Sulla nuova disciplina del contratto di lavoro a tutele crescenti

12 Gennaio 2015

Il Decreto Legislativo chiamato a dare attuazione ai principi e alle direttive della legge 10 dicembre 2014 n. 183 (il Jobs Act) sul contratto di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti - presentato dal Governo il 24 dicembre 2014 - riscrive la disciplina sanzionatoria relativa ai licenziamenti di natura economica e di natura disciplinare, allargando il nuovo regime di tutela ai licenziamenti collettivi. Di seguito viene proposta in sintesi un'analisi della nuova disciplina.

Nel dare attuazione ai principi e alle direttive della legge 10 dicembre 2014 n. 183 (il Jobs Act) sul contratto di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti viene riscritta la disciplina sanzionatoria relativa ai licenziamenti di natura economica e di natura disciplinare.

Il Decreto attuativo elimina, inoltre, il tentativo obbligatorio di conciliazione per i licenziamenti economici avanti la Direzione Territoriale del Lavoro, che era stato introdotto dalla L. 92/2012, e dà spazio ad un nuovo strumento di conciliazione che si sostanzia nella spontanea offerta datoriale al lavoratore, a fronte della rinuncia all'impugnazione del licenziamento, di un indennizzo di importo variabile in relazione all'anzianità di servizio.

Il Decreto Legislativo elimina, quindi, il rito abbreviato per le controversie in materia di licenziamento che rientrano nel regime di tutela ex articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori e istituisce il contratto di ricollocazione con lo scopo di favorire la rioccupazione professionale del lavoratore in stato di disoccupazione involontaria.

La nuova disciplina si applicherà ai contratti di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti stipulati a partire dalla data di entrata in vigore del Decreto Legislativo, mentre restano esclusi dal campo di applicazione delle nuove disposizioni i lavoratori con qualifica di dirigente.

Licenziamento per giustificato motivo oggettivo

Viene ampiamente modificata la disciplina sanzionatoria dei cosiddetti licenziamenti economici. Il dato centrale è costituito dalla definitiva eliminazione della reintegrazione in servizio del lavoratore illegittimamente licenziato, perché si prevede unicamente una tutela indennitaria che viene modulata sulla base dell'anzianità di servizio del lavoratore: il giudice, dopo aver accertato la illegittimità del licenziamento “economico”, dichiara estinto il rapporto di lavoro e condanna il datore al versamento di un'indennità, che è esente da contribuzione previdenziale, in misura pari a 2 mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto per ogni anno di servizio. La misura dell'indennità non può essere, comunque, inferiore a 4 mensilità e superiore a 24 mensilità.
Pare di potersi concludere che, alla luce del nuovo apparato sanzionatorio, si riducono significativamente i profili di incertezza che accompagnano le controversie in materia di impugnazione del licenziamento, in quanto la misura del risarcimento viene direttamente collegata all'anzianità di servizio del lavoratore, permettendo di conoscere ab origine l'importo cui potrà ambire il lavoratore in caso di dichiarazione di illegittimità del recesso datoriale.

La nuova disciplina prevede che per le frazioni d'anno di anzianità di servizio l'indennità economica deve essere “riproporzionata”, con la conseguenza che, al fine di determinare l'importo da riconoscere al lavoratore a titolo risarcitorio con riferimento alla frazione di anno, si dovrà effettuare una media tra i mesi di servizio svolti e i 12 mesi che compongono l'anno intero. Se, ad esempio, il lavoratore ha maturato 2 anni e mezzo di anzianità, l'indennizzo risulta pari a 5 mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto, atteso che i 6 mesi finali equivarranno alla metà dell'indennizzo pieno (pari a 2 mensilità) previsto per ciascun intero anno di servizio espletato.

Le frazioni di mese uguali o superiori a 15 giorni, alla luce del decreto, si computano come mese intero. In presenza di cambio appalto, l'anzianità di servizio maturata dal lavoratore che passa alle dipendenze dell'impresa subentrante si calcola sommando anche quella precedentemente acquisita nell'ambito della medesima attività appaltata. Viene eliminato l'obbligo di far precedere il licenziamento per giustificato motivo oggettivo da un preventivo esame congiunto (con contestuale tentativo di conciliazione) presso la Direzione Territoriale del Lavoro.

Il Decreto Legislativo introduce, invece, la facoltà per il datore di lavoro di offrire al lavoratore, nel termine di 60 giorni dall'impugnazione del licenziamento, un importo pari a una mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto per ogni anno di servizio compiuto, con la precisazione che detto importo non potrà essere, comunque, inferiore a 2 mensilità e superiore a 18 mensilità. L'offerta economica deve essere presentata presso una delle sedi protette abilitate a raccogliere la sottoscrizione dei verbali di conciliazione ai sensi dell'art 2113, comma 4, codice civile. L'importo offerto dal datore di lavoro, che deve essere consegnato al lavoratore mediante assegno circolare, non costituisce reddito imponibile ai fini Irpef e non è assoggettato a contribuzione previdenziale. Se il lavoratore accetta l'assegno, il rapporto di lavoro si estingue alla data del licenziamento e l'impugnazione si intende rinunciata.

Licenziamento disciplinare

In presenza di licenziamento riconducibile ad un comportamento colpevole o inadempiente del lavoratore (graduabile nelle misure del licenziamento per giustificato motivo soggettivo o per giusta causa) la misura sanzionatoria della reintegrazione in servizio del lavoratore illegittimamente licenziato non viene del tutto eliminata, ma si assiste ad una ulteriore riduzione del suo ambito di applicazione.

La reintegrazione interviene, in questo senso, alla luce delle nuove disposizioni, esclusivamente se viene direttamente dimostrata in giudizio l'insussistenza del fatto materiale contestato al lavoratore, con l'ulteriore precisazione per cui resta estranea dalle valutazioni che è chiamato a compiere il giudice ogni considerazione in merito alla proporzionalità della misura espulsiva rispetto alla gravità dei fatti rilevanti sul piano disciplinare.

Anche in questo caso, ci pare di poter concludere che si assiste ad un cambiamento non privo di rilievo, poiché si restringe ulteriormente, rispetto agli interventi già operati dalla L. 92/2012, l'ambito di applicazione della tutela reintegratoria.

L'articolo 18, comma 4, della Legge n. 300/1970 prevede che il giudice è tenuto a disporre la reintegrazione in servizio del lavoratore se, nel corso del giudizio, accerta l'insussistenza del fatto contestato, oppure se accerta che il fatto è punibile con una sanzione conservativa alla luce del contratto collettivo o del codice disciplinare applicabili. Una parte significativa della giurisprudenza di merito ha interpretato tale disposizione nel senso che la valutazione del “fatto contestato” non è limitata alla sua dimensione materiale, ma si estende ad una disamina del fatto nella sua duplice componente oggettiva e soggettiva, incluse le condizioni personali del lavoratore ed il giudizio di proporzionalità del provvedimento espulsivo.

È pur vero che una recente giurisprudenza di legittimità ha contestato questa ricostruzione e interpretato la disposizione dell'articolo 18 citato nel senso che la verifica cui è chiamato il giudice, al fine di applicare la eventuale sanzione reintegratoria, si arresta ad un accertamento sulla ricorrenza dei fatti oggetto di addebito disciplinare nella loro componente storica e materiale. La nuova previsione del Decreto Legislativo sul contratto di lavoro a tutele crescenti sembra recepire e fare proprie le considerazioni espresse da questo indirizzo.

In questo rinnovato contesto, è indubbio che il nuovo regime di tutela riduca lo spazio per la reintegrazione in servizio, in quanto la nuova formulazione esclude espressamente ogni riferimento alle componenti soggettive e valutative del fatto contestato, tanto più che ci si è preoccupati di precisare che alla verifica è estranea ogni valutazione in merito alla sproporzione del licenziamento. Il restringimento nell'ambito di applicazione della tutela reintegratoria è ulteriormente confermato dalla eliminazione del riferimento alla disciplina dei ccnl e dei codici disciplinari. La formulazione non sempre puntuale ed esaustiva della disciplina collettiva circa le misure sanzionatorie ricollegate alle condotte disciplinarmente inadempienti aveva favorito il sopravvivere di ampi margini di incertezza applicativa, che la nuova disciplina mira viceversa ad eliminare.

In ogni altra ipotesi, esclusa la verificata insussistenza del fatto materiale contestato, in cui sia accertata l'illegittimità del licenziamento disciplinare, il datore di lavoro è condannato al versamento di un indennizzo nella misura - già sopra esaminata - di 2 mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto per ogni anno di anzianità di servizio, con un minimo di 4 mensilità ed un massimo di 24 mensilità. Valgono anche in tal caso gli stessi criteri di computo dell'indennità già esaminati con riferimento alla frazione di anno e alla frazione di mese di anzianità di servizio. Si applica anche ai licenziamenti disciplinari la previsione circa la spontanea offerta datoriale di conciliazione, quale strumento diretto a rimuovere l'opposizione del lavoratore al licenziamento.

Vizi formali e procedurali

Se il licenziamento è stato intimato senza che sia stato osservato l'obbligo di indicare la motivazione o senza che sia stata osservata la procedura disciplinare di cui all'articolo 7 della Legge n. 300/1970, il giudice condanna il datore di lavoro a versare un'indennità, anch'essa non assoggetta a contribuzione previdenziale, di importo pari a una mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto per ogni anno di servizio. L'indennità non potrà essere, comunque, inferiore a 2 mensilità e superiore a 12 mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto.

Licenziamento discriminatorio, nullo e intimato in forma orale

Viene mantenuta la previsione per cui, in presenza di un licenziamento discriminatorio o di un licenziamento riconducibile agli altri casi di nullità espressamente previsti dalla legge (tra cui il licenziamento durante il periodo maternità o in concomitanza di matrimonio), si applica la reintegrazione del lavoratore in servizio. Ciò, a prescindere dal motivo formalmente addotto per giustificare il licenziamento.

Ricorrendo questa ipotesi, il giudice condanna il datore di lavoro a versare al lavoratore a titolo risarcitorio un'indennità commisurata all'ultima retribuzione globale di fatto maturata dal giorno del licenziamento, dedotto unicamente l'aliunde perceptum. La misura del risarcimento non può essere, comunque, inferiore a 5 mensilità della retribuzione globale di fatto. Il datore è tenuto, inoltre, a versare i contributi assistenziali e previdenziali.

Risulta sostanzialmente identica alla disciplina vigente la previsione ulteriore per cui il lavoratore, a seguito della pronuncia giudiziale, ha diritto di optare per un'indennità sostitutiva della reintegrazione in misura pari a 15 mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto. L'esercizio dell'opzione deve essere effettuato entro 30 giorni dalla comunicazione del deposito della sentenza o, se precedente, dall'invito del datore di lavoro a riprendere servizio.

La medesima disciplina si applica al licenziamento intimato oralmente.

Revoca del licenziamento

È confermata la disciplina vigente secondo cui, nelle ipotesi di revoca del licenziamento, purché effettuata entro il termine di 15 giorni dalla comunicazione dell'impugnazione del medesimo licenziamento, il rapporto di lavoro è ricostituito senza soluzione di continuità. In tal caso, il lavoratore ha unicamente diritto alla retribuzione relativa al periodo intercorso tra l'irrogazione del licenziamento e la revoca.

Licenziamento collettivo

È degna di nota e ha indubbia portata innovativa la previsione per cui il nuovo regime di tutela per i licenziamenti economici si applica anche ai licenziamenti collettivi ex artt. 4 e 24 della Legge n. 223/1991 nel caso in cui, come espressamente previsto dal Decreto Legislativo, sia stata accertata la violazione della procedura di informazione e consultazione sindacale o dei criteri di scelta di cui all'articolo 5, comma 1, della medesima Legge n. 223/1991.

Piccole e medie imprese e organizzazioni di tendenza

La nuova disciplina sul contratto di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti è estesa, con i temperamenti previsti dal Decreto, ai datori di lavoro che non raggiungono i requisiti dimensionali utili per l'applicazione del regime di tutela di cui all'articolo 18 Legge 300/1970. A tale riguardo, si prevede che l'ammontare delle indennità e dell'importo previsti in caso di licenziamento economico o disciplinare illegittimo, nonché di licenziamento affetto da vizi formali e procedurali, sia dimezzato e non possa in ogni caso superare le 6 mensilità. Alle imprese di dimensioni minori, inoltre, non si applica la tutela reintegratoria prevista in via residuale per il licenziamento disciplinare. Si applica, invece, la nuova disposizione sull'offerta di conciliazione datoriale, ma anche in questo caso con previsione di un importo dimezzato (non superiore a 6 mensilità).

Nel caso in cui il datore di lavoro, per effetto di assunzioni a tempo indeterminato intervenute successivamente all'entrata in vigore del decreto, raggiunga il requisito dimensionale per l'applicazione del regime di tutela forte (più di 15 o più di 60 dipendenti), a tutti i lavoratori, compresi quelli assunti in data precedente, si applica la nuova disciplina sui licenziamenti. Come è stato segnalato da alcuni operatori, tale disposizione si presta a spunti critici non indifferenti sul piano della auspicata crescita dei livelli occupazionali, in quanto non si vede come possa essere indotta un'impresa di ridotte dimensioni ad aumentare il numero dei dipendenti, passando dalla soglia della tutela obbligatoria a quella della (almeno ipotetica) tutela reale, se anche ai dipendenti assunti prima del Decreto Legislativo si applicherà il nuovo regime di tutela, che sotto ogni punto di vista è meno favorevole sul piano sanzionatorio e indennitario rispetto al regime di tutela approntato dalla L. 604/1966 (in forza del quale, se il licenziamento è dichiarato illegittimo, il lavoratore potrà beneficiare di un indennizzo tra 2,5 e 6 mensilità).

La nuova disciplina si applica anche ai datori di lavoro non imprenditori che svolgono senza fine di lucro attività di natura politica, sindacale, culturale, di istruzione, di religione o di culto. Si tratta, anche in questo caso, di una modifica non priva di significato, in quanto sino ad oggi a tali enti ed organizzazioni era esclusa l'applicazione dell'articolo 18 Legge 300/1970 sulla reintegrazione e sul versamento dell'indennizzo risarcitorio pieno.

Contratto di ricollocazione

Il Decreto Legislativo istituisce presso l'INPS un apposito fondo per la ricollocazione dei lavoratori in stato di disoccupazione involontaria, che ha il preciso scopo di favorire la rioccupazione professionale dei lavoratori licenziati illegittimamente, nonché dei lavoratori licenziati per giustificato motivo oggettivo o nell'ambito di una procedura collettiva di riduzione del personale.

Il lavoratore licenziato, ricorrendo una di queste condizioni, ha diritto di ricevere dal centro per l'impiego un voucher rappresentativo della propria dote individuale di ricollocazione, che potrà presentare ad una agenzia per il lavoro accreditata (pubblica o privata) al fine di sottoscrivere un apposito contratto di ricollocazione nel quale si preveda:
- il diritto ad una assistenza appropriata nella ricerca di nuova occupazione, che dovrà essere programmata, strutturata e gestita dall'agenzia per il lavoro secondo le migliori tecniche del settore;
- il diritto alla realizzazione di iniziative di ricerca, di addestramento, di formazione e di riqualificazione professionale mirate a creare sbocchi occupazionali ed a favorire la ricollocazione professionale del lavoratore;
- il dovere del lavoratore di mettesi a disposizione e di cooperare con l'agenzia.

L'ammontare del voucher è proporzionato al profilo personale di occupabilità del lavoratore. L'agenzia potrà incassare il voucher soltanto a seguito della effettiva ricollocazione del lavoratore.

In conclusione

Le novità proposte con il contratto di lavoro a tutele crescenti segnano un deciso passo avanti rispetto al superamento della tutela reintegratoria, portando (quasi) alle sue estreme conseguenze il disegno riformatore iniziato dalla Legge Fornero. Se in quel caso, infatti, si riduceva lo spazio per la reintegrazione nei licenziamenti cosiddetti “economici”, introducendosi una nuova disposizione all'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori per la quale il giudice poteva ordinare la reintegrazione sul posto di lavoro solo in presenza di manifesta insussistenza del fatto posto a base del licenziamento per giustificato motivo oggettivo, il decreto attuativo cancella definitivamente ogni spazio per la tutela reintegratoria nei licenziamenti economici.

Non è stato eliminato, invece, ma si assiste, comunque, ad un suo significativo ridimensionamento, il meccanismo della reintegrazione nei licenziamenti cosiddetti disciplinari, in quanto la nuova formulazione utilizzata dal decreto legislativo sul contratto di lavoro a tutele crescenti riconosce la tutela reale esclusivamente laddove sia “direttamente provata in giudizio” l'insussistenza del “fatto materiale” oggetto di contestazione, con la precisazione ulteriore per cui, rispetto a questa verifica, risulta “estranea ogni valutazione sulla sproporzione” del licenziamento.

È un passo avanti importante rispetto alle incertezze applicative che, su tale questione, aveva ingenerato il riformato articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, atteso che un indirizzo non minoritario della giurisprudenza di merito ritiene che la verifica sulla insussistenza del fatto materiale a base del licenziamento non si arresti al controllo sulla sussistenza delle circostanze specifiche addebitate sul piano disciplinare, ma comporti un giudizio di proporzionalità ed una più generale valutazione sulle condizioni soggettive delle parti.

Costituisce una novità significativa anche la definizione di un apparato sanzionatorio economico ancorato all'anzianità di servizio maturata dal lavoratore in costanza di rapporto, in quanto si predetermina ab origine la misura dell'indennizzo risarcitorio cui il datore di lavoro sarà sottoposto nel caso in cui il licenziamento dovesse essere ritenuto illegittimo. Considerando che oggi la misura dell'indennizzo è, in talune ipotesi, strettamente collegata al lasso di tempo che intercorre tra la data dell'intimato recesso datoriale e quella successiva - che può essere anche molto ampia - in cui interviene l'ordine giudiziale di reintegrazione, mentre in altre è ricollegata ad una forbice tra un minimo ed un massimo molto ampia (da 12 a 24 mensilità), si comprende bene come la individuazione di un importo definito in termini di mensilità sulla base degli anni di anzianità del lavoratore elimini ogni forma di incertezza sul quantum di un'eventuale condanna in sede giudiziaria. Identico discorso si ripro

In questa nuova cornice di riferimento normativo, costituisce un punto critico, invece, il rilievo per cui le nuove disposizioni in materia di licenziamento si applicheranno solo ai contratti di lavoro a tempo indeterminato stipulati dopo l'entrata in vigore del decreto legislativo, mentre per tutti i rapporti di lavoro assistiti dal regime di tutela dell'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori continuerà ad essere applicata la previgente disciplina. In questo modo, è inevitabile che si determinerà per numerosi anni a venire un vero e proprio doppio binario di tutele differenziate, tale per cui ai lavoratori che hanno già un contratto di lavoro a tempo indeterminato sarà applicato un regime di tutela più forte (sia in termini di residuale applicazione del meccanismo della reintegrazione, sia in termini di tutela indennitaria) rispetto a quello applicato ai nuovi assunti con il contratto di lavoro a tutele crescenti, soggetti ad un regime di tutela indubbiamente più debole sul piano strettamente sanzionatorio.