Indennità di accompagnamento, non solo per deficit nell'attività lavorativa
08 Febbraio 2015
Cass.civ., sez. VI, 21 gennaio 2015, n. 1069, sent.
La capacità del malato di compiere gli elementari atti giornalieri deve intendersi non solo in senso fisico, cioè come mera idoneità ad eseguire in senso materiale detti atti, ma anche come capacità di intenderne il significato, la portata, la loro importanza anche ai fini della salvaguardia della propria condizione psico – fisica. La capacità richiesta per il riconoscimento dell'indennità di accompagnamento non deve, quindi, parametrarsi sul numero degli atti giornalieri, ma soprattutto sulle loro ricadute, nell'ambito delle quali assume rilievo non certo trascurabile l'incidenza sulla salute del malato nonché la salvaguardia della sua dignità di persona. osì si è espressa la Corte di Cassazione nell'ordinanza n. 1069, depositata il 21 gennaio 2015. Il caso. La Corte d'appello di Napoli, pronunciando sull'impugnazione proposta dal tutore dell'interessata, confermava la decisione del Tribunale di Napoli che aveva escluso il diritto della stessa all'indennità di accompagnamento. Un sostegno per il nucleo familiare. Innanzitutto, il Collegio precisa che l'indennità di accompagnamento è una prestazione peculiare, in cui l'intervento assistenziale non è indirizzato al sostentamento dei soggetti minorati nelle loro capacità di lavoro, ma è rivolto principalmente a sostenere il nucleo familiare onde incoraggiare a farsi carico dei suddetti soggetti, evitando così il ricovero in istituti di cura e assistenza, con conseguente diminuzione della relativa spesa sociale. Incapacità di ordine materiale. La nozione di incapacità di compiere autonomamente le comuni attività del vivere quotidiano con carattere continuo comprende, ricorda il Collegio, anche le ipotesi in cui la necessità di far ricorso all'aiuto di terzi si manifesta nel corso della giornata ogni volta che il soggetto debba compiere una determinata attività della vita quotidiana per la quale non può fare a meno dell'aiuto di terzi. Malattie psichiche. Quanto alle malattie psichiche, la Corte ha già avuto modo di precisare che, l'indennità di accompagnamento va riconosciuta, alla stregua di quanto previsto dall'art. 1 della l. n. 18/1980, anche in favore di coloro i quali, pur essendo materialmente capaci di compiere gli atti elementari della vita quotidiana, necessitino della presenza costante di un accompagnatore in quanto, in ragione dei gravi disturbi della sfera intellettiva, cognitiva o volitiva dovute a forme avanzate di gravi stati patologici, o a gravi carenze intellettive, non siano in grado di determinarsi autonomamente al compimento di tali atti nei tempi dovuti e con modi appropriati per salvaguardare la propria salute e la propria dignità personale senza porre in pericolo sé o gli altri. Vizi motivazionali sentenza d'appello. Nel caso di specie, a parere del Collegio, la sentenza impugnata si è sottratta al compito fondamentale che le era affidato, congetturando l'esistenza di preferenze personali in presenza di dati obiettivamente inconciliabili con una sola scelta dell'assistita (ignora sul punto la malattia diagnosticata dal CTU) e giustificando, sulla base di tale sola congettura, l'accertamento relativo alla insussistenza dei requisiti necessari all'attribuzione della indennità di accompagnamento. |