Lesione del vincolo fiduciario per condotta extra-lavorativa: licenziato il dipendente ai ‘domiciliari’ durante la malattia
14 Marzo 2016
A seguito di contestazione disciplinare, con la quale veniva addebitato il coinvolgimento nella commissione del reato di detenzione ai fini di spaccio di sostanze stupefacenti e l'aver taciuto la sottoposizione agli arresti domiciliari nel periodo in cui risultava assente per malattia, un operaio veniva licenziato. Ritenuto legittimo, dai giudici di merito, il comportamento datoriale, il dipendente ricorreva per la cassazione della sentenza.
La Suprema Corte, con sentenza n. 4633 del 9 marzo 2016, torna quindi a pronunciarsi sulla problematica dell'idoneità di condotte extra-lavorative ad incidere sulla relazione fiduciaria ed a costituire giusta causa di licenziamento. La Cassazione, infatti, ribadisce il principio espresso in Cass. n. 776/2015: “anche una condotta illecita, estranea all'esercizio delle mansioni del lavoratore subordinato, può avere un rilievo disciplinare poiché il lavoratore è assoggettato non solo all'obbligo di rendere la prestazione, bensì anche all'obbligazione accessoria di tenere un comportamento extra-lavorativo che sia tale da non ledere né gli interessi morali e patrimoniali del datore di lavoro né la fiducia che, in diversa misura e in diversa forma, lega le parti del rapporto di durata. Detta condotta illecita comporta la sanzione espulsiva se presenti caratteri di gravità, che debbono essere apprezzati, tra l'altro, in relazione alla natura dell'attività svolta dall'impresa datrice di lavoro ed all'attività in cui s'inserisce la prestazione resa dal lavoratore subordinato”.
Per ciò che concerne, nello specifico, la detenzione ai fini di spaccio in ambito extra-lavorativo di un significativo quantitativo di stupefacenti, si era altresì già affermato (Cass. n. 16524/2015) che tale condotta costituisce giusta causa di licenziamento. La notevole quantità di droga, poi, sottolinea la Cassazione, è correttamente collegata alla rottura del vincolo fiduciario poiché “in ragione del suo valore di mercato, induceva a ritenere sia l'abitualità dell'attività delittuosa, sia l'incompatibilità con i suoi redditi da lavoro dipendente, e quindi rendeva concreto il pericolo che il lavoratore potesse commettere reati della stessa natura anche all'interno del luogo di lavoro”. A maggior ragione, tale giudizio negativo del datore era sostenuto dall'ulteriore comportamento del dipendete tenuto in violazione degli obblighi di correttezza e buona fede: il dipendente aveva inoltrato certificato medico, dimostrando la volontà di fornire una giustificazione dell'assenza che nascondesse la sottoposizione agli arresti domiciliari.
La Corte, per questi motivi, rigetta il ricorso. |