Sezioni Unite: i contributi datoriali hanno natura previdenziale e non si computano nel TFR

La Redazione
13 Marzo 2015

La Cassazione a Sezioni Unite, con sentenza n. 4949/2015, depositata ieri, risolve il contrasto giurisprudenziale circa la natura e funzione retributiva o previdenziale (ai fini del computo o meno nel TFR) delle somme accantonate dal datore per la previdenza complementare nel periodo precedente la Riforma Amato (D.Lgs. n. 124/1993).

Per il periodo precedente la Riforma Amato (D.Lgs. n. 124/1993), le somme accantonate dal datore di lavoro per la previdenza complementare – chiunque sia il soggetto tenuto alla erogazione dei trattamenti integrativi e quindi destinatario degli accantonamenti – hanno natura e funzione retributiva oppure previdenziale e, quindi, si computano, o meno, nel trattamento di fine rapporto?

Questa è la questione sottoposta alle Sezioni Unite che, con sentenza n. 4949/2015, depositata ieri, risolvono il contrasto giurisprudenziale in materia.

Dopo una chiara analisi del quadro normativo di riferimento e delle diverse soluzioni adottate dalla giurisprudenza, la Corte afferma che la verifica della natura retributiva o meno del contributo in esame deve necessariamente partire dal concetto di retribuzione, come delineato dal legislatore in materia di indennità di anzianità e di TFR.

Dal combinato disposto degli articoli 2120 e 2121 c.c. emerge che la nozione di retribuzione è caratterizzata:

  • dall'esistenza di un effettivo passaggio di ricchezza dal datore di lavoro al lavoratore;
  • dall'esigenza che le somme erogate si trovino in nesso di corrispettività con la prestazione lavorativa.

Tra rapporto di lavoro e previdenza complementare, invece, vi è una sostanziale autonomia.

I versamenti datoriali ai fondi di previdenza integrativa, infatti, sono effettuati in virtù di un ulteriore rapporto contrattuale, diverso da quello di lavoro dipendente, e l'obbligo del versamento contributivo a carico del datore si pone nei confronti del fondo e non del lavoratore, essendo quest'ultimo destinatario solamente di un'aspettativa al trattamento pensionistico integrativo. Difatti, la contribuzione non entra direttamente nel patrimonio del lavoratore interessato, il quale può solo pretendere che tale contribuzione venga versata al soggetto indicato nello statuto, che è poi onerato dell'erogazione della relativa prestazione al maturarsi delle condizioni previste dallo statuto stesso.

Ulteriori conferme della natura previdenziale si ritrovano anche sotto il profilo sistematico:

  • il trattamento integrativo non ha subito gli effetti della L. n. 297/1982 in tema di TFR;
  • la Corte Costituzionale (sent. n. 178/2000) ha affermato che il legislatore ha inserito la previdenza integrativa nel sistema dell'art. 38 Cost., per cui il contributo datoriale al finanziamento dei fondi integrativi costituisce una contribuzione di natura strettamente previdenziale;
  • ex D.Lgs. n. 314/1997 tali versamenti neppure concorrono a formare reddito da lavoro dipendente.

Alla luce delle considerazioni esposte, la Suprema Corte a Sezioni Unite ha enunciato il seguente il principio di diritto:

con riferimento al periodo precedente la riforma introdotta dal D.Lgs. n. 124/1993, i versamenti effettuati dal datore di lavoro ai fondi di previdenza complementare hanno – a prescindere dalla natura del soggetto destinatario della contribuzione e, pertanto, sia nel caso in cui il fondo abbia una personalità giuridica autonoma, sia in quello in cui esso consista in una gestione separata nell'ambito dello stesso soggetto datore di lavoro –natura previdenziale e non retributiva e non sussistono pertanto i presupposti per l'inserimento dei suddetti versamenti nella base di calcolo delle indennità collegate alla cessazione del rapporto di lavoro”.

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