Condizioni fisiche incompatibili col lavoro, ma compatibili con lo sport

13 Gennaio 2015

Il lavoratore, adibito a mansioni ridotte in ragione delle condizioni di salute, svolgeva un'attività sportiva incompatibile con le proprie condizioni fisiche, rischiandone l'aggravamento. Legittimo il licenziamento: per la Cassazione (sent. n. 144/2015) l'obbligo di fedeltà è da integrarsi con quelli di correttezza e buona fede applicabili anche ai comportamenti extralavorativi.

La Corte di Cassazione, con sentenza n. 144 depositata il 9 gennaio u.s., è intervenuta ad estendere i principi che la giurisprudenza comunemente applica alla fattispecie del dipendente assente per malattia anche all'ipotesi di lavoratore, adibito a mansioni ridotte in ragione delle condizioni di salute, che svolgeva un'attività sportiva incompatibile con le proprie condizioni fisiche, rischiandone l'aggravamento.

Legittimo, quindi, il licenziamento: l'obbligo di fedeltà è da integrarsi con quelli di correttezza e buona fede, che sono applicabili anche ai comportamenti extralavorativi.

Il caso

A causa delle condizioni di salute del dipendente, il datore di lavoro lo aveva assegnato a mansioni ridotte e diverse da quelle precedentemente svolte, sopportando un inevitabile danno dal punto di vista dell'efficienza produttiva ed organizzativa.

Il lavoratore, però, aveva continuato a svolgere un'attività sportiva del tutto incompatibile con le sue condizioni fisiche, rischiando l'aggravamento delle stesse, ed era, quindi, stato licenziato per violazione dell'obbligo di fedeltà.

La difesa del lavoratore

A parere del ricorrente non sussiste, al di fuori dei periodi di assenza per malattia, un dovere generale del lavoratore di adeguare la propria vita privata a standards salutistici particolari. Né l'obbligo di buona fede può trasformarsi, per una sola delle parti del contratto, nel dovere di organizzare la propria vita in funzione della massimizzazione delle proprie capacità di rendimento lavorativo.

I principi applicati

I giudici di merito, applicando la regola iuris in materia di assenza per malattia, hanno ritenuto che l'obbligo di fedeltà a carico del lavoratore subordinato ha un contenuto più ampio di quello risultante dall'art. 2105 c.c., dovendo integrarsi con gli artt. 1175 e 1375 c.c., che impongono correttezza e buona fede anche nei comportamenti extralavorativi e che, in tema di licenziamento per violazione dell'obbligo di fedeltà, impongono al lavoratore di astenersi dal porre in essere non solo i comportamenti espressamente vietati dall'art. 2105 c.c., ma anche qualsiasi altra condotta che, per la natura e per le possibili conseguenze, risulti in contrasto con i doveri connessi al suo inserimento nella struttura e nell'organizzazione dell'impresa, ivi compresa la mera preordinazione di attività contraria agli interessi del datore di lavoro potenzialmente produttiva di danno.

Legittimo il licenziamento

È dello stesso avviso la Suprema Corte secondo cui i giudici di merito, dopo aver accertato che l'attività sportiva svolta dal dipendente non era compatibile con le condizioni fisiche che avevano ridotto la sua capacità lavorativa con rischio di aggravamento delle condizioni stesse, hanno correttamente ritenuto che siffatto comportamento fosse contrario ai doveri di buona fede e correttezza.

Inoltre, ai fini della proporzionalità della sanzione, gli Ermellini hanno considerato detto comportamento grave ed irrimediabilmente lesivo del rapporto fiduciario con l'azienda, posto che, proprio in ragione delle sue condizioni di salute, il datore di lavoro lo aveva assegnato a mansioni ridotte e diverse da quelle precedentemente svolte, sopportando un inevitabile danno dal punto di vista dell'efficienza produttiva ed organizzativa.

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