La dipendente sottrae somme all'azienda. Scatta il licenziamento

04 Dicembre 2014

Lineare e coerente la condotta dell'azienda, che ha verificato la consistenza delle contestazioni poi mosse alla dipendente, ossia l'aver incassato personalmente i soldi pagati dai clienti per alcuni prodotti non passati alla casa. Quadro accusatorio chiaro e grave: legittimo, quindi, il provvedimento del licenziamento.

Cass.civ., sez. lavoro, 4 dicembre 2014, n. 25674, sent.

Lineare e coerente la condotta dell'azienda, che ha verificato la consistenza delle contestazioni poi mosse alla dipendente, ossia l'aver incassato personalmente i soldi pagati dai clienti per alcuni prodotti non passati alla casa. Quadro accusatorio chiaro e grave: legittimo, quindi, il provvedimento del licenziamento. Operazioni poco chiare alla cassa. Conseguenziali i dubbi e gli accertamenti – attraverso un'agenzia investigativa ad hoc – della società proprietaria del supermercato nei confronti della lavoratrice, inquadrata come cassiera.

A controllo concluso, emerge la condotta scorretta della dipendente, la quale non ha provveduto alla registrazione di alcuni prodotti acquistati dai clienti, appropriandosi, ovviamente, delle relative somme, comunque incassate.
Di fronte a tale quadro, è non contestabile la decisione dell'azienda di optare per il licenziamento. (Cassazione, sentenza n. 25674, sez. Lavoro, depositata oggi)
Alla cassa. Tranchant, come detto, il provvedimento aziendale: «licenziamento per giusta causa» nei confronti della cassiera, beccata a mettersi in tasca le somme relative ad alcuni prodotti – confezioni di shampoo, in particolare –, acquistati dai clienti ma mai registrati alla cassa.
Decisiva l'indagine realizzata dall'azienda, che si è affidata ad un'agenzia investigativa, e concretizzatasi in un controllo diretto dell'operato della lavoratrice.
Ebbene, per i giudici di merito, nonostante le contestazioni mosse dalla donna, il «licenziamento» è assolutamente legittimo.
A casa. Vicenda, però, niente affatto chiusa. Inevitabile la reazione della lavoratrice in bilico, che non accetta l'idea di dovere addirittura tornare a casa. E consequenziale è il ricorso in Cassazione, finalizzato a contestare l'operato dell'azienda, colpevole, secondo la donna, di avere esagerato nei controlli sul suo operato come cassiera e nella sanzione adottata. Senza dimenticare, poi, aggiunge la donna, la «non tempestività della contestazione dell'addebito»...
Ma tutte queste obiezioni si rivelano irrilevanti, assolutamente inidonee a scalfire il quadro che ha portato al licenziamento della cassiera.
Innanzitutto, alla luce della «avvenuta sottrazione delle somme non contabilizzate» – per giunta, «sottrazione reiterata a distanza di sole quarantotto ore» –, è lapalissiana, sottolineano i giudici del ‘Palazzaccio', la gravità della condotta tenuta dalla cassiera, che «svolgeva funzioni di particolare delicatezza e responsabilità»: di conseguenza, è evidente il «venir meno del legame fiduciario», e, quindi, l'«impossibilità», per il datore di lavoro, di «confidare sull'affidabilità e sulla lealtà del dipendente».
Già queste considerazioni sono sufficienti per confermare la legittimità del «licenziamento».
A completare il quadro, però, va anche ribadita la correttezza dell'operato dell'azienda, poiché «sono leciti i controlli del datore di lavoro, a mezzo di agenzia investigativa, in ordine agli illeciti del lavoratore che non riguardino il mero inadempimento della prestazione» bensì, come in questa vicenda, «incidano sul patrimonio aziendale». Non a caso, i «controlli» messi in atto, ricordano i giudici, erano «diretti a verificare eventuali sottrazioni di cassa», quindi «a salvaguarda il patrimonio aziendale»...

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