Licenziamento disciplinare per giusta causa e rapporto con il CCNL applicatoFonte: Cod. Civ. Articolo 2119
11 Maggio 2017
I casi affrontati dalla Suprema Corte
In un primo caso (Cass. sez. lav., n. 3374/2017) il lavoratore era stato licenziato in relazione ad un comportamento inosservante delle misure di sicurezza all'interno del complesso aziendale e per essersi allontanato dalla propria posizione durante il turno di lavoro, rendendosi inoperoso e non ottemperando all'ordine del superiore di riprendere subito il lavoro.
Il lavoratore eccepiva, tra gli altri motivi di impugnazione, anche la circostanza che nessuno dei comportamenti contestatigli risulterebbe contemplato quale giusta causa di licenziamento disciplinare dal CCNL di categoria applicabile.
In primo grado il ricorso del lavoratore veniva accolto mentre la Corte territoriale in secondo grado di giudizio riteneva sufficientemente fondato il recesso datoriale, tenuto conto del ruolo ricoperto dal dipendente, dell'elemento soggettivo e delle circostanze di fatto verificatesi.
Nel secondo caso scrutinato dalla Suprema Corte (Cass. sez. lav., n. 7166/2017) il lavoratore era stato assoggettato a procedimento disciplinare e poi licenziato per giusta causa in quanto, nella sua qualità di tecnico reperibile e responsabile dell'emergenza, si era rifiutato di attivarsi a fronte di due successive sollecitazioni di intervento per un calo di pressione e una fuga di gas.
In primo grado il Tribunale rigettava l'impugnativa, mentre in secondo grado di giudizio la Corte territoriale dichiarava illegittimo il licenziamento e condannava la società alla reintegrazione del lavoratore affermando che l'addebito disciplinare contestato rientrava nel novero di quelli che l'art. 55 CCNL settore Energia e Petrolio sanzionava, in difetto di recidiva, con una sanzione conservativa e non espulsiva. La nozione di giusta causa e la contrattazione collettiva aziendale
In primis, al fine di inquadrare l'interesse portato dalle pronunce in commento, appare opportuno richiamare la nozione di giusta causa di licenziamento prevista all'articolo 2119, comma 1 c.c. nel quale testualmente si prevede che: “Ciascuno dei contraenti può recedere dal contratto prima della scadenza del termine, se il contratto è a tempo determinato, o senza preavviso, se il contratto è a tempo indeterminato, qualora si verifichi una causa che non consenta la prosecuzione, anche provvisoria, del rapporto”.
Si tratta di una previsione legale a carattere generale che non tipizza un particolare comportamento quale conditio sine qua non per la risoluzione del rapporto di lavoro, bensì demanda all'interprete giudiziale la verifica puntuale di quanto occorso nel caso concreto.
La giurisprudenza di legittimità e di merito a tale riguardo hanno precisato i contenuti del concetto di “giusta causa di licenziamento”, in particolare soffermandosi sulla presenza di indici rivelatori ”che possano favorire la verifica dell'integrazione della fattispecie legale" (Cass. sez. lav., 26 aprile 2012, n. 6498, ed in senso conforme Cass. civ., sez. VI, 26 luglio 2011, n. 16283, Cass. sez. lav., n. 1558/2000 e nel merito ex multis Trib. Milano, 16 novembre 2000 ed in senso conforme Trib. Milano, 23 luglio 1997, Pret. La Spezia, 4 giugno 1996).
In particolare, l'indagine degli interpreti giudiziali si è appuntata sulla gravità dei fatti attribuiti al lavoratore, alle circostanze di fatto nelle quali essi sono stati commessi, all'intensità del profilo intenzionale ed alla proporzionalità tra fatto addebitato e sanzione inflitta, anche in relazione alle previsioni dei contratti collettivi.
In tale ultimo ambito, va peraltro ricordato che le parti sociali, nell'indicare le sanzioni volte a censurare i comportamenti ritenuti anti doverosi, hanno anche tipizzato, a titolo esemplificativo, talune condotte ritenute suscettibili di essere censurate con un provvedimento conservativo oppure espulsivo.
In siffatto ambito, pertanto, si inseriscono le citate sentenze della Suprema Corte con degli spunti meritevoli di attenzione.
In particolare, la sentenza di cui al primo caso (Cass. sez. lav., n. 3374/2017) dichiara infondata l'eccezione di violazione o falsa applicazione dell'articolo 20 del CCNL applicato al rapporto di lavoro, con la quale si deduceva che alcuno dei comportamenti contestati al lavoratore risulterebbe contemplato quale giusta causa di licenziamento disciplinare dal CCNL di categoria applicabile alla fattispecie concreta.
Orbene, la Suprema Corte richiama gli orientamenti tenuti dal consesso in casi analoghi (Cass. sez. lav. n. 5103/1998; Cass. sez. lav. n. 16260/2004; Cass. sez. lav., n. 19053/2005; Cass. sez. lav., n. 6165/2016, per un verso ribadendo che in tema di licenziamento, la nozione di giusta causa è nozione legale e il giudice non è vincolato alle previsioni di condotte integranti giusta causa contenute nei contratti collettivi; per altro verso, tuttavia, aggiunge che ciò non esclude che ben possa il giudice far riferimento ai contratti collettivi e alle valutazioni che le parti sociali compiono in ordine alla valutazione della gravità di determinati comportamenti rispondenti, in linea di principio, a canoni di normalità.
Sempre la Suprema Corte statuisce, altresì, che il relativo accertamento va operato caso per caso, valutando la gravità del comportamento tenuto, in considerazione delle circostanze di fatto e prescindendo dalla tipologia determinata dai contratti collettivi, tanto che l'interprete giudiziale possa arrivare ad escludere che il comportamento censurato costituisca di fatto una giusta causa di recesso, pur essendo qualificato come tale dai contratti collettivi ed in considerazione delle circostanze concrete che lo hanno caratterizzato.
La Suprema Corte ricorda, altresì nel caso che ci occupa, che parallelamente si è affermato (Cass. sez. lav., n. 2830/2016; Cass. sez. lav., n. 4060/2011; Cass. sez. lav., n. 5372/2004) che l'elencazione delle ipotesi di giusta causa di licenziamento contenuta nei contratti collettivi, al contrario che per le sanzioni disciplinari con effetto conservativo, ha valenza meramente esemplificativa e non esclude, perciò, la sussistenza della giusta causa per un grave inadempimento o per un grave comportamento del lavoratore contrario alle norme della comune etica o del comune vivere civile alla sola condizione che tale grave inadempimento, o tale grave comportamento, con apprezzamento di fatto del giudice di merito non sindacabile in sede di legittimità se congruamente motivato, abbia fatto venire meno il rapporto fiduciario tra datore di lavoro e lavoratore.
Di tutto interesse l'arresto giurisprudenziale, laddove poi precisa che nell'ipotesi in cui il contratto collettivo preveda espressamente per un certo comportamento l'applicazione di una sanzione conservativa, il datore di lavoro non può irrogare un licenziamento per giusta causa quando questo costituisca una sanzione più grave di quella prevista dal contratto collettivo in relazione ad una determinata infrazione.
In tali casi, infatti, la circostanza che il comportamento del lavoratore sia puntualmente e specificatamente previsto come ipotesi disciplinare contenuta nel contratto collettivo e fatta oggetto di una sanzione conservativa, rende tale previsione vincolante per il giudice che da essa non può discostarsi, trattandosi di disposizione di contratto o accordo collettivo che contiene per la materia del licenziamento individuale condizioni più favorevoli ai prestatori di lavoro.
Quanto invece al secondo caso scrutinato dalla Suprema Corte (Cass. sez. lav., n. 7166/2017), questa ribadisce che la nozione di giusta causa o giustificato motivo è una nozione legale e sotto tale profilo, la previsione della contrattazione collettiva non vincola il giudice di merito.
L'interprete giudiziale, a dire della Suprema Corte, ha il dovere, in primo luogo, di controllare la rispondenza delle pattuizioni collettive disciplinari al disposto dell'art. 2106 c.c. e rilevare la nullità di quelle che prevedono come giusta causa o giustificato motivo di licenziamento condotte per loro natura assoggettabili, ex art. 2106 c.c., solo ad eventuali sanzioni conservative, essendogli precluso di fare l'inverso, cioè estendere il catalogo delle giuste cause o dei giustificati motivi di licenziamento oltre quanto stabilito dall'autonomia delle parti.
Espletata tale preliminare verifica, il giudice deve apprezzare in concreto la gravità degli addebiti, verificando che essi rivestano comunque il carattere di grave negazione dell'elemento essenziale della fiducia e che la condotta del dipendente sia idonea a porre in dubbio la futura correttezza del suo adempimento, in quanto sintomatica di un certo atteggiarsi del prestatore rispetto all'adempimento dei futuri obblighi lavorativi.
Nel caso di specie la Suprema Corte osserva che la sentenza impugnata ha ricondotto l'infrazione disciplinare per cui è causa all'ipotesi prevista dall'art. 55 cit. CCNL, parte III lett. g), che punisce con il licenziamento la recidiva in "atti che portino pregiudizio alla produzione, alla disciplina, alla morale, all'igiene ed alla sicurezza delle persone e degli impianti", recidiva che però era insussistente nel caso in esame.
La Suprema Corte al contempo puntualizza che la Corte territoriale ha tralasciato di esaminare quella parte della stessa clausola contrattuale che prevede, in alternativa alla recidiva, anche il caso di particolare gravità (v. comma 1 parte III dell'art. 55 cit.) come passibile di sanzione espulsiva, del pari trascurando il comma 1 parte IV dello stesso art. 55 cit., che prevede il licenziamento senza preavviso, fra l'altro, anche per "gravi infrazioni alla disciplina o alla diligenza nel lavoro". Proprio ciò che fattualmente è stato possibile accertare nel caso di specie, concludendo pertanto per la cassazione con rinvio alla Corte d'Appello territorialmente competente al fine di- verificare se la condotta addebitata al dipendente possa essere sussunta o meno nella previsione contrattuale. Conclusioni
In conclusione, la disamina delle sentenze in commento mostra un aspetto di particolare interesse laddove riconduce l'intervento critico del giudice ad un preliminare esame delle concrete circostanze di fatto che conducono al recesso qualificato per giusta causa, al contempo tuttavia verificando se vi siano ipotesi sanzionatorie previste dalla contrattazione collettiva in termini di sanzioni espulsive tali da prevedere una minore afflittività per la fattispecie concreta considerata; circostanza che condurrebbe ad una ipotesi di deroga in melius per il dipendente sanzionato.
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