Demansionamento del lavoratore. Per il risarcimento deve esserci la prova del pregiudizio
07 Febbraio 2015
Cass.civ., sez. lavoro, 26 gennaio 2015, n. 1327, sent.
In tema di demansionamento e dequalificazione, il riconoscimento del diritto del lavoratore al risarcimento del danno professionale, biologico o esistenziale, che asseritamente ne deriva, non può prescindere da una specifica allegazione sulla natura e sulle caratteristiche del pregiudizio, non ricorrendo automaticamente in tutti i casi di inadempimento datoriale. Lo afferma la Corte di Cassazione nella sentenza n. 1327, depositata il 26 gennaio 2015. Il caso. La Corte d'appello di Napoli condannava una società al risarcimento dei danni da demansionamento in favore di un dipendente. Onere della prova. La Corte di Cassazione ricorda che, in tema di demansionamento e dequalificazione, il riconoscimento del diritto del lavoratore al risarcimento del danno professionale, biologico o esistenziale, che asseritamente ne deriva, non può prescindere da una specifica allegazione sulla natura e sulle caratteristiche del pregiudizio, non ricorrendo automaticamente in tutti i casi di inadempimento datoriale. Danno evidente. Il pregiudizio, che non può essere di natura meramente emotiva ed interiore, ma oggettivamente accertabile, deve alterare le abitudini del lavoratore e gli assetti relazionali propri, inducendolo a scelte di vita diverse per quanto riguarda l'espressione della propria personalità nel mondo esterno. Non basta dimostrare la mera potenzialità lesiva della condotta datoriale, ma occorre provare, oltre al demansionamento, il danno non patrimoniale ed il nesso di causalità con l'inadempimento datoriale. |