Pubblico impiego privatizzato e reclutamento del personale

La Redazione
12 Settembre 2017

In materia di pubblico impiego privatizzato, il danno risarcibile ex art. 36 D.Lgs. n. 165/2001 non deriva dalla mancata conversione del rapporto, bensì dalla prestazione in violazione delle norme imperative riguardanti l'assunzione o l'impiego di lavoratori da parte della Pubblica Amministrazione.

La Corte d'Appello di Brescia confermava la sentenza del Tribunale di Bergamo con cui veniva rigettato il ricorso proposto dall'Ordine degli Avvocati della stessa città e con la quale veniva dichiarato nullo, per mancanza di forma scritta, il contratto di lavoro intercorso per 18 mesi con la professionista. In particolare, il Tribunale condannava l'Ordine al risarcimento del danno in favore della lavoratrice pari a 6 mensilità della retribuzione, ai sensi dell'art. 36 D.Lgs. n. 165/2001 recante « Utilizzo di contratti di lavoro flessibile». Avverso tale decisione l'Ordine degli Avvocati ricorre per cassazione lamentando l'applicazione dell'articolo sopracitato anziché dell'art. 2126 c.c. laddove «sancisce la temporanea inefficacia dell'invalidità negoziale nei casi in cui il rapporto abbia avuto esecuzione».

Risarcimento del danno

Premessa la natura giuridica di ente pubblico non economico dell'Ordine degli Avvocati di Bergamo e, dunque, assodato il relativo obbligo a rispettare le modalità di reclutamento del personale consistente nel pubblico concorso, la Cassazione afferma, nel caso di specie, la mancata costituzione del rapporto di lavoro, in ordine alla violazione delle norme sul reclutamento. Inoltre, prosegue la Suprema Corte, secondo la giurisprudenza, in materia di pubblico impiego privatizzato, il danno risarcibile ex art. 36 D.Lgs. n. 165/2001 «non deriva dalla mancata conversione del rapporto, legittimamente esclusa sia secondo i parametri costituzionali che per quelli europei, bensì dalla prestazione in violazione di disposizioni imperative riguardanti l'assunzione o l'impiego di lavoratori da parte della P.A.».
Nella fattispecie, la Corte territoriale ha propeso per l'affermazione della responsabilità in capo all'Ordine degli Avvocati, non facendola rientrare nella tutela minima garantita dall'art. 2126 c.c., in virtù della primaria esigenza di «ripristinare il potere della legge sull'autonomia dei contraenti» in relazione «all'uso generalizzato e tassativo delle formalità prescritte per il reclutamento del personale» tutte le volte in cui il datore di lavoro è un ente pubblico.
Condividendo quanto sostenuto dai Giudici d'Appello, la Corte di Cassazione rigetta il ricorso.

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