L’obbligo di repechage si estende alle mansioni inferiori?

La Redazione
12 Dicembre 2016

Il datore, prima di intimare il licenziamento, è tenuto a ricercare possibili soluzioni alternative e, ove le stesse comportino l'assegnazione a mansioni inferiori, a prospettare al prestatore il demansionamento, divenendo libero di recedere dal rapporto solo qualora la soluzione alternativa non venga accettata. Così Cass. n. 22798/2016.

Cass. sez. lav. 9 novembre 2016, n. 22798

Riformando la sentenza di primo grado, i giudici dell'Appello dichiaravano illegittimo il licenziamento per giustificato motivo oggettivo intimato da una SRL per non aver adeguatamente provato l'impossibilità di repechage: pur essendo venuta meno la necessità di personale addetto alla conduzione di macchine escavatrici, la società aveva assunto nuovi manovali, disattendendo la richiesta del dipendente di essere preposto a mansioni equivalenti o anche inferiori.


Il datore di lavoro ricorreva per la cassazione della sentenza, denunciando violazione dell'art. 2103 c.c. (testo previgente la riforma ex art. 3, D.Lgs. n. 81/2015) e sostenendo che l'obbligo di repechage non si estende anche alle mansioni inferiori. Il gravame, però, viene respinto, risultando tale assunto errato in diritto sulla scorta delle seguenti argomentazioni.

Dall'evoluzione giurisprudenziale ricostruita dalla Cassazione risulta che un risalente orientamento, più rigido, si è nel tempo aperto alla possibilità di derogare al divieto di adibizione a mansioni inferiori per quelle ipotesi in cui l'interesse del dipendente al mantenimento del posto di lavoro fosse prevalente alle esigenze di salvaguardia di una professionalità che verrebbe, comunque, compromessa dalla cessazione del rapporto.

Un punto fermo si trova in Cass. S.U. n. 7755/1998 secondo cui la sopravvenuta infermità permanente giustifica il recesso datoriale, a condizione che l'attività del prestatore sia ineseguibile e non sia possibile assegnarlo a mansioni anche inferiori, sempre che sussista un consenso del lavoratore in questo senso, ciò che costituirebbe un adeguamento del contratto alla nuova situazione di fatto.

Pertanto “il datore, prima di intimare il licenziamento, è tenuto a ricercare possibili soluzioni alternative e, ove le stesse comportino l'assegnazione a mansioni inferiori, a prospettare al prestatore il demansionamento, divenendo libero di recedere dal rapporto solo qualora la soluzione alternativa non venga accettata”.

La Corte ha inoltre recentemente ribadito che tali ragioni conservano piena validità anche per le ipotesi di licenziamento per GMO conseguente a soppressione del posto di lavoro in conseguenza di riorganizzazione aziendale (Cass. n. 4509/2016).

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