Le Collaborazioni personali e continuative dopo il «Jobs act» e la Circolare n. 3/2016 del Ministero

Vincenzo Fabrizio Giglio
12 Maggio 2016

Le collaborazioni coordinate e continuative, anche nella modalità a progetto, sono state destinatarie di uno dei passi più significativi delle recenti riforme che, nel loro complesso, sono comunemente indicate con il nome di «Jobs act». Le norme varate hanno, tuttavia, lasciato aperti alcuni dubbi interpretativi, in parte oggi affrontati e risolti dal Ministero del Lavoro, attraverso la recente circolare 1° febbraio 2106, n. 3.
Introduzione

Le collaborazioni coordinate e continuative, anche nella modalità a progetto, sono state destinatarie di uno dei passi più significativi delle recenti riforme che, nel loro complesso, sono comunemente indicate con il nome di «Jobs act». Le norme varate hanno tuttavia lasciato aperte alcuni dubbi interpretativi, in parte oggi affrontati e risolti dal Ministero del Lavoro, attraverso la recente circolare 1° febbraio 2106, n. 3.

Nascita ed evoluzione

Nel prosieguo esamineremo i tratti principali della disciplina delle collaborazioni e gli aspetti sui quali la circolare è intervenuta. Per cogliere la portata dell'innovazione operata dal «Jobs act», è tuttavia opportuno ripercorrere preliminarmente l'evoluzione normativa che lo ha preceduto.

Come noto, le novità introdotte dal «Jobs act» in materia di collaborazioni (personali, coordinate e) continuative rappresentano l'ultimo tassello di un percorso normativo risalente nel tempo.

Fino al 2003, tali collaborazioni trovavano la loro fonte normativa, essenzialmente, nell'

art. 1321 Cod. civ

.

e nel contratto d'opera (l'

art. 409 cod. proc. civ.

, pur di grande rilievo, ne sanciva la sola destinazione processuale; mentre l'unico riferimento sostanziale era rappresentato dall'

art. 2, L. 14 luglio 1959, n. 741

, cd. «Legge Vigorelli», che si limitava a menzionare, in modo programmatico, i «rapporti di collaborazione che si concretino in prestazione d'opera continuativa e coordinata»). La regolazione di questa forma contrattuale era pertanto rimessa, in sostanza, alla libertà negoziale delle parti.

Il

D.Lgs. 10 settembre 2003, n. 276

(cd. «Riforma Biagi») istituì la figura del contratto a progetto, il quale, a dispetto di quanto talora si afferma, rappresentò il primo tentativo di imporre una regolazione vincolata delle collaborazioni, con misure protettive per i prestatori. Il contratto a progetto era una specie del più ampio genere delle co.co.co. e, salvo talune eccezioni, ne aveva occupato tutto lo spazio, vietando ogni altra forma di collaborazione.

Il «Jobs act» ha abrogato la disciplina del contratto a progetto con effetto dalla metà dello scorso anno e ha contestualmente disposto che, a decorrere dal 1° gennaio 2016, talune collaborazioni divengano automaticamente destinatarie dell'applicazione delle norme che regolano il lavoro subordinato: si tratta delle collaborazioni ormai comunemente denominate «etero-organizzate».

L'odierno panorama delle collaborazioni personali e continuative

Dallo scorso 25 giugno 2015 le norme sul contratto a progetto sono state abrogate (

art. 52, D.Lgs. n. 81/2015

). Occorre porre attenzione al fatto che l'abrogazione ha colpito il «contratto a progetto», non le co.co.co. Il suo effetto immediato, dunque, è stato l'abbattimento dell'argine che conteneva e indirizzava le collaborazioni coordinate e continuative; le quali, conseguentemente, hanno conosciuto, nella seconda meta del 2015, una nuova espansione della loro area di validità, tornata nell'alveo dell'

art. 1321 Cod. civ.

I nuovi (e diversi) argini edificati dal «Jobs act», infatti, sono entrati in vigore solo il 1° gennaio 2016. Oggi, il nuovo vincolo alle co.co.co. è rappresentato esclusivamente dalle collaborazioni «etero-organizzate» (su cui torneremo a breve).

Pertanto, mentre in passato le co.co.co. erano vietate (salvo eccezioni) a meno che non rientrassero nell'ambito del lavoro a progetto; oggi, le co.co.co. sono valide e possono essere stipulate con la libertà di un contratto d'opera, purché non superino i confini della collaborazione «etero-organizzata» (e purché, ovviamente, se ne mantenga la genuina autonomia, senza assumere, con l'etero-direzione, i connotati del lavoro subordinato ex

art. 2094 Cod. civ

.

): potrà, ad esempio, essere validamente stipulata una co.co.co. a tempo indeterminato.

In conclusione, possiamo affermare che il lavoro «etero-organizzato» rappresenta oggi l'unico limite posto alle collaborazioni (genuinamente) autonome, le quali, per il resto sono generalmente valide. Ne consegue che quanto più stretta sarà la nozione di lavoro «etero-organizzato», minore sarà il territorio sottratto alle libere co.co.co.

Questa premessa ci consente di cogliere più agevolmente la portata delle nuove disposizioni e l'importanza dei chiarimenti ministeriali.

I vigenti confini delle collaborazioni

Occorre pertanto identificare la fattispecie delle collaborazioni autonome e dell'«etero-organizzazione» che ne segna il confine.

Secondo la definizione della norma, a decorrere dal 1° gennaio 2016, sono soggette alla disciplina del rapporto di lavoro subordinato i rapporti di collaborazione che si concretano in prestazioni di lavoro esclusivamente personali, continuative e le cui modalità di esecuzione sono organizzate dal committente anche con riferimento ai tempi e al luogo di lavoro (

art. 2,

D.Lgs. n. 81/2015

).

I requisiti di una collaborazione sono pertanto i seguenti:

  • la natura esclusivamente personale della prestazione;
  • la continuità della prestazione;
  • l'assenza dell'«etero-organizzazione» (o dell'etero-direzione tout court).

(Segue) I primi due requisiti: personali e continuative

I primi due requisiti non rappresentano una novità sul piano concettuale: personalità della prestazione e continuità sono caratteri già presenti nella fattispecie descritta dall'

art. 409 Cod. proc. civ.

La novità concerne invece l'ampiezza della fattispecie: il carattere della «personalità» della prestazione, oggi non deve essere più soltanto «prevalente», com'era nell'art. 409 Cod. proc. civ., ma deve essere «esclusiva».

Alla luce di quanto esposto nel paragrafo che precede è facile comprendere che questa innovazione ha l'effetto di concedere maggiore spazio alla libertà dei privati. È evidente che un rapporto in cui la prestazione sia solo «prevalentemente» personale ma non «esclusivamente» (poiché, ad esempio, il prestatore si avvale anche dell'apporto di strumenti di rilievo tecnico/economico significativo; o dell'ausilio marginale di un aiutante) sfuggirà alla fattispecie descritta dall'

art. 2, D.Lgs. n. 81/2015

; e, dunque, potrà essere regolata secondo la piena libertà delle parti.

La continuità della prestazione può invece essere descritta secondo i tradizionali arresti: «[…] dovendo essere inteso nella non occasionalità e nella reiterazione dell'attività del prestatore d'opera […]» (Cass. 19 dicembre 1995, n. 12962; cfr. anche

Cass., SS.UU., 14 dicembre 1994, n. 10680

).

Con la circolare in commento, il Ministero ribadisce i due concetti: per «prestazioni di lavoro esclusivamente personali» si intendono le prestazioni svolte personalmente dal titolare del rapporto, senza l'ausilio di altri soggetti; si intendono invece «continuative» le prestazioni che si ripetono in un determinato arco temporale al fine di conseguire una reale utilità.

Il terzo requisito: l'«etero-organizzazione»

Il tratto qualificante della nuova fattispecie è senz'altro quello dell'«etero-organizzazione».

La denominazione di tale requisito, non presente nella legge, è stata immediatamente adottata dai commentatori e, oggi, è sancita anche istituzionalmente dalla circolare in commento.

Occorre pertanto esaminare in cosa consista l'«etero-organizzazione». Secondo la legge sono «etero-organizzate» quelle collaborazioni (personali e continuative) le cui modalità di esecuzione sono organizzate dal committente anche con riferimento ai tempi e al luogo di lavoro (

art. 2, D.Lgs. n. 81/2015

).

Gli elementi che delineano questo tratto della fattispecie sono dunque tre:

  • il fatto che le modalità della prestazione siano organizzate dal committente,
  • anche con riferimento ai tempi di lavoro
  • e al luogo di lavoro.

a) I problemi lasciati aperti dalla norma …

La norma è solo apparentemente di facile lettura. Il testo lascia infatti aperte diverse opzioni interpretative:

  • è sufficiente, cioè, che le modalità di lavoro siano organizzate dal committente, con qualsiasi grado di penetrazione e con riferimento a qualsiasi aspetto dell'organizzazione del lavoro, tra cui, ad esempio, tempi e luoghi?
  • oppure è necessario che l'intervento organizzativo del committente sia qualificato, ossia, debba avere ad oggetto, tra l'altro, anche tempi e luoghi di lavoro?
  • e, infine, l'ingerenza del committente, per risultare rilevante, deve avere ad oggetto sia i tempi, sia i luoghi di lavoro, o è sufficiente che si rivolga anche ad uno solo di questi aspetti?

Il testo della norma non offre elementi idonei a risolvere univocamente i dubbi sollevati. Ed è lecito attendersi una certa varietà di orientamenti in giurisprudenza.

Si tratta di opzioni interpretative non prive di conseguenze: più vasta sarà la nozione di «etero-organizzazione», infatti, maggiore sarà il bacino di rapporti che verranno assoggettati alle norme in materia di lavoro subordinato. Pertanto, se per aversi «etero-organizzazione» sarà sufficiente una qualsiasi ingerenza organizzativa del committente, questi dovrà astenersi con rigore dallo stabilire qualunque indicazione sull'organizzazione del lavoro del prestatore; se, al contrario, la nozione verrà inchiodata al contemporaneo ricorrere di tutti gli elementi menzionati dalla norma, il committente avrà maggiore margine di ingerenza: potrà, ad esempio, stabilire ogni modalità organizzativa della prestazione purché si astenga dal decidere sui tempi o sui luoghi di lavoro; potrà stabilire che il processo produttivo dovrà comprendere una fase alfa e una fase beta; che entrambe le fasi siano svolte negli orari di apertura dell'azienda, ma potranno essere eseguite dal prestatore nel luogo che egli riterrà opportuno; o, viceversa, il prestatore dovrà eseguire in lavoro in azienda, ma potrà farlo negli orari che riterrà; e cosi via.

Fermo restando, naturalmente, il limite – dal confine ormai sfuggente – dell'etero-direzione.

b) … e la risposta offerta dal Ministero

Con la circolare in commento, il Ministero indica la propria posizione.

Ad avviso del Ministero, l'«etero-organizzazione» ricorre ogniqualvolta il collaboratore operi all'interno di un'organizzazione datoriale rispetto alla quale sia tenuto ad osservare determinati orari di lavoro e sia tenuto a prestare la propria attività presso luoghi di lavoro individuati dal committente. In altri termini, sembra che il Ministero ritenga sufficiente che l'ingerenza del committente si estrinsechi solo su questi due ultimi aspetti restando quindi non necessaria anche un'ingerenza su altro. Questa lettura tuttavia non sembra aderente al testo della norma, la quale menziona modalità di organizzazione predisposte dal committente anche in relazione a tempi e luoghi di lavoro. Ciò porta a ritenere, dunque, che tempi e luoghi debbano necessariamente essere compagni di altre ingerenze per poter soddisfare i requisiti fissati dalla norma.

Proseguendo nell'analisi delle indicazioni ministeriali, la circolare precisa che le citate condizioni (ingerenza su tempi e luoghi) devono ricorrere congiuntamente.

In conclusione, tornando sui quesiti e gli esempi formulati pocanzi, ad avviso del Ministero, non sarà dunque «etero-organizzato» il rapporto in cui l'ingerenza del committente si esprima nei confronti del solo tempo di lavoro; o del solo luogo di lavoro; oppure, si esprima esclusivamente nei riguardi di altri aspetti dell'organizzazione.

La posizione espressa dal Ministero con la circolare in commento corrisponde del resto a quanto già affermato in un precedente provvedimento, nel quale aveva escluso il ricorso dell'«etero-organizzazione» nei rapporti tra impresa di assicurazione ed intermediari assicurativi, ai sensi del

Codice

delle Assicurazioni private

, in base alla prescritta assenza, per tali figure, di obblighi di orario (

art. 109,

D.Lgs. 7 settembre 2005, n. 209

) (cfr. Ministero del Lavoro, interpello 20 gennaio 2016, n. 5).

Gli effetti dell'«etero-organizzazione»

Nei casi in cui sia accertata l'«etero-organizzazione» il rapporto sarà assoggettato a tutte le norme previste per il lavoro subordinato.

a) I problemi lasciati aperti dalla norma…

Anche sotto questo aspetto della disciplina, gli interrogativi non mancano.

Per quanto la formulazione utilizzata sia poco tecnica, la norma sembra chiara nella propria portata precettiva, poiché stabilisce che le collaborazioni che presentino i requisiti indicati saranno soggette a tutte le previsioni che regolano il rapporto di lavoro subordinato e, dunque, ad esempio: alle norme in materia di orario di lavoro; di tutela della maternità e della paternità; in materia di contratto a tempo determinato; in materia di licenziamento; in materia di comunicazioni obbligatorie; ecc.

Apparentemente, quindi, il legislatore non ha inteso intervenire sulla nozione di lavoro subordinato prevista dall'

art. 2094 cod. civ.

e tradizionalmente incentrata sull'etero-direzione. Il legislatore si è astenuto dal compiere qualificazioni e si è limitato ad imporre l'applicazione della disciplina dettata per una certa fattispecie (il lavoro subordinato) ad un'altra fattispecie che (apparentemente) mantiene la propria autonomia (la collaborazione «etero-organizzata»).

b) ... e la risposta offerta dal Ministero

Anche il Ministero si mantiene, con la circolare in commento, nel solco tracciato.

La circolare ammette che la tecnica legislativa non è perfetta (ma è «di per sé generica»). E, pur senza affrontare il tema, ribadisce che la norma determina in capo ad un rapporto di lavoro non subordinato le medesime conseguenze che sarebbero applicabili in caso di riqualificazione. Il Ministero, in sostanza, riconosce che il rapporto di cui sia accertata l'«etero-organizzazione» non viene per ciò solo riqualificato in subordinato ma, pur mantenendo la propria qualificazione «altra», diviene destinatario delle norme prescritte.

Nella prospettiva ministeriale, la formula legislativa vuole fornire una semplificazione per gli ispettori i quali, di fronte ad una collaborazione sospetta, potranno, in prima battuta, «limitarsi» ad accertare la «sola» «etero-organizzazione»: ove ne ricorrano i requisiti essi non saranno costretti a ricercare una compiuta etero-direzione.

È interessante ricordare un precedente provvedimento nel quale il Ministero (per mano, peraltro, del medesimo estensore) ravvisava nella disposizione dell'

art. 2, comma 1, D.Lgs. n. 81/2015

, una «presunzione di subordinazione» (cfr. Ministero del Lavoro, interpello 27 gennaio 2016, n. 6). È lecito ritenere tuttavia che si sia trattato di una svista. Le conseguenze, infatti, non sarebbero di poco momento, almeno sul piano concettuale. Se si trattasse di una presunzione, infatti, l'«etero-organizzazione» non rappresenterebbe il tratto distintivo di una nuova fattispecie dell'ordinamento ma assolverebbe unicamente alla funzione di agevolare la riqualificazione in lavoro subordinato. I limiti del presente lavoro non ci consentono di approfondire ulteriormente il tema. Possiamo conclusivamente osservare, tuttavia, che l'impostazione assunta dal Ministero nell'interpello sarebbe difficilmente conciliabile con quella assunta nella circolare in commento e che quest'ultima appare più aderente alle norme di riferimento.

Le fattispecie escluse

Il Ministero non manca di ricordare che alcune fattispecie sono tuttora escluse dall'ambito di applicazione dell'

art. 2,

comma 1,

D.Lgs. n. 81/2015

.

Rammentiamo che, ai sensi dell'art. 2

, comma 2, D.Lgs. n. 81/2015

, possono essere validamente stipulate, pur se «etero-organizzate»:

  • le collaborazioni per le quali gli accordi collettivi nazionali stipulati da associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale prevedono discipline specifiche riguardanti il trattamento economico e normativo, in ragione delle particolari esigenze produttive ed organizzative del relativo settore;
  • le collaborazioni prestate nell'esercizio di professioni intellettuali per le quali è necessaria l'iscrizione in appositi albi professionali;
  • le collaborazioni rese nell'esercizio della loro funzione dai componenti degli organi di amministrazione e controllo delle società e dai partecipanti a collegi e commissioni;
  • le collaborazioni rese a fini istituzionali in favore delle associazioni e società sportive dilettantistiche affiliate alle federazioni sportive nazionali, alle discipline sportive associate e agli enti di promozione sportiva riconosciuti dal C.O.N.I. come individuati e disciplinati dall'

    art. 90 della L. 27 dicembre 2002, n. 289

    .

Ad avviso del Ministero del Lavoro tra queste ultime vanno annoverate anche le collaborazioni rese direttamente in favore del CONI, delle Federazioni Sportive nazionali, delle discipline associate e degli Enti di promozione sportiva (cfr. Ministero del Lavoro, interpello 27 gennaio 2016, n. 6).

Merita altresì di essere evidenziato che, secondo il Ministero del Lavoro, non ogni contratto collettivo eventualmente applicato al rapporto di collaborazione sarà idoneo a farlo rientrare nell'ambito dell'esclusione stabilita dall'

art. 2, comma 2, D.Lgs. n. 81/2015

: a tal fine, sarà invece necessario che il CCL applicato sia stato stipulato dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, come previsto dalla norma. E dovrà trattarsi di contratti collettivi nazionali (cfr. Ministero del Lavoro, interpello 15 dicembre 2015, n. 27). Non sembra consentire una diversa conclusione neppure l'

art. 51, D.Lgs. n. 81/2015

(che ricollega i riferimenti alla contrattazione collettiva contenuti nel decreto a contratti collettivi di diverso livello e fonte), posto che la stessa norma fa salve diverse e specifiche previsioni, qual è quella in esame.

Ricordiamo che per rivestire i caratteri sopra ricordati, il grado di rappresentatività delle organizzazioni sindacali stipulanti è rivelato:

  • dal numero complessivo dei lavoratori occupati;
  • dal numero complessivo delle imprese associate;
  • dalla diffusione territoriale dell'associazione (numero di sedi presenti sul territorio e ambiti settoriali);
  • dal numero dei contratti collettivi nazionali sottoscritti.

Su questi temi il Ministero si era già espresso in precedenza (cfr. Ministero del Lavoro, circolare 9 novembre 2010, prot. n. 25/I/0018931/MA002.A007.1452; Ministero del Lavoro, circolare 6 marzo 2012, prot. n. 37 0004610/MA003.A001; Ministero del Lavoro, circolare 5 giugno 2012, n. 13).

Rispetto alle fattispecie escluse, il Ministero si è premurato di ricordare che – in ogni caso – restano intatti i confini propri del lavoro subordinato. Pertanto, anche tali fattispecie potranno essere riqualificate in lavoro subordinato, allorché siano caratterizzate da una piena etero-direzione. L'accertamento degli ispettori, tuttavia, non potrà in questi casi fermarsi alla verifica dell'«etero-organizzazione» ma dovrà pertanto essere più approfondito.

Tale conclusione va assunta, precisa il Ministero, anche in considerazione del principio di indisponibilità del tipo contrattuale, sancito dalla Corte Costituzionale. Come noto, secondo il principio affermato dal Giudice delle Leggi, neppure al legislatore sarebbe consentito imporre ad un rapporto che presenti i caratteri della subordinazione una qualificazione giuridica diversa, sottraendolo all'applicazione delle norme che la legge stabilisce per la sua regolazione (

Corte Cost.

29 marzo 1993

, n. 121

;

Corte Cost.

31 marzo 1994

, n. 115

; cfr. anche

Cass., Sez. Lav., 15 ottobre 2014, n. 21824

;

Cass., Sez. Lav.,

25 settembre 2014, n. 20231
;

Cass.

, Sez. Lav., 1° settembre 2014, n. 18476

;

Cass., Sez. Lav., 17 aprile 2014,

n.

8977

).

Un apparente problema di coordinamento tra l'art. 2 e l'art. 52 del D.Lgs. n. 81/2015

Merita un cenno l'apparente contrasto tra le previsioni dell'

art. 2, comma 1

D.Lgs. n. 81/2015

, e dell'

art. 52

, D.Lgs. n. 81/2015

, sul quale interviene anche la circolare in commento.

a) I problemi lasciati aperti dalla norma…

Il contrasto si rinviene nell'articolazione temporale delle due discipline.

Secondo l'

art. 52

, D.Lgs. n. 81/2015

, le previsioni degli

artt. 61 e segg. D.Lgs. n. 276/2003

continueranno ad applicarsi ai rapporti già stipulati e non indica alcun termine in proposito. Il che significa che se il contratto a progetto già stipulato alla data di entrata in vigore del

D.Lgs. n. 81/2015

avesse una scadenza prevista, ad esempio, per il mese di luglio 2016 continuerebbe ad essere regolato dalle norme previgenti. Eppure, l'

art. 2

, comma

1

D.Lgs. n. 81/2015

, stabilisce che a far dato dal 1° gennaio 2016 tutte le collaborazioni «etero-organizzate» saranno regolate dalle norme proprie del lavoro subordinato. Se è vero che le collaborazioni «etero-organizzate» costituiscono, come già i contratti a progetto, una species del genus delle collaborazioni continuative, alcune collaborazioni a progetto potrebbero presentare i requisiti della «etero-organizzazione».

Da qui il possibile contrasto tra le due norme.

Come dicevamo, tuttavia, il contrasto è solo apparente e può essere risolto per mezzo degli ordinari strumenti. L'

art. 52

D.Lgs.

n. 81/2015

, infatti, si presenta come norma speciale rispetto alla generale previsione dell'art. 2, comma 1, essendo destinata a regolare transitoriamente i soli rapporti già sorti in base alla normativa previgente. Pertanto, è lecito ritenere che un rapporto di collaborazione a progetto stipulato prima dell'entrata in vigore del

D.Lgs. n. 81/2015

possa continuare a rimanere regolato dagli artt. 61 n. 81/2015 e segg. fino alla sua naturale estinzione e non sarà soggetto all'applicazione delle norme sul lavoro subordinato neppure dopo il 1° gennaio 2016.

b) … e la risposta offerta dal Ministero

Questa conclusione è oggi condivisa dal Ministero, il quale, con la circolare in commento, afferma che i contratti di lavoro a progetto stipulati prima del 25 giugno 2015 potranno continuare ad esplicare i loro effetti fino alla scadenza. Ossia, in termini più chiari, resteranno regolati dalle vecchie norme senza incorrere nell'applicazione della disciplina del lavoro subordinato, ai sensi dell'

art. 2, D.Lgs. n. 81/2015

, anche oltre il 1° gennaio 2016.

In conclusione

In conclusione, con la circolare in commento il Ministero ha fornito un autorevole presa di posizione in merito ad alcune delle opzioni ermeneutiche lasciate aperte dalle nuove norme in materia di collaborazioni. È lecito attendersi, tuttavia, che la giurisprudenza offrirà soluzioni ulteriori e non necessariamente conformi.

Sommario