Permessi per il padre lavoratore: diniego illegittimo anche se la moglie è casalinga

12 Settembre 2014

La sentenza n. 4618/2014 del Consiglio di Stato esamina il ricorso di un lavoratore avverso il diniego della concessione dei riposi giornalieri: il padre lavoratore ha diritto al permesso anche nelle ipotesi in cui la donna non svolga alcuna attività lavorativa o comunque svolga un'attività non retribuita da terzi, alveo cui è riconducibile la figura della casalinga.

Riposi giornalieri negati al padre lavoratore

La pronuncia del Consiglio di Stato n. 4618/2014 trae origine da un ricorso proposto dinanzi TAR in cui ha un lavoratore pubblico ha chiesto:

  • la fruizione dei riposi giornalieri ex art. 40 T.U. n. 151/2001 con decorrenza dal giorno successivo al compimento del terzo mese di vita del figlio,
  • il pagamento delle somme corrispondenti alle ore di lavoro effettivamente prestate per mancato utilizzo di detti riposi.

Il diniego censurato è stato motivato dall'Amministrazione con il fatto che la moglie dell'istante è nella condizione di casalinga laddove le ipotesi contemplate dall'art. 40 D.Lgs. 151/2001 prevedono la fruizione dei riposi da parte del padre nel caso di rinuncia della madre lavoratrice.

Ricorso accolto ed armonia al dettato costituzionale

Dopo aver richiamato le norme fondamentali di riferimento (artt. 39 e 40 del T.U. in argomento), il Consiglio di Stato richiama il precedente n. 4293/2008 per evidenziare l'illegittimità del diniego dell'amministrazione: esaminando l'ipotesi di sostituzione del padre nella fruizione dei permessi qualora la madre sia non lavoratrice autonoma bensì casalinga, si è pronunciato nel senso della piena assimilazione della lavoratrice casalinga alla lavoratrice non dipendente.

La ratio della norma è di dare sostegno alla famiglia ed alla maternità in attuazione delle finalità generali di tipo promozionale scolpite dall'art. 31 della Costituzione. Da qui la logica di beneficiare il padre di permessi per la cura del figlio allorquando la madre non ne abbia diritto in quanto lavoratrice non dipendente e pur tuttavia impegnata in attività (quale quella di "casalinga") che la distolgano dalla cura del neonato.

La figura della casalinga nell'alveo delle attività non retribuite da terzi

In generale il beneficio di cui si discute spetta al padre,"nel caso in cui la madre non sia lavoratrice dipendente". Aderendo alla lettera della norma, sono incluse tutte le ipotesi di inesistenza di un rapporto di lavoro dipendente: dunque quella della donna che svolga attività lavorativa autonoma, ma anche quella di una donna che non svolga alcuna attività lavorativa o comunque svolga un'attività non retribuita da terzi (alveo cui si può ricondurre la figura della casalinga). Altro si direbbe se il legislatore avesse usato la formula"nel caso in cui la madre sia lavoratrice non dipendente". La redazione dell'art. 40, con la sua elencazione delle varie ipotesi nelle quali il beneficio è concesso al padre, lascia intendere che la formulazione di ciascuna di esse sia volutamente tassativa.

Interpretazione scusabile: il danno non va risarcito

Non può d'altro canto accogliersi la domanda risarcitoria da procedimento amministrativo illegittimo, ai fini della ammissibilità della relativa domanda, non è sufficiente il mero annullamento del provvedimento lesivo, ma è necessario che sia fornita la prova - oltre che del danno subito - anche della sussistenza dell'elemento soggettivo del dolo o della colpa. Nella fattispecie, i contrasti giurisprudenziali sull'interpretazione della norma e l'adesione dell'Amministrazione all'indirizzo scaturito dal parere del Consiglio di Stato del 22/10/2009 dimostrano la scusabilità della perpetrata violazione delle regole dell'azione amministrativa.

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