fondi negoziali hanno registrato in media un aumento del 5,4%, i fondi aperti del 8,1%, i PIP in gestione separata + 3,6% e quelli di ramo III + 12,2%. I rendimenti dei fondi pensione degli ultimi quindici anni sono, complessivamente considerati superiori, sebbene di poco, rispetto a quelli del TFR.

Con il TFR in busta paga il lavoratore rinuncia, sebbene temporalmente, a tutte queste forme previdenziali con conseguente riduzione degli importi che saranno erogati sia all'atto della cessazione del rapporto che nelle future rendite pensionistiche.

Al fine di ottenere immediata liquidità i lavoratori dovrebbero considerare attentamente anche tutte le soluzioni, ora alternative, in tema di anticipazioni sia del TFR che delle somme devolute alla previdenza complementare. Queste soluzioni, sebbene legate a specifici requisiti per potervi accedere, permettono di avere comunque delle somme a disposizione nell'immediatezza, senza modificare la tipologia di adesione e di investimento, con ogni conseguenza in tema di anzianità, tassazione, ecc.

In conclusione

Il legislatore compie un atto di responsabilizzazione del lavoratore. Un superamento della filosofia protettiva che obbliga il lavoratore ad una forma di risparmio avente fine previdenziale, rimettendo allo stesso le scelte consequenziali. Il lavoratore pertanto diventa protagonista delle proprie scelte previdenziali potendo ora scegliere se ottenere una immediata liquidità, provvedendo ad un sostanziale disinvestimento. D'altra parte, questo atto di responsabilizzazione, per essere completo, dovrebbe essere accompagnato da una importante politica di informazione e di semplificazione del sistema. Per una scelta consapevole dovrebbero essere ben rappresentati i rendimenti prodotti dal TFR, dai fondi pensione, i tassi di sostituzione reddito/pensione, l'ammontare dei contributi versati, i coefficienti di trasformazione degli stessi, età pensionabile, orizzonte pensionistico e aspettativa di vita, aspetti inflazionistici, importo delle rendite pensionistiche future, casistiche e requisiti delle anticipazioni. E ciò sia per orientare qualsiasi scelta individuale, sia per l'interesse dello Stato ad una futura tenuta sociale del sistema. L'istituto del trattamento di fine rapporto ha sempre rappresento infatti una importante forma di investimento per il lavoratore sia nella sua tradizionale veste di cui all'art. 2120 del codice civile che nell'adesione alla previdenza complementare.

Legge di stabilità 2015 – Art. 1 commi 26-34 L. 190/2014

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