Responsabilità del committente per la sicurezza dei dipendenti dell’appaltatore
13 Luglio 2017
Massime
Ai sensi tanto dell'art. 2087 c.c. quanto dell'art. 7 D.Lgs n. 626/94 (applicabile ratione temporis), che disciplina l'affidamento di lavori in appalto all'interno dell'azienda, il committente nella cui disponibilità permanga l'ambiente di è obbligato ad adottare tutte le misure necessarie a tutelare l'integrità e la salute dei lavoratori, ancorché dipendenti dell'impresa appaltatrice, misure che consistono nel fornire adeguata informazione ai singoli lavoratori circa le situazioni di rischio, nel predisporre tutte le misure necessarie a garantire la sicurezza degli impianti e nel cooperare con l'appaltatrice nell'attuazione degli strumenti di protezione e prevenzione dei rischi connessi sia al luogo di lavoro sia all'attività appaltata.
In tema di infortuni sul lavoro e di c.d. rischio elettivo, premesso che la ratio di ogni normativa antinfortunistica è proprio quella di prevenire le condizioni di rischio insite negli ambienti di lavoro e nella possibile negligenza, imprudenza o imperizia degli stessi lavoratori, destinatari della tutela, la responsabilità esclusiva del lavoratore ancora sussiste soltanto ove questi abbia posto in essere un contegno abnorme, inopinabile ed esorbitante rispetto al procedimento lavorativo e alle direttive ricevute, così da porsi come causa esclusiva dell'evento, creando egli stesso condizioni di rischio estraneo a quello connesso alle normali modalità del lavoro da svolgere. In assenza di tale contegno da parte del lavoratore, l'eventuale suo coefficiente colposo nel determinare l'evento è irrilevante sia sotto il profilo causale sia sotto quello dell'entità del risarcimento dovuto. Il caso
Un operaio subisce infortunio sul lavoro per una propria errata manovra al carroponte.
Propone domanda di risarcimento del danno nei confronti della s.r.l. F.lli Bisson, nei cui locali lavorava con mansioni di saldatore, di cui assumeva essere dipendente.
La domanda è stata respinta dal giudice fallimentare, davanti al quale il processo di merito si è svolto per il fallimento della s.r.l. F.lli Bisson, con decreto di non ammissione al passivo, perché:
Il giudizio di merito è stato ribaltato da Cass. n. 798/2017 in commento, la quale ha cassato la sentenza impugnata con rinvio ad altro giudice, perché decidesse la causa attenendosi ai principi di diritto sopra riportati. Le questioni
Le questioni di diritto sulle quali la sentenza in commento ha statuito sono:
Le soluzioni giuridiche
1) L'ampiezza della responsabilità dell'appaltante per la sicurezza dei lavoratori dipendenti dall'appaltatore che lavorano all'interno dei locali del primo Sulla prima questione il principio di diritto enunciato è conforme al dettato della norma invocata (ora art. 26 D.Lgs. 23 febbraio 2008, n. 81) ed alla giurisprudenza di legittimità precedente, ma si segnala sotto tre profili:
L'art. 2087 c.c. Per quanto riguarda l'art. 2087 c.c., è giurisprudenza consolidata che tale norma costituisce norma di chiusura del sistema antinfortunistico, estensibile a situazioni ed ipotesi non ancora espressamente considerate dalle norme antinfortunistiche specifiche (tra le più recenti, Cass. sez. lav., 28 ottobre 2016, n. 21894; ex plurimis Cass. sez. lav. 7 gennaio 2009, n. 45; Cass. sez. lav., 4 marzo 2005 n. 4723; Cass. sez. lav., 8 febbraio 2005 n. 2444; Cass. sez. lav., 22 marzo 2002, n. 4129; Cass. sez. lav., 20 aprile 1998, n. 4012).
È altresì dominante l'orientamento secondo cui l'area soggettiva di applicabilità di tale norma è costituita dai dipendenti del datore di lavoro, con esclusione dei lavoratori autonomi (Cass. civ., sez. III, 21 marzo 2013 n. 7128; Cass. sez. lav., 16 luglio 2001, n. 9614).
Ma il suo carattere di norma di chiusura, imponendo la correlazione con le previsioni del T.U. sicurezza che essa chiude, rende corretta l'estensione operata dalla sentenza in commento ai dipendenti dell'appaltatore, alla cui protezione è diretto l'art. 26 D.Lgs. 23 febbraio 2008, n. 81, e, possiamo aggiungere, per lo stesso motivo, ai lavoratori autonomi considerati dalla stessa norma. Trend avvalorato dall'art. 2 D.Lgs. 15 giugno 2015, n. 81 (c.d. jobs act), in forza del quale, a partire dal 1° gennaio 2016, si applica la disciplina del rapporto di lavoro subordinato anche ai rapporti di collaborazione che si concretano in prestazioni di lavoro esclusivamente personali, continuative e le cui modalità di esecuzione sono organizzate dal datore di lavoro committente anche con riferimento ai tempi e al luogo di lavoro.
Tale operazione estensiva è avvalorata dalla interpretazione lessicale e sistematica dell'art. 2087 c.c.
Tale norma è collocata nel libro V, titolo II, sezione I del codice civile, dedicata all'impresa in generale, prima della sezione II, dedicata al rapporto di lavoro subordinato, e si riferisce all'imprenditore come tale.
Peraltro, l'art. 26 D.Lgs. n. 81/2008, riferendosi all'appaltante e committente, lo denomina freudianamente datore di lavoro dei dipendenti dell'appaltatore. Tutto ciò si spiega perché la parcellizzazione del processo produttivo impone la concentrazione della responsabilità per la sicurezza in capo all'imprenditore demiurgo, che lo realizza avvalendosi nel proprio interesse di diverse tipologie contrattuali (in tal senso in particolare Cass. sez. lav. n. 21894/2016), in una interpretazione costituzionalmente orientata ex art. 35 Cost. delle norme in esame.
Obblighi dell'appaltatore sulla formazione L'art. 26 D.Lgs. n. 81/2008, riprendendo analoga disposizione dell'art. 7 D.Lgs. n. 626/1994, individua, al primo comma, i rischi e gli obblighi del datore di lavoro, in caso di affidamento dei lavori all'impresa appaltatrice o a lavoratori autonomi all'interno della propria azienda, o di una singola unità produttiva della stessa, nonché nell'ambito dell'intero ciclo produttivo dell'azienda medesima, come segue.
a) Verifica l'idoneità tecnico professionale delle imprese appaltatrici o dei lavoratori autonomi in relazione ai lavori da affidare in appalto o mediante contratto d'opera o di somministrazione.
Tale obbligo corrisponde alla responsabilità del committente, denominata culpa in eligendo, individuata dalla giurisprudenza di legittimità fin dagli anni '60, dapprima timidamente, come eccezionale (v. Cass. 4 giugno 1962 n. 1343) e poi, sulla base dell'art. 7 D.Lgs. n. 626/1994 e dell'art. 26 D.Lgs. n. 81/2008, in maniera sempre più pregnante (Cass. sez. lav., 23 marzo 1999, n. 2745; Cass. sez. lav., 19 aprile 2006, n. 9065; Cass. sez. lav., 27 maggio 2011, n. 11757; Cass. civ., sez. II, 25 gennaio 2016, n. 1234). Non è sufficiente, ad es., ad esonerare il committente da responsabilità il fatto di affidare dei lavori sul tetto ad un artigiano dotato presumibilmente di una propria formazione ed esperienza professionale, ma il committente ha l'obbligo di verificare che questi sia dotato di una struttura organizzativa d'impresa che gli consenta di lavorare in sicurezza (Cass. pen., sez. III, 26 aprile 2016, n. 35185).
In tale obbligo di verifica la sentenza in commento include anche la verifica dell'avvenuta formazione.
b) Fornisce agli stessi soggetti dettagliate informazioni sui rischi specifici esistenti nell'ambiente in cui sono destinati ad operare e sulle misure di prevenzione e di emergenza adottate in relazione alla propria attività.
Tale obbligo trova il suo remoto antecedente nella bipartizione posta dall'art. 5, D.P.R. 27 aprile 1955, n. 547 (prima legge organica per la prevenzione degli infortuni sul lavoro), che, al primo comma, affidava alla competenza del datore di lavoro committente i rischi ambientali, e, al secondo comma, riservava alla responsabilità del lavoratore autonomo i rischi propri dell'attività professionale o del mestiere che il lavoratore autonomo è incaricato di prestare.
Il D.Lgs. 19 settembre 1994, n. 626 (art. 7) ha esteso tale regola in favore dei dipendenti delle imprese appaltatrici, chiamati ad operare all'interno dell'azienda o comunque nell'unità produttiva.
L'art. 26 poi, al comma 2, disciplina i c.d. rischi interferenziali, derivanti cioè dalla compresenza sul medesimo teatro lavorativo di più lavoratori dipendenti da diversi appaltatori o subappaltatori e lavoratori autonomi. In questo caso tutti i rispettivi datori di lavoro di cui al comma 1, compresi i subappaltatori:
Tuttavia la concentrazione dell'attenzione (e la compartecipazione nella responsabilità con l'appaltatore) per la sicurezza rimane in capo all'imprenditore demiurgo; ciò è reso lampante dal comma 3, che lo obbliga a promuovere la cooperazione ed il coordinamento di cui al comma 2, elaborando, solo lui (Cass. sez. IV pen. 7 giugno 2016 n. 30557) un unico documento di valutazione dei rischi che indichi le misure adottate per eliminare o, ove ciò non è possibile, ridurre al minimo i rischi da interferenze. Tale documento è allegato al contratto di appalto o di opera. Solo nel caso che i diversi lavoratori compresenti dipendano da datori di lavoro non legati tra loro da alcun rapporto di appalto tale obbligo compete a ciascun datore di lavoro (Cass. sez. IV. Pen. 20 gennaio 2015 n. 2015).
Infine, in forza del comma 4, l'imprenditore committente risponde in solido con l'appaltatore, nonché con ciascuno degli eventuali subappaltatori, per tutti i danni per i quali il lavoratore, dipendente dall'appaltatore o dal subappaltatore, non risulti indennizzato ad opera dell'INAIL.
Da tempo la giurisprudenza di legittimità aveva elaborato un autonomo titolo di responsabilità per ingerenza, individuandone vari gradi.
Vi è quella diretta, quando il fatto lesivo sia stato commesso dall'appaltatore in esecuzione di un ordine impartitogli dal direttore dei lavori o da altro rappresentante del committente (Cass. sez. lav., 27 maggio 2011, n. 11757); lo stesso principio si applica al subappaltatore, che abbia agito in esecuzione di un ordine impartitogli dall'appaltatore (Cass. civ., sez. II, 13 febbraio 2009, n. 3659).
Un ordine siffatto concentra la responsabilità sull'ordinante, ed esclude il concorso di colpa dell'esecutore (Cass. civ., sez. II, 5 dicembre 2016, n. 24798).
Vi è poi la ingerenza indiretta, quando il committente abbia apprestato l'ambiente lavorativo nel quale è chiamato ad operare l'appaltatore, il subappaltatore o il lavoratore autonomo (Cass. 9065/2006); o quando questo sia rimasto nella sua disponibilità (Cass. 21694/2011), o egli stesso si sia reso garante della vigilanza relativa alle misure da adottare in concreto, riservandosi i poteri tecnico — organizzativi dell'opera da eseguire (Cass. sez. lav., 8 ottobre 2012, n. 17092; Cass. sez. lav., 28 ottobre 2009, n. 22818).
Lo stesso principio è stato affermato quando i dipendenti dell'appaltatore utilizzino, per contratto o per consuetudine o per tolleranza, strutture di supporto, opere provvisionali, strumentazioni appartenenti al committente (Cass. sez. lav., 2 marzo 2005, n. 4361, che richiama Cass. pen., sez. IV, 15 dicembre 1998; Cass. civ., sez. III, 15 novembre 2013, n. 25758).
A noi sembra che, essendo l'art. 26 in esame diretto a tutelare i dipendenti dell'appaltatore ed i lavoratori autonomi che operano nei locali dell'imprenditore, e cioè in un teatro lavorativo predisposto dall'appaltante o committente, l'ingerenza intesa come sopra è in re ipsa, e ricorre in ogni caso di appalto all'interno dell'azienda.
La fattispecie esaminata dalla corte La fattispecie concreta cui la sentenza in commento applica tali principi è la seguente: il lavoratore infortunato lavorava da circa un anno presso la soc. F.lli Bisson con mansioni di saldatore, e quindi si poteva considerare lavoratore esperto; egli tuttavia si è infortunato per una errata manovra al carroponte, di proprietà della soc. F.lli Bisson, che, come sottolinea la sentenza in commento, non si può considerare rientrare nelle mansioni di saldatore e, pertanto “ancor più era dovuta nei suoi riguardi un'adeguata formazione ed informazione sulle modalità di manovra e sui rischi connessi all'uso di un carroponte, macchinario normalmente estraneo alle mansioni proprie di un saldatore”; necessitava perciò di apposita formazione, e il datore di lavoro committente ai sensi degli artt. 26 e 1218 c.c. aveva l'onere di provare che gli fosse stata fornita.
2) La distribuzione degli oneri probatori sulla responsabilità dell'infortunio tra datore di lavoro e lavoratore La sentenza in commento ha censurato la sentenza impugnata anche nella parte in cui ha basato la propria decisione sulla mancanza di prova della colpa del committente, ed ha affermato al contrario il principio che toccava a lui fornire la prova di avere adempiuto il debito di sicurezza.
La statuizione è corretta e trova fondamento nel carattere contrattuale della responsabilità del committente.
A partire da Cass. sez. lav., 25 maggio 2006, n. 12445 è stato notato che la responsabilità conseguente alla violazione dell'art. 2087 c.c. ha natura contrattuale, perché il contenuto del contratto individuale di lavoro risulta integrato per legge (ai sensi dell'art. 1374 c.c.) dalla disposizione che impone l'obbligo di sicurezza (art. 2087 c.c.), che entra così a far parte del sinallagma contrattuale. Ne consegue che il riparto degli oneri probatori nella domanda di danno da infortunio sul lavoro proposta dal lavoratore, o dai suoi eredi, si pone negli stessi termini che nell'art. 1218 c.c. sull'inadempimento delle obbligazioni (da ultimo Cass. sez. lav., 26 aprile 2017, n. 10319; Cass. sez. lav., 3 febbraio 2015, n. 1918; ex plurimis Cass. sez. lav., 8 maggio 2007, n. 10441, Cass. sez. lav., 24 febbraio 2006, n. 4184).
La regola sovrana in tale materia, desumibile dall'art. 1218 c.c., è che il creditore che agisca per il risarcimento del danno deve provare tre elementi: la fonte (negoziale o legale) del suo diritto, il danno, e la sua riconducibilità al titolo dell'obbligazione; mentre è il debitore convenuto ad essere gravato dell'onere di provare il proprio adempimento, o che l'indempimento è dovuto a causa a lui non imputabile (Cass. civ. S.U., 30 ottobre 2001, n. 13533; Cass. sez. lav., 2 luglio 2014, n. 15082).
3) La nozione di colpa esclusiva e di rischio elettivo La sentenza impugnata ha respinto la domanda di risarcimento del danno civilistico ritenendo la colpa esclusiva del lavoratore nella causazione dell'infortunio; la sentenza in commento ha statuito che la responsabilità risarcitoria del datore di lavoro può essere esclusa solo in caso di rischio elettivo, riportandone la esatta nozione nella massima sopra riportata.
4) L'entità del risarcimento del danno civilistico in caso di concorso di colpa del lavoratore Infine la sentenza in commento afferma che in materia di risarcimento del danno civilistico l'eventuale concorso di colpa del lavoratore è irrilevante sia sotto il profilo causale, sia sotto quello dell'entità del risarcimento dovuto, che rimane quindi integrale per l'intero danno. Osservazioni
La statuizione di cui al punto 1 trova fondamento negli argomenti esposti, risulta confermata dalla giurisprudenza successiva (Cass. sez. lav., 9 maggio 2017, n. 11311) e va pertanto condivisa nella sua portata evolutiva.
La statuizione sulla responsabilità corrisponde al costante insegnamento della Corte, trova fondamento nelle norme invocate (art. 2087 c.c. e 26 D.Lgs. n. 81/2008), e si segnala perché fa discendere la responsabilità del committente da un difetto di formazione, mostrando così di includere nell'obbligo di informazione di cui al comma 1, lett. b) dell'art. 26 D.Lgs. n. 81/2008 anche l'obbligo di formazione, e questo ci sembra uno sviluppo rispetto alla giurisprudenza precedente, sviluppo rientrante nelle finalità dell'art. 26, coerente con le considerazioni di cui a Cass. 218948/2016, e pertanto da condividere.
Destano invece perplessità le statuizioni di cui ai punti 3 e 4.
La nozione di rischio elettivo è stata elaborata nell'ambito del diritto dell'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, in relazione alle nozioni di colpa e dolo del lavoratore, di rischio assicurato (da cui l'espressione invalsa di rischio elettivo) e di occasione di lavoro per differenziare le condotte pur eterodosse che, essendo finalizzate al risultato produttivo, avvengono in occasione di lavoro e comportano il mantenimento della copertura assicurativa, e quelle che eccedono tale confine. Attraverso successive elaborazioni, esso è definito ora come la condotta del lavoratore costituente una scelta abnorme ed arbitraria, che crei ed affronti volutamente, in base a ragioni o ad impulsi personali, una situazione diversa ed estranea, che recide il nesso con l'attività lavorativa, ed esclude conseguentemente la occasione di lavoro e la copertura assicurativa ed indennitaria (tra le più recenti: Cass. 13 aprile 2016 n. 77313; Cass. sez. lav., 5 settembre 2014, n. 18786).
Di rischio elettivo si parla anche in sede penale, ma in senso diverso: ad es. la manovra inappropriata per far ripartire un macchinario inceppato, con introduzione della mano negli organi in movimento può escludere la responsabilità penale del datore di lavoro (Cass. sez. IV pen. 2 febbraio 2015, n. 4890), anche se non configura rischio elettivo nel senso del diritto infortunistico.
In sede civile questa categoria non ha ragione di essere, perché la responsabilità del debitore, sia contrattuale (art. 1218) che extracontrattuale (art. 2043), richiede l'elemento soggettivo del dolo o della colpa, e quindi rilevano le categorie della colpa esclusiva o della colpa concorrente.
Proprio dal carattere contrattuale della responsabilità risarcitoria del committente, giustamente posta a fondamento della statuizione del punto 2 sulla distribuzione degli oneri probatori, deriva anche l'applicazione delle altre regole del c.c. sull'inadempimento delle obbligazioni, in particolare quella dell'art. 1227, primo comma, c.c., secondo cui se il fatto colposo del creditore ha concorso a cagionare il danno, il risarcimento è diminuito secondo la gravità della colpa e l'entità delle conseguenze che sono derivate (Cass. sez. lav., 14 aprile 2008 n. 9817; Cass. sez. lav., 17 aprile 2004, n. 7328).
Vi è perciò un doppio regime: quello della assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, nel quale l'Istituto assicuratore è tenuto a pagare le prestazioni indennitarie nella loro interezza anche in caso di concorso del lavoratore nella causazione della lesione della propria integrità psicofisica; quello civilistico, nel quale la liquidazione del danno differenziale, nei casi in cui non opera la regola dell'esonero da responsabilità civile a norma degli artt. 10 e 12, D.P.R. n. 1124/65, segue le regole civilistiche sull'inadempimento delle obbligazioni.
Se la sentenza in commento intende dire che il difetto di formazione integra la colpa esclusiva del committente, consegue correttamente l'integrale risarcimento del danno differenziale, in base alle norme del c.c.; ma la statuizione, nella sua assolutezza massimatoria, che il risarcimento del danno civilistico prescinde dal concorso di colpa del debitore, si pone in contrasto con l'art. 1227 c.c. e con i precedenti della Corte, senza menzionarli e senza motivare il diverso avviso.
Ci auguriamo perciò che l'uniformità di indirizzo sia ristabilita dalla stessa sezione lavoro o, se il contrasto è consapevole, dalle Sezioni unite civili della Corte. |