Cass.civ., sez. lavoro, 15 dicembre 2014, n. 26307, sent.
Perché l'assenza possa essere detratta dal periodo di comporto, non è sufficiente che si tratti di malattia professionale, meramente connessa cioè alla prestazione lavorativa, ma è necessario che in relazione a tale malattia, e alla sua genesi, sussista una responsabilità del datore di lavoro ai sensi dell'art. 2087 c.c. (tutela delle condizioni di lavoro). Lo ha stabilito la Corte di Cassazione nella sentenza n. 26307, depositata il 15 dicembre 2014.
Il caso. Il Tribunale di Bergamo dichiarava l'illegittimità del licenziamento intimato dalla società datrice di lavoro alla lavoratrice per superamento del periodo di comporto e ordinava la reintegrazione della lavoratrice nel posto di lavoro con la condanna della società al risarcimento del danno. La Corte d'appello di Brescia confermava tale sentenza, ribadendo che la malattia denunciata dalla lavoratrice in epoca successiva al 24 gennaio 2004, e durata diciannove giorni, era da ricollegarsi a causa di lavoro ed alle mansioni espletate, in particolare, ad uno sforzo compiuto dall'attrice nel sollevamento di pesi.
Per la cassazione di tale decisione ricorre la società datrice di lavoro.
Nesso causale. Il Collegio sostiene che la Corte territoriale ha dato adeguato conto del suo giudizio in ordine alla sussistenza della prova di un nesso causale tra le mansioni svolte dalla lavoratrice, addetta al sollevamento di pacchi di fascicoletti del peso di circa 40 – 50 chili, e la lombosciatalgia lamentata dalla stessa nel gennaio 2004. Non vengono nemmeno evidenziate contraddizioni interne alla motivazione, perché, aggiunge il Collegio, la Corte ha fondato il suo giudizio su una serie di elementi istruttori, valutati coerentemente e nel loro complesso.
Non solo natura professionale dell'infortunio… Inoltre, continua il Collegio, la sentenza non si limita a riconoscere la natura professionale dell'infortunio e ad escludere, sulla base di questa sola circostanza, i giorni di assenza dal periodo di comporto. La Corte territoriale non ha posto l'accento solo sulla nocività oggettiva delle mansioni svolte per la salute della lavoratrice e sull'esistenza di un rischio specifico di patologie al rachide e alla muscolatura dorsale lombare. Ha fatto, altresì, riferimento all'art. 48 del d.lgs. n. 626/1994 che impone al datore di adottare misure atte ad evitare o ridurre i rischi di lesioni dorso – lombari tenendo conto dei fattori individuali di rischio ed all'art. 11 della l. n. 653/1934, che prevede un peso massimo di 20 chili per lo spostamento manuale senza rischi per le donne.
…ma anche violazione di obblighi normativi da parte del datore. Emerge, infatti, dalla motivazione della sentenza impugnata l'inadempimento da parte del datore di lavoro degli obblighi posti dalle norme citate, oltre che del principio generale di cui all'art. 2087 c.c. (tutela delle condizioni di lavoro). Non sussiste, quindi, violazione di legge come sostenuto dalla società ricorrente.
Tutela delle condizioni di lavoro. Per la S.C., tutto ciò è conforme all'orientamento giurisprudenziale secondo il quale non è sufficiente, perché l'assenza possa essere detratta dal periodo di comporto, che si tratti di malattia professionale, meramente connessa cioè alla prestazione lavorativa, ma è necessario che in relazione a tale malattia, e alla sua genesi, sussista una responsabilità del datore di lavoro ai sensi dell'art. 2087 c.c..
Per le considerazioni sopra esposte, il ricorso è stato rigettato e la ricorrente condannata al pagamento delle spese del giudizio di legittimità.