Trasferimento e licenziamento: decorrenza del termine per impugnare

La Redazione
12 Ottobre 2015

In caso di licenziamento dovuto al rifiuto del lavoratore di trasferirsi ad altra sede, la sua legittimità è valutabile in giudizio solo se il trasferimento sia stato impugnato nei termini di legge. Così la Cassazione, con sentenza n. 16757/2015.

In caso di licenziamento dovuto al rifiuto del lavoratore di trasferirsi ad altra sede, la sua legittimità è valutabile in giudizio solo se il trasferimento sia stato impugnato nei termini di legge. Così la Cassazione, con sentenza n. 16757/2015.

Non risultano precedenti in termini. Nel caso in esame, non avendo il lavoratore impugnato giudizialmente il trasferimento nel termine di decadenza di 270 giorni (previsto dalla legge n. 183 del 2010), la Corte ha escluso in assoluto la possibilità di valutarne la legittimità in sede d'impugnazione giudiziale del conseguente licenziamento in quanto la successiva impugnazione del licenziamento, pur collegato di fatto al precedente trasferimento, non rimette in termini.

Infatti, pur costituendone il presupposto, il trasferimento è un atto distinto ed autonomo dal licenziamento, soggetto ad autonoma impugnazione nei tempi e modi previsti dall'art. 32, L. n. 183/2010.

In particolare, il comma 3, lett. c) della disposizione da ultimo citata estende la disciplina dell'impugnazione dei licenziamenti ex art. 6, L. n. 604/1966 al trasferimento ai sensi dell'art. 2103 c.c., con termine decorrente dalla data di ricezione della comunicazione di trasferimento “anche nel caso in cui, per effetto della mancata ottemperanza, segua un distinto atto di licenziamento autonomamente impugnabile”, vista “l'esigenza di impedire il dannoso protrarsi di situazioni di incertezza relative alla sussistenza del rapporto lavorativo”.

Successivamente, l'art. 1, comma 38, legge n. 92 del 2012 di riforma dei licenziamenti individuali ha ulteriormente modificato l'art. 6 cit. riducendo la durata del suddetto termine di decadenza a 180 giorni.

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