Jobs Act del lavoro autonomo e smart working: il quadro delle nuove disposizioniFonte: L. 22 maggio 2017 n. 81
16 Giugno 2017
Introduzione
La legge 22 maggio 2017, n. 81, pubblicata in G.U., Serie Generale n. 135 del 13 giugno 2017, disciplina alcune particolari misure a tutela del lavoro autonomo non imprenditoriale. Le nuove disposizioni intervengono nell'ambito delle transazioni commerciali, in materia di diritto di autore per le invenzioni realizzate in esecuzione del contratto, a garanzia della copertura delle riduzioni del reddito professionale non dipendenti dalla propria volontà e prevedono la totale deduzione delle spese sostenute per l'esecuzione di un incarico e dei costi relativi ai corsi di formazione. Il provvedimento inoltre raddoppia la durata del congedo parentale per gli iscritti alla Gestione separata, interviene prevedendo l'attivazione dei servizi del centro per l'impiego nei confronti dei lavoratori autonomi, la concessione dell'indennità di maternità a prescindere dall'astensione dal lavoro ed il mantenimento del rapporto di lavoro autonomo in caso di malattia, infortunio e gravidanza. La norma infine disciplina il lavoro agile (smart working) delineandone il profilo e specificandone le caratteristiche. Nell'approfondimento si analizzano in dettaglio tutte le novità del provvedimento. Quadro normativo
Dopo un periodo di attesa durato quasi un anno e mezzo, il 10 maggio 2017 il Senato ha definitivamente approvato il disegno di legge n. 2233-B recante "Misure per la tutela del lavoro autonomo non imprenditoriale e misure volte a favorire l'articolazione flessibile nei tempi e nei luoghi del lavoro subordinato" a cui ha fatto seguito la legge 22 maggio 2017, n. 81, pubblicata in G.U. Serie Generale n. 135 del 13 giugno 2017 ed in vigore dal giorno successivo alla pubblicazione. Il provvedimento contiene una serie di norme particolarmente rilevanti che estendono, ai lavoratori autonomi che svolgono la propria attività in forma non imprenditoriale, alcune tutele di carattere economico e sociale (Capo I), disciplina il lavoro agile, definito "modalità flessibile di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato" (Capo II), e contiene le disposizioni finali nel Capo III.
L'art. 1 della legge 22 maggio 2017, n. 81 definisce l'ambito soggettivo di applicazione delle nuove disposizioni, stabilendo che esse si applicano ai rapporti di lavoro autonomo di cui al titolo III del libro quinto del codice civile, ivi inclusi i rapporti di lavoro autonomo che hanno una disciplina particolare ai sensi dell'articolo 2222 del codice civile (prestazioni occasionali d'opera);il secondo comma poi precisa che restano esclusi dall'ambito di applicazione gli imprenditori, ivi compresi i piccoli imprenditori di cui all'articolo 2083 del codice civile. In materia di tutela delle transazioni commerciali, nel tentativo di uniformare il trattamento delle conseguenze legate ai ritardi nei pagamenti all'interno dell'Unione Europea, il legislatore comunitario era intervenuto con la Direttiva 29 giugno 2000 n. 35/CE, recepita in Italia con il Decreto Legislativo 9 ottobre 2002 n. 231. Nel 2011, tuttavia, detta Direttiva ha subìto alcune modifiche incisive, ad opera della Direttiva n. 7 del 16 febbraio, di conseguenza, in attuazione degli obblighi comunitari, il legislatore italiano ha emanato il nuovo Decreto Legislativo n. 192 del 9 novembre 2012 che ha significativamente modificato ed integrato il testo del D. Lgs. n. 231/2002 nel tentativo di imprimere maggiore efficacia alle norme che sanzionano i ritardi nei pagamenti.
La legge n. 81/2017 prevede ora l'applicazione del D. Lgs. n. 231/2002 anche alle transazioni commerciali tra lavoratori autonomi, tra questi ultimi e le imprese ed a quelle tra lavoratori autonomi e amministrazioni di cui all'art. 1, comma 2, D. Lgs. n. 165/2001 (T.U. del pubblico impiego). L'estensione di tale disciplina ai lavoratori autonomi consente, tra l'altro, di predeterminare i termini di pagamento anche in relazione ad eventuali richieste di risarcimento ed interessi. Gli articoli 3 e 4 del D. Lgs. n. 231/2002, come modificato dal D. Lgs. n. 192/2012 e dal successivo D. Lgs. n. 161/2014, prevedono infatti che il creditore ha automaticamente diritto agli interessi moratori che decorrono, senza bisogno di costituzione in mora, dal giorno successivo alla scadenza del termine di pagamento, salvo il caso in cui il debitore dimostri che il ritardo è stato determinato dall'impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile. Gli interessi si calcolano sull'importo dovuto, comprendente la somma che avrebbe dovuto essere pagata entro il termine contrattuale o legale di pagamento, comprese le imposte, i dazi, le tasse o gli oneri applicabili indicati nella fattura o nella richiesta equivalente di pagamento.
Nello specifico, qualora le parti non si accordino in maniera diversa, il periodo non può superare i seguenti termini:
Il comma 3 dell'art. 4 del D. Lgs. n. 231/2002 stabilisce inoltre che le clausole mediante le quali le parti concordano termini di pagamento superiori a sessanta giorni dalla data del ricevimento da parte del committente della fattura o della richiesta di pagamento, sono considerate abusive e prive di effetto. Viene pertanto previsto un limite ex lege al termine per il pagamento, fissandolo a 60 giorni. Allo stesso modo devono considerarsi abusive e prive di effetto le clausole che attribuiscono al committente la facoltà di modificare unilateralmente le condizioni del contratto ovvero, nel caso di contratto avente ad oggetto una prestazione continuativa, di recedere da esso senza congruo preavviso. E' da ritenere abusivo, inoltre, il rifiuto del committente a stipulare il contratto in forma scritta. Nei casi in cui siano violate le ipotesi testé citate, il lavoratore autonomo avrà diritto di richiedere il risarcimento dei danni anche promuovendo un tentativo di conciliazione presso gli organismi abilitati. Si noti che la linea del legislatore appare maggiormente garantista rispetto a quanto previsto dall'art. 1341 c. c., con particolare riferimento all'impossibilità di derogare in maniera specifica all'inefficacia di eventuali clausole vessatorie, neanche per iscritto, ponendo pertanto un freno alle stesse.
Infine, per dare maggior incisività alle nuove disposizioni e per evitare le disparità di peso contrattuale, ai rapporti sopra descritti si applica, in quanto compatibile, l'art. 9 della legge 18 giugno 1998, n. 192 in materia di abuso di posizione dominante. Si rammenta che detta norma considera "dipendenza economica" la situazione in cui un soggetto (la norma si riferisce alle imprese) sia in grado di determinare, nei rapporti commerciali con un altro soggetto, un eccessivo squilibrio di diritti e di obblighi, valutando anche la possibilità per la parte che abbia subito l'abuso di reperire sul mercato alternative soddisfacenti. L'abuso può riscontrarsi in quei comportamenti che si concretizzino nel rifiuto di vendere o di comprare, nell'imposizione di condizioni contrattuali ingiustificatamente gravose o discriminatorie ovvero nell'interruzione arbitraria delle relazioni commerciali in atto. Il patto mediante il quale si concreti l'abuso è nullo e la competenza sulle controversie in materia spetta al giudice ordinario. La norma introduce rilevanti novità anche in materia di diritti di utilizzazione economica relativi a invenzioni ed apporti originali realizzati nell'esecuzione del contratto, stabilendo che essi spettano al lavoratore autonomo, fatta salva l'ipotesi in cui l'attività inventiva sia prevista come oggetto del contratto quindi a tale scopo compensata. Ricordiamo che per i lavoratori dipendenti, al contrario, i diritti di utilizzazione economica spettano al datore di lavoro, sempre che gli apporti originali e le invenzioni siano state fatte nell'esecuzione del contratto di lavoro. La novella normativa per i lavoratori autonomi prevede che si applichino le disposizioni della legge n. 633/1941 in materia di diritto d'autore di cui al D. Lgs. n. 30/2005 (codice di proprietà industriale).
Giova qui sottolineare un aspetto particolarmente importante correlato al diritto d'autore, ossia la tutela dei diritti morali. Questi ultimi sono diritti esclusivi che la legge riconosce all'autore, al fine di tutelare la sua personalità, indipendentemente dai diritti di utilizzazione economica poiché il rapporto tra autore e opera incide anche negli interessi della personalità. Essi consistono nel diritto di decidere termini e limiti di pubblicazione dell'opera, il diritto di rivendicarne la paternità e di opporsi a qualsiasi deformazione, modificazione e ad ogni altro atto che comporti danno alla stessa, oltre al diritto di ritiro dell'opera per gravi ragioni morali. Tali diritti sono inalienabili, imprescrittibili ed irrinunciabili, esercitabili indipendentemente dai diritti patrimoniali derivanti dalla creazione dell'opera qualora si configuri un pregiudizio all'onore o alla reputazione dell'autore. Dopo la morte dell'autore essi possono essere rivendicati dal coniuge, dai discendenti o dagli ascendenti. Alla stregua di quanto accaduto in riferimento alla precedente riforma c.d. Jobs Act del lavoro dipendente, concretizzatosi in un pacchetto di diversi provvedimenti legislativi varati progressivamente nel tempo, anche quello per il lavoro autonomo non conclude il suo iter con l'approvazione di un unico provvedimento. L'art. 5 della norma in esame, difatti, conferisce delega al Governo per l'adozione entro 12 mesi dall'entrata in vigore della legge, di uno o più decreti legislativi in materia di rimessione di atti pubblici alle professioni ordinistiche "Al fine di semplificare l'attività delleamministrazioni pubbliche e di ridurne i tempi di produzione".
Detti provvedimenti dovranno individuare gli atti delle amministrazioni pubbliche che possono essere rimessi anche alle professioni organizzate in ordini o collegi, stante il carattere di terzietà di questi ultimi, indicando altresì le circostanze che possano determinare condizioni di conflitto di interessi e le misure idonee a garantire il rispetto della disciplina in materia di tutela dei dati personali nella gestione degli atti rimessi ai medesimi professionisti. Il successivo art. 6 conferisce delega al Governo, ad adottare entro 12 mesi dalla data di entrata in vigore, uno o più decreti al fine di rafforzare le prestazioni in materia di sicurezza e protezione sociale dei professionisti iscritti agli ordini o collegi e di ampliamento delle prestazioni di maternità e di malattia riconosciute ai lavoratori autonomi iscritti alla Gestione separata.
I principi ed i criteri direttivi sono i seguenti:
In altre parole, le casse di previdenza private potranno erogare nuove prestazioni sociali oltre a quelle già previste dalle attuali leggi. In particolare, se lo vorranno, potranno introdurre forme di sostegno economico per i propri iscritti in difficoltà. Per finanziare questi servizi, le casse avranno facoltà di richiedere ai loro associati un'ulteriore contribuzione. L'art. 15 del Decreto legislativo 4 marzo 2015, n. 22 ha introdotto, in via sperimentale ed in relazione agli eventi di disoccupazione verificatisi nel periodo 1 gennaio - 31 dicembre 2015, l'indennità di disoccupazione mensile, denominata DIS-COLL destinata ai collaboratori coordinati e continuativi, anche a progetto, che abbiano perduto involontariamente la propria occupazione. La legge n. 208/2015, art. 1, comma 310, ha successivamente esteso la tutela della indennità anche agli eventi di disoccupazione verificatisi dal 1 gennaio 2016 al 31 dicembre 2016. Il successivo decreto mille proroghe 2017 ha esteso il riferimento temporale delle disposizioni in argomento fino al 30 giugno 2017, in relazione agli eventi di disoccupazione verificatisi a decorrere dal 1 gennaio 2017 al 30 giugno 2017.
Sono destinatari della indennità DIS-COLL i collaboratori coordinati e continuativi, anche a progetto, iscritti in via esclusiva alla Gestione separata presso l'INPS, non pensionati e privi di partita IVA, che abbiano perduto involontariamente la propria occupazione, compresi i collaboratori delle Pubbliche Amministrazioni. Per effetto dell'art. 7 della legge n. 81/2017 si prevedono ora la stabilizzazione e l'estensione dell'indennità in esame stabilendo che a decorrere dal 1 luglio 2017 essa spetta ai collaboratori anche a progetto nonché agli assegnisti ed ai dottorandi di ricerca con borsa di studio in relazione agli eventi di disoccupazione verificatisi a decorrere dalla stessa data. Il finanziamento della misura prevede un'aliquota contributiva aggiuntiva pari allo 0,51 per cento che porta quella complessiva prevista per il 2017 al 33,23% per i soggetti non titolari di pensione o altra assicurazione obbligatoria. La novità dell'estensione agli assegnisti ed ai dottorandi di ricerca rappresenta un'inversione di rotta, si ritengono pertanto superate le precisazioni in merito ai soggetti esclusi dalla misura di sostegno, espresse nella risposta ad interpello con nota Ministero del Lavoro n. 31 del 22 dicembre 2015 e nella circolare INPS n. 74/2016 al punto 2.2 (soggetti esclusi). Tra le novità ricordiamo che viene abrogato il requisito che prevedeva un reddito pari alla metà di quello richiesto per l'accredito contributivo, nell'anno precedente alla disoccupazione, inoltre il requisito contributivo di tre mesi viene riferito all'anno civile precedente alla cessazione della collaborazione, pertanto attualmente sono necessari soltanto lo stato di disoccupazione al momento della domanda e l'accredito di almeno tre mesi di contributi nella Gestione separata tra il 1 gennaio dell'anno solare precedente alla data di cessazione del lavoro e la data di disoccupazione.
Non vi sono novità riguardanti la durata, a tale proposito ricordiamo che l'indennità spetta per un numero di mesi pari alla metà della durata del contratto di collaborazione calcolato dal 1 gennaio dell'anno civile antecedente la cessazione del rapporto di collaborazione e il giorno di cessazione dal lavoro, in ogni caso il limite è 6 mesi e non sono computati i periodi di lavoro che hanno già dato luogo ad erogazione di precedente DIS-COLL. La domanda va presentata con modalità esclusivamente telematiche entro 68 giorni dalla data di cessazione del rapporto di collaborazione e la prestazione, in generale è incompatibile con il lavoro subordinato pertanto, qualora il beneficiario trovi una nuova occupazione con contratto di lavoro subordinato di durata inferiore o pari a cinque giorni, la prestazione sarà sospesa d'ufficio sulla base delle comunicazioni obbligatorie inviate al sistema dei centri per l'impiego; al termine del periodo di sospensione la prestazione viene corrisposta nuovamente per il periodo residuo spettante. Qualora il contratto di lavoro subordinato abbia una durata superiore a cinque giorni il beneficiario decade dal diritto alla prestazione. La misura dell'indennità DIS-COLL, è pari al 75% di quanto dichiarato ai fini previdenziali per l'anno di cessazione e per quello precedente, diviso il numero di mesi di contribuzione. Al calcolo della misura si applicano i seguenti limiti: se il reddito medio non supera 1.195 euro mensili, l'indennità spetta in misura del 75%; se il reddito supera il limite mensile anzidetto l'indennità sarà pari al 75% sommato al 25% della differenza tra reddito medio e 1.195. In ogni caso l'indennità non può superare l'importo di 1.300 euro mensili e subisce una riduzione progressiva mensile del 3% a partire dal quarto mese di fruizione. L'art. 8 della legge n. 81/2017 prevede particolari disposizioni fiscali e sociali che riguardano in primis la deducibilità delle spese relative a prestazioni alberghiere e di somministrazione di alimenti e bevande sostenute dall'esercente arte o professione per l'esecuzione di un incarico e addebitate analiticamente in capo al committente. In particolare viene ora previsto che tutte le spese relative all'esecuzione di un incarico conferito e sostenute direttamente dal committente non costituiscono compensi in natura per il professionista. La modifica si applica già dal periodo in corso al 31 dicembre 2017. Viene prevista la deduzione integrale dal reddito di lavoro autonomo delle spese di vitto e alloggio, superando pertanto i limiti di deducibilità forfetaria previgenti che consentivano la deducibilità delle spese relative a prestazioni alberghiere e di somministrazione di alimenti e bevande, nella misura del 75% del loro ammontare e per un importo massimo del 2% dell'ammontare dei compensi percepiti nel periodo di imposta. Ricordiamo che le condizioni da rispettare per la deducibilità integrale sono il sostenimento di dette spese in capo al percettore di reddito di lavoro autonomo per l'esecuzione dell'incarico conferito, e l'addebito analitico delle spese in capo al committente. La norma non dispone alcuna modifica per le spese di rappresentanza, che restano deducibili nel limite dell'1% dei compensi percepiti nel periodo di imposta.
La novità appare ancor più rilevante se consideriamo che l'impostazione precedente dell'art. 54, comma 5, riconduceva a reddito qualsiasi importo percepito dal lavoratore autonomo riaddebitato al committente, con il conseguente assoggettamento di esso ad imposizione fiscale e previdenziale mostrando un evidente squilibrio a favore dell'Erario in quanto, se da un lato tali importi dovevano partecipare per intero al reddito del contribuente, dal lato dei costi questi erano deducibili solo parzialmente per effetto di quanto previsto dal comma 1 dello stesso articolo.
Per completezza di argomentazione ricordiamo che l'art. 36, co. 29, lettera a), D.L. n. 223/2006, aveva previsto nel comma 5 dell'art. 54 TUIR la disposizione secondo cui le spese di vitto e alloggio potevano essere integralmente deducibili se sostenute dal committente per conto del professionista e da questi addebitate nella fattura, attraverso una tortuosa triangolazione. La disposizione in vigore fino al 2014 stabiliva che le spese di vitto e alloggio relative a trasferte per conto del committente non soggiacessero ai limiti di deducibilità del 75% e del 2% anzidetti, qualora il committente avesse provveduto a saldare direttamente l'albergatore o ristoratore. La fattura delle menzionate prestazioni, intestata al committente e contenente l'indicazione del professionista, doveva poi essere consegnata a quest'ultimo che avrebbe dovuto inserirla nella propria parcella salvo poi stornarla dal netto a pagare. Come se ciò non bastasse, il committente non poteva dedurre la spesa, ancorché effettivamente sostenuta e documentata, fino al momento del ricevimento della parcella da parte del professionista, fino a rischiare, nel caso limite in cui il professionista emettesse parcella ad inizio anno per prestazioni rese in prossimità della fine dell'anno precedente, che il committente fosse costretto a far slittare di un anno la deduzione del costo, in deroga al ben noto principio fiscale di competenza.
Con l'introduzione del decreto legislativo n. 175/2014 (c.d. decreto semplificazioni), questa farraginosa procedura viene superata e si prevede che laddove il committente si faccia carico delle spese di vitto e di alloggio relative alla trasferta del lavoratore autonomo o professionista, tali spese non rientrano nel limite di deducibilità del 75% né nel plafond del 2% dell'ammontare dei compensi percepiti da quest'ultimo; i costi inoltre sono considerati deducibili per il committente che ne ha sostenuto il carico. In altre parole la norma del 2014, in vigore dal 2015, prevedeva l'estraneità del lavoratore autonomo o professionista che non aveva sostenuto alcuna spesa per vitto e alloggio e lasciava spazio alla deducibilità a favore del committente, tuttavia nella pratica quotidiana e dal punto di vista operativo tali comportamenti sono risultati di difficile applicazione per l'evidente difficoltà in capo ai committenti di effettuare il pagamento di spese relative a prestazioni spesso effettuate in itinere o di fornire preventivamente gli estremi degli strumenti di pagamento adottati dall'azienda, pertanto i costi restavano attratti nella disciplina del primo comma dell'art. 54 TUIR con le predette limitazioni.
L'art. 7-quater del decreto legge 22 ottobre 2016,n. 196, convertito con modificazioni dalla legge 1 dicembre 2016, n. 225, ha modificato l'art. 54, comma 5 del TUIR, sostituendo il secondo periodo dove si prevede che le spese per prestazioni alberghiere e di somministrazione di alimenti e bevande, nonché le spese per prestazioni di viaggio e trasporto non costituiscono compensi in natura per il professionista se sostenute direttamente dal committente, pertanto esse non dovranno trovare esposizione nella parcella del professionista. In sostanza, la norma del 2016 ha equiparato il trattamento fiscale delle spese per vitto e alloggio a quelle di viaggio e trasporto sostenute dal committente. Sotto il profilo operativo, il committente riceve la fattura a lui intestata dall'albergatore o ristoratore, con esplicito riferimento al professionista che ha fruito del servizio e non comunica a quest'ultimo l'ammontare della spesa sostenuta; il costo sarà deducibile per il committente secondo le ordinarie regole stabilite per la categoria di reddito di appartenenza (autonomo o di impresa). Il lavoratore autonomo o professionista emette parcella senza includere le spese sostenute dal committente e pertanto non considera deducibili le spese di viaggio e di trasporto. Resta inalterato il primo periodo del medesimo articolo 54, comma 5, per quanto concerne le percentuali di deducibilità previste per il professionista applicabili agli altri casi.
Ora, per effetto delle nuove disposizioni, la disciplina prevista per le spese di vitto e alloggio sostenute dal committente a beneficio del lavoratore autonomo o professionista, viene estesa a tutte le spese relative all'esecuzione dell'incarico conferito e sostenute direttamente dallo stesso committente, ribadendo che esse non costituiscono compensi in natura per il lavoratore autonomo. Viene altresì previsto che le soglie di deducibilità (75% del costo e 2% dei compensi) non si estendono ai costi sostenuti dal lavoratore autonomo o professionista e addebitati analiticamente al committente.
Il comma 2 dell'art. 8 prevede l'applicazione di dette disposizioni a decorrere dal periodo d'imposta in corso al 31 dicembre 2017, fino al 2016 invece, qualora le spese di vitto e alloggio siano sostenute dal lavoratore autonomo o professionista e addebitate analiticamente al committente, si applicano i limiti di deducibilità anzidetti e gli importi concorrono alla formazione del reddito. Attenzione però, la concreta applicazione di dette disposizioni a partire dai primi mesi del 2017 potrebbe subire un limite laddove il professionista non abbia provveduto ad indicare analiticamente le spese nelle fatture emesse nel periodo antecedente all'entrata in vigore della norma, vale a dire dal 1 gennaio al 13 giugno 2017.
Sotto il profilo sociale, l'art. 8 della legge n. 81/2017 prevede inoltre, in favore degli iscritti alla Gestione separata non titolari di pensione e non iscritti ad altre forme previdenziali obbligatorie, tenuti al versamento della contribuzione maggiorata di cui all'art. 59, comma 16, della legge 27 dicembre 1997, n. 449, il diritto ad un trattamento economico per congedo parentale per un periodo massimo pari a sei mesi entro i primi tre anni di vita del bambino. Detto limite di 6 mesi è da considerare complessivo e comprende anche i trattamenti economici per congedo parentale eventualmente fruiti in un'altra gestione o cassa di previdenza. Il trattamento economico è corrisposto a condizione che risultino accreditate almeno tre mensilità della predetta contribuzione maggiorata nei dodici mesi precedenti l'inizio del periodo indennizzabile.
L'indennità è calcolata, per ciascuna giornata del periodo indennizzabile, in misura pari al 30% del reddito di lavoro relativo alla predetta contribuzione, calcolato ai sensi dell'articolo 4 del decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali 4 aprile 2002. Tale requisito contributivo non si applica per l'erogazione del medesimo trattamento economico per i periodi di congedo parentale fruiti entro il primo anno di vita del bambino alle lavoratrici ed ai lavoratori che abbiano titolo all'indennità di maternità o paternità. In tale caso, in tal caso il calcolo dell'indennità verrà effettuato in misura pari al 30 per cento del reddito preso a riferimento per la corresponsione dell'indennità di maternità o paternità. Giova inoltre ricordare che la delega al Governo contenuta nell'articolo 6, ad adottare entro 12 mesi dall'entrata in vigore della legge in esame, prevede uno o più decreti che stabiliscano la riduzione dei requisiti di accesso alle prestazioni di maternità. Ricordiamo infine che la nuova disciplina si applica anche ai casi di adozione e affidamento preadottivo. Il comma 10 del medesimo articolo prevede infine l'equiparazione alla degenza ospedaliera per le gravi malattie oncologiche ovvero gravi patologie cronico-degenerative ingravescenti o che comunque comportino una inabilità lavorativa temporanea del 100 per cento. L'art. 9 della legge n. 81/2017 modifica la normativa sulla deducibilità delle spese prevedendo la deduzione integrale, entro il limite di 10.000 euro, dei costi di formazione. La novità rappresenta un vero e proprio cambiamento di rotta rispetto alla situazione previgente, ricomprendendo altresì le spese di viaggio e di soggiorno tra quelle di aggiornamento professionale.
Ricordiamo che fino all'anno di imposta 2016, l'art. 54, comma 5, del TUIR prevedeva una deducibilità forfettaria limitata al 50% delle “spese di partecipazione a convegni, congressi e simili o a corsi di aggiornamento professionale, incluse quelle di viaggio e di soggiorno”. Risulta evidente che la norma, oltre a mostrarsi irrazionale non teneva in debita considerazione il mutato quadro normativo ed in particolare gli obblighi di aggiornamento professionale imposti dai regolamenti deontologici dei vari ordini professionali, anzi proprio nella circolare Agenzia delle Entrate 20 settembre 2012, n.35/E si affermava che tale limite si applicasse anche ai costi sostenuti per il rispetto degli obblighi in materia di formazione continua obbligatoria dei professionisti iscritti ai rispettivi albi. Nello specifico, la ratio della precedente formulazione dell'articolo 54, comma 5, del TUIR, era quella di evitare gli abusi sulla base di una presunzione legale apparentemente assoluta, ossia l'inerenza di una quota delle spese in questione a finalità di carattere extra professionale. Secondo quanto precisato dall'Agenzia delle Entrate con circolare n. 53/E/2008, tale disposizione doveva essere applicata combinando l'abbattimento del 50% con la norma che limita ulteriormente al 75% la deduzione delle spese relative a prestazioni alberghiere e a somministrazione di alimenti e bevande. Ne risultava una norma fortemente penalizzante nei confronti del contribuente e squilibrata a favore dell'amministrazione finanziaria, le spese di vitto o alloggio attinenti alla partecipazione a convegni o a corsi di formazione professionale, risultavano in concreto deducibili nel ridotto limite del 37,5% (cioè il 75% del 50%). La citata circolare Agenzia delle Entrate n. 35/E/2012 aveva inoltre chiarito che il limite di deduzione fosse operante in ogni caso ed a prescindere dalla natura del corso, pertanto senza distinzione tra eventi formativi di carattere facoltativo o obbligatorio. Orbene, è indubitabile il carattere di inerenza delle spese sostenute per la formazione obbligatoria da parte dei professionisti iscritti in albi, obbligati alla formazione professionale e perfino passibili, in caso di violazioni, di sanzioni disciplinari.
Per effetto delle nuove disposizioni sono ora deducibili integralmente le spese di iscrizione a master ed a corsi di formazione poiché la nuova disposizione modifica anche la terminologia, prevedendo espressamente la deducibilità di tali ultime spese (si veda tabella al paragrafo precedente) Il provvedimento prevede inoltre la deducibilità integrale, entro il limite di 5.000 euro annui, delle spese sostenute per i servizi personalizzati di certificazione delle competenze, orientamento, ricerca e sostegno all'autoimprenditorialità, “mirate a sbocchi occupazionali effettivamente esistenti e appropriati in relazione alle condizioni del mercato del lavoro”, erogati dagli organismi accreditati, inoltre sono deducibili gli oneri sostenuti per la garanzia contro il mancato pagamento delle prestazioni di lavoro autonomo fornita da forme assicurative o di solidarietà. In realtà la norma appare una precisazione e non una vera novità in quanto la deducibilità di tali costi, stante il rispetto del principio di inerenza all'attività, non era oggetto di discussione mentre il tempo ci dirà se la deducibilità dei premi versati per la copertura del rischio del mancato pagamento delle prestazioni è una misura idonea a garantire benefici concreti ai lavoratori autonomi anziché rivelarsi un'ulteriore occasione a favore delle compagnie assicurative che potranno acquisire nuovi clienti.
Si sottolineano alcune particolarità di ordine pratico, si pensi in particolare agli studi associati tra professionisti, orbene per questi soggetti, stante il tenore letterale della norma e salvo future interpretazioni ufficiali più favorevoli al contribuente, si ipotizza che il limite di 10.000 euro andrebbe ripartito tra i partecipanti all'associazione. Volendo esemplificare, si pensi ad uno studio associato composto da 5 professionisti partecipanti al 20%, essendo il "limite annuo" di 10.000 euro riferibile allo studio associato, ogni professionista potrà beneficiare di una deduzione non superiore a 2.000 euro, al contrario se tali professionisti avessero svolto l'attività in forma individuale avrebbero goduto del limite pieno. Infine, ricordiamo che per i soggetti in regime contabile di vantaggio c.d. dei “minimi” o “ex minimi” poi sostituito dal nuovo regime “forfetario” la normativa attualmente in vigore e secondo prassi dell'Agenzia delle Entrate, (si veda la circolare 7/E del 28 gennaio 2008, paragrafo 5.1) non trovano applicazione le regole seguite dal TUIR. In sintesi, i soggetti che aderiscono al regime forfetario determinano il reddito imponibile applicando all'ammontare dei ricavi o dei compensi percepiti un coefficiente di redditività diversificato a seconda del codice ATECO che contraddistingue l'attività esercitata. Una volta determinato il reddito imponibile, il contribuente forfetario applica un'unica imposta, nella misura del 15% (5% per i primi cinque anni per le nuove attività o start-up), sostitutiva delle imposte sui redditi, delle addizionali regionali e comunali e dell'IRAP. quindi per tali regimi sostitutivi dell'IRPEF tutte quelle spese strettamente inerenti l'attività, fra cui quelle per la formazione e la partecipazione ai convegni sono deducibili al 100%, lo stesso dicasi per le spese sostenute per viaggi, vitto e soggiorno, se è possibile dimostrare la loro attinenza all'attività lavorativa saranno completamente deducibili, pertanto le nuove norme non apportano alcuna variazione né nuovi vantaggi. I Centri per l'Impiego ed i soggetti accreditati a svolgere funzioni e compiti in materia di politiche attive per il lavoro devono dotarsi in ogni sede aperta al pubblico, di uno sportello dedicato al lavoro autonomo, al fine di raccogliere le domande e le offerte di lavoro autonomo e consentire l'accesso alle relative informazioni a professionisti ed imprese che ne facciano richiesta. dando avvio, nei fatti, a una nuova dimensione del mercato del lavoro.
Ricordiamo che fino all'entrata in vigore del nuovo provvedimento, i servizi di orientamento e accompagnamento al lavoro dei soggetti disoccupati erano da sempre intesi quale peculiarità di chi aveva perso un posto di lavoro dipendente.
La costante ricerca di nuove opportunità professionali, la spinta proveniente dai progressi tecnologici e della comunicazione ormai continua, creano nuove opportunità di lavoro e favoriscono occasioni favorevoli per la realizzazione professionale. La norma ora affida agli operatori pubblici e privati la funzione di assistere anche chi sia già un professionista e desideri migliorare, ampliare o cambiare la propria attività in coerenza con l'evoluzione del mercato, in considerazione delle continue trasformazioni e della costante evoluzione dell'intero sistema produttivo e professionale, oggi legato in modo particolare alle tecnologie. Il successivo art. 11 conferisce delega al Governo per la semplificazione della normativa di salute e sicurezza degli studi professionali, che dovrà avvenire attraverso l'emanazione di uno o più decreti legislativi.
Nello specifico, il Governo dovrà intervenire in materia di prevenzione e protezione al fine di garantire la tutela della salute e della sicurezza delle persone che svolgono attività lavorativa negli studi professionali, determinare misure tecniche ed amministrative di prevenzione compatibili con le caratteristiche gestionali ed organizzative degli studi professionali prevedendo altresì una semplificazione degli adempimenti meramente formali oltre a riformulare e razionalizzare il sistema sanzionatorio, amministrativo e penale, per la violazione delle norme vigenti in materia di salute e sicurezza sul lavoro negli studi professionali.
Ricordiamo che non solo le aziende ma anche gli studi professionali in cui siano presenti dipendenti, devono rispettare la normativa sulla sicurezza ed i relativi adempimenti, in particolare si sottolinea che in base all'articolo 2, comma 1, lett. b), del D. Lgs. n. 81/2008, sono equiparati ai lavoratori coloro che svolgono attività di tirocinio nell'ambito dell'organizzazione di un datore di lavoro pubblico o privato, anche al fine di apprendere un'arte o una professione, pertanto i titolari di studi professionali che nelle loro strutture abbiano anche solo un praticante devono assolvere gli obblighi richiesti dal D. Lgs. n. 81/2008, ossia effettuare la valutazione dei rischi ed elaborare il DVR, nominare il responsabile del servizio di prevenzione e protezione, eleggere il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza, nominare il medico competente nei casi di sorveglianza sanitaria e definire le procedure per la gestione delle emergenze fornendo al contempo adeguata formazione ed informazione.
La delega prevista dalla nuova disposizione prevede quindi per il futuro un processo di semplificazione di tutti i citati adempimenti che, a parere dello scrivente, non potrà prescindere da una valutazione più ampia che passi anche dalla valutazione dei rischi da stress lavoro correlato. L'art. 12 della legge n. 81/2017 rappresenta per il mondo degli autonomi e dei professionisti una nuova sfida. La norma infatti apre al lavoro autonomo e professionale il mondo degli appalti, prevedendo che le amministrazioni pubbliche promuovano, in qualità di stazioni appaltanti, la partecipazione dei lavoratori autonomi agli appalti pubblici, favorendo il loro accesso alle informazioni relative alle gare pubbliche. Lo scopo è garantire maggiori informazioni e ulteriori strumenti ai professionisti per garantire la loro partecipazione agli appalti pubblici e ai bandi per l'assegnazione di incarichi e appalti privati, inoltre per l'assegnazione di incarichi personali di consulenza o ricerca. Allo scopo di supportare l'attività dei citati sportelli e di garantirne l'efficacia, il legislatore, considerando le ataviche difficoltà di molte strutture pubbliche, spesso causate dalla carenza di organici e di competenze adeguatamente qualificate, ha previsto che esse possano operare anche stipulando convenzioni non onerose con gli Ordini, con i Collegi professionali e con le associazioni dei lavoratori autonomi.
In particolare, le pubbliche amministrazioni dovranno promuovere la partecipazione dei lavoratori autonomi a gare e appalti pubblici anche attraverso l'attività informativa resa dai nuovi sportelli dedicati al lavoro aperti presso gli attuali Centri per l'impiego di cui abbiamo trattato in precedenza, a proposito dell'art. 10. Professionisti e lavoratori autonomi dovranno reperire tutte le indicazioni relative alle gare e alle procedure di aggiudicazione delle medesime, supportati dai nuovi sportelli che dovranno guidarli nel complesso mondo delle procedure degli appalti e della burocrazia che spesso li caratterizza. Nello stesso art. 12 viene prevista l'equiparazione dei professionisti alle PMI ai fini dell'accesso ai piani operativi regionali e nazionali a valere sui fondi strutturali europei (POR e PON). La ratio della norma consiste nell'offrire nuove possibilità di aggregazione ai professionisti per concorrere ai bandi nazionali ed esteri. In dettaglio, viene riconosciuta ai professionisti, a prescindere dalla forma giuridica rivestita, la possibilità:
Alle lavoratrici iscritte alla Gestione separata non iscritte ad altre forme di previdenza obbligatoria né titolari di trattamento pensionistico spetta un'indennità di maternità per i due mesi antecedenti la data del parto e per i tre mesi successivi. Detta prestazione è corrisposta anche nei periodi di divieto anticipato all'adibizione al lavoro o di interdizione successiva al parto nonché in caso di adozione e di affidamento preadottivo di un minore. Requisito necessario all'erogazione dell'indennità è che alle lavoratrici risultino attribuite, nei dodici mesi precedenti l'inizio del periodo indennizzabile, almeno tre mensilità di contribuzione. L'importo dell'indennità di maternità è pari all'80% di 1/365 del reddito, derivante da attività di collaborazione coordinata e continuativa o libero professionale, utile ai fini contributivi per ciascuna giornata del periodo indennizzabile. Il Legislatore interviene sulla materia attraverso l'art. 13 della legge n. 81/2017 che modifica l'art. 64, comma 2, del testo unico in materia di tutela e sostegno della maternità di cui al D. Lgs. n. 151/2001 e successive modificazioni. Per effetto di tale modifica il nuovo testo dell'articolo in questione risulta il seguente: “Ai sensi del comma 12 dell'articolo 80 della legge 23 dicembre 2000, n. 388, la tutela della maternità prevista dalla disposizione di cui al comma 16, quarto periodo, dell'articolo 59 della legge 27 dicembre 1997, n. 449, avviene nelle forme e con le modalità previste per il lavoro dipendente a prescindere, per quanto concerne l'indennità di maternità spettante per i due mesi antecedenti la data del parto e per i tre mesi successivi, dalla effettiva astensione dall'attività lavorativa”. In altre parole le nuove disposizioni garantiscono l'erogazione dell'indennità di maternità indipendentemente dall'effettiva astensione lavorativa per la fruizione del periodo di congedo obbligatorio, ossia nel caso in cui, per non perdere l'incarico da parte del cliente, le lavoratrici decidano di continuare a lavorare. Inoltre in questi casi, secondo quanto previsto dal successivo art. 14, le lavoratrici autonome possono anche farsi affiancare o sostituire interamente da altri lavoratori autonomi di fiducia ed in possesso dei necessari requisiti professionali, previo consenso del committente. La gravidanza della lavoratrice autonoma che presta la propria attività in via continuativa non comporta l'estinzione del rapporto che, su richiesta della stessa lavoratrice, resta sospeso senza diritto al corrispettivo, per un periodo non superiore a 150 giorni per anno solare, fatto salvo il venir meno dell'interesse del committente. Oltre a trattare della maternità, la legge n. 81/2017 introduce nuove forme di tutela anche per gli eventi di malattia ed infortunio. Viene, infatti, prevista la sospensione dell'attività senza corrispettivo, per un periodo non superiore a 150 giorni per anno solare, anche per i casi di malattia ed infortunio, salvo il venir meno dell'interesse del committente. L'art. 14 prevede inoltre la sospensione dal versamento dei contributi per l'intero periodo di durata della malattia o dell'infortunio di gravità tale da impedire lo svolgimento dell'attività lavorativa per oltre sessanta giorni. Detta sospensione non può superare un periodo massimo di due anni, decorsi i quali il lavoratore è tenuto a versare i contributi ed i premi maturati durante il periodo di sospensione, con modalità rateali secondo un piano di ammortamento che preveda un numero di rate a cadenza mensile, pari a tre volte i mesi di sospensione. L'art. 15 interviene a modificare l'art. 409 c.p.c. nella parte in cui definisce gli elementi costitutivi del rapporto di collaborazione. Sebbene la norma sia passata un po' in sordina rispetto alle altre disposizioni contenute nella legge n. 81/2017, in realtà essa riveste particolare importanza se si considera l'impatto che potrebbe avere in quelle aziende che utilizzano contratti di collaborazione coordinata e continuativa.
La norma aggiunge al citato art. 409 numero 3) il seguente periodo: “La collaborazione si intende coordinata quando, nel rispetto delle modalità di coordinamento stabilite di comune accordo dalle parti, il collaboratore organizza autonomamente l'attività lavorativa” Siamo pertanto nell'ambito della parasubordinazione e la ratio di tale modifica è rinvenibile nelle intenzioni del legislatore di agevolare l'applicazione delle disposizioni contenute nell'art. 2, comma 1, del D. Lgs. n. 81/2015. Detta norma, giova rammentarlo, prevede l'applicazione di una presunzione di subordinazione in tutti i casi in cui il committente eserciti un potere di organizzazione sull'attività del collaboratore per prestazioni di lavoro esclusivamente personali, continuative e le cui modalità di esecuzione siano organizzate dal committente anche con riferimento ai tempi e al luogo di lavoro.
Tuttavia non ogni forma di potere organizzativo esercitato dal committente determina l'applicazione delle regole del lavoro subordinato, difatti la modifica normativa operata dall'art. 15 in esame, chiarisce che se tale potere viene disciplinato nel contratto di collaborazione stipulato tra le parti, non scatta la presunzione e pertanto non si applica l'equiparazione al lavoro subordinato. In buona sostanza, attraverso il coordinamento il lavoratore autonomo può essere integrato nella struttura del committente ma non può, in alcun modo, soggiacere all'etero-direzione o etero-organizzazione del committente, tuttavia la modifica all'art. 409 c.p.c. permette, mediante una precisa regolamentazione contrattuale che sia concretamente opponibile ad eventuali contestazioni in sede ispettiva e non attraverso frasi di rito o locuzioni generiche e standardizzate, di inserire anche gli orari ed il luogo di prestazione, ferma restando la genuinità del rapporto parasubordinato. In altre parole viene meno il requisito della etero-organizzazione laddove le parti, di comune accordo e nel pieno rispetto dell'autonomia del collaboratore, stabiliscano nel contratto le modalità di coordinamento.
Nulla cambia in merito alle altre regole applicabili ai rapporti di collaborazione, resta pertanto confermata la disciplina generale che comporta la riqualificazione del rapporto in lavoro subordinato in tutti i casi in cui il committente eserciti i poteri tipici del datore di lavoro (potere direttivo, disciplinare e organizzativo). Resta altresì confermata l'esclusione dalla presunzione di subordinazione e dalle conseguenze sanzionatorie ad essa correlate prevista dall'art. 2, comma 2, del D. Lgs, n. 81/2015. L'art. 15 inserisce infine una modifica anche all'art. 634 c.p.c. in merito all'utilizzo di prove scritte a favore del creditore, estendendo ai lavoratori autonomi quanto già previsto per gli imprenditori commerciali che possono utilizzare prove scritte idonee ad ottenere dal giudice una denuncia di ingiunzione ex art. 633 c.p.c.. La novità assume notevole rilevanza nell'ambito delle tutele a garanzia del credito dei lavoratori autonomi ed a tale proposito ricordiamo che il concetto di prova scritta deve essere inteso attribuendo valenza probatoria anche agli scritti provenienti da terzi o dal debitore, seppur non riconosciuti da quest'ultimo, quindi oltre i limiti previsti dall'art. 2702 c.c.. Il capo II della legge n. 81/2017, dall'art. 18 all'art. 23 è dedicato alla disciplina del lavoro agile o c.d. smart working, la cui ratio è quella di"incrementare la competitività e agevolare la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro".
L'aspetto più rilevante del lavoro agile è probabilmente la definizione che ne fornisce l'art. 18, essa segna il passaggio da un aspetto puramente concettuale ad un insieme di principi statuiti. La norma inquadra espressamente lo smart working nell'alveo del lavoro subordinato definendolo “modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato” si tratta pertanto di una modalità e non di una particolare forma di rapporto di lavoro, neppure atipica. Le caratteristiche di questa particolare modalità di lavoro sono le seguenti:
La redazione e sottoscrizione di un accordo individuale in forma scritta rappresentano elementi essenziali di tale modalità di lavoro subordinato, sia a fini probatori che per la regolarità amministrativa del rapporto. Detto accordo può essere stipulato sia nella fase di instaurazione del rapporto di lavoro che nel corso dello stesso, inoltre può essere a termine ovvero a tempo indeterminato e deve prevedere gli aspetti esecutivi, le forme di esercizio del potere direttivo del datore di lavoro e la possibilità di recedere per tornare alla modalità di lavoro “tradizionale”, con un preavviso di 30 giorni (90 nel caso di lavoratori disabili), fatti salvi i casi di mancato preavviso dovuto alla presenza di un giustificato motivo.
Nell'accordo vanno inoltre individuati i tempi di riposo e le misure tecniche di disconnessione dagli strumenti di lavoro. Il lavoratore agile ha diritto alla parità di trattamento con i colleghi “interni” inoltre, ai sensi dell'art. 20 della legge n. 81/2017 egli ha diritto ad un trattamento economico e normativo non inferiore a quello complessivamente applicato, in attuazione dei contratti collettivi di cui all'articolo 51 del D. Lgs. n. 81/2015 (quindi ad ogni livello di contrattazione), nei confronti dei lavoratori che svolgono le medesime mansioni esclusivamente all'interno dell'azienda.
Il secondo comma del medesimo articolo prevede che al lavoratore agile può essere riconosciuto, nell'ambito dell'accordo individuale sottoscritto, il diritto all'apprendimento permanente, in modalità formali, non formali o informali, e alla periodica certificazione delle relative competenze. A tal fine si ricorda che per apprendimento permanente si intende qualsiasi attività di apprendimento intrapresa dalle persone in modo formale, non formale e informale, nelle varie fasi della vita, al fine di migliorare le conoscenze, le capacità e le competenze, in una prospettiva personale, civica, sociale e occupazionale (Legge n. 92/2012, di riforma del mercato del lavoro, art. 4, commi da 51 a 61 e da 64 a 68). Nell'accordo individuale di smart working devono essere altresì previsti i principi che disciplinano il potere di controllo del datore di lavoro, in osservanza a quanto stabilito nell'art. 4 della legge n. 300/1970 e le condotte connesse all'esecuzione della prestazione lavorativa all'esterno che integrano le fattispecie sanzionatorie disciplinari.
Il datore di lavoro è responsabile della sicurezza e del buon funzionamento degli strumenti tecnologici assegnati al lavoratore per lo svolgimento dell'attività lavorativa. Proprio in merito agli adempimenti per la tutela della salute e della sicurezza del lavoratore, il datore di lavoro deve consegnare al lavoratore (e al rappresentante dei lavoratori per la sicurezza) un'informativa scritta nella quale individua i rischi generali e quelli specifici correlati alla particolare modalità di esecuzione della prestazione; secondo la norma, il datore di lavoro deve ottemperare a tale obbligo con cadenza "almeno annuale". Per contro, il lavoratore è obbligato a cooperare all'attuazione delle misure di prevenzione predisposte dal datore di lavoro per l'esecuzione della prestazione all'esterno dei locali aziendali. La norma stabilisce che il lavoratore agile ha diritto alla tutela contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali dipendenti dai rischi connessi alla prestazione lavorativa resta all'esterno dei locali, pertanto egli è assimilato alla generalità dei lavoratori. A questo si aggiunge la tutela contro gli infortuni in itinere, vale a dire quelli occorsi durante il normale percorso di andata e ritorno dal luogo di abitazione a quello prescelto per lo svolgimento della prestazione lavorativa secondo quanto stabilito dal terzo comma dell'art. 2, D.P.R. n. 1124/1965, in ogni caso qualora vi siano esigenze connesse alla prestazione stessa o dettate dalla necessità del lavoratore di conciliare le esigenze di vita con quelle lavorative e risponda a criteri di ragionevolezza.
In merito ai controlli ed al rispetto delle norme a tutela della riservatezza, la nuova disciplina dello smart working segna l'abbandono delle modalità tradizionali di controllo “on site” da parte del datore di lavoro, in favore di un maggior investimento in termini fiduciari che si rende necessario in considerazione della distanza tra datore di lavoro e località di effettuazione della prestazione lavorativa. Il potere di controllo del datore di lavoro, tuttavia, non viene a cessare ma assume profili diversi, orientati verso metodi di interazione e di comunicazione tra lavoratore e struttura aziendale legati agli strumenti tecnologici. Sotto questo profilo, giova ricordare i nuovi commi 2 e 3 dell'art. 4, legge n. 300/1970 che hanno profondamente modificato la disciplina dei controlli a distanza effettuati dal datore di lavoro nei confronti dei lavoratori che utilizzino strumenti aziendali (PC, tablet, smartphone o altri similari) per lo svolgimento dell'attività lavorativa. L'art. 4 della L. 300/1970 è stato modificato prevedendo che “la disposizione di cui al comma 1 non si applica agli strumenti utilizzati dal lavoratore per rendere la prestazione lavorativa e agli strumenti di registrazione degli accessi e delle presenze”. Tale nuova formulazione, introdotta dal D. Lgs. n. 151/2015, elimina il divieto generale di controllo a distanza dell' attività lavorativa attraverso gli strumenti di lavoro, naturalmente a condizione che i lavoratori siano informati sulle modalità di uso degli strumenti e di effettuazione dei controlli, nel rispetto del Codice della privacy. Il novellato terzo comma dell'art. 4, dispone infatti che “le informazioni raccolte ai sensi dei commi 1 e 2 sono utilizzabili a tutti i fini connessi al rapporto di lavoro a condizione che sia data al lavoratore adeguata informazione delle modalità d'uso degli strumenti e di effettuazione dei controlli e nel rispetto di quanto disposto dal D. Lgs. 30.06.2003, n. 196”.
In buona sostanza, l'azienda che consegna al lavoratore un dispositivo per lo svolgimento delle proprie mansioni, dopo aver correttamente informato il medesimo, non deve ricorrere ad accordi sindacali e/o richiedere preventive autorizzazioni per effettuare i controlli a distanza. Sull'argomento tuttavia il Garante della Privacy con la Newsletter n. 474 del 17 febbraio 2017 ha precisato che il datore di lavoro non può accedere in maniera indiscriminata alla posta elettronica o ai dati personali contenuti nei dispositivi in dotazione al personale, poiché tale comportamento è ritenuto illecito. La società potrà tuttavia conservarli per tutelare i propri diritti in sede giudiziaria.
Per espressa previsione dell'art. 18, comma 4, della legge n. 81/2017, gli incentivi di carattere sia fiscale che contributivo eventualmente riconosciuti in relazione agli incrementi di produttività ed efficienza del lavoro subordinato sono applicabili anche quando l'attività lavorativa sia prestata in modalità di lavoro agile. In proposito risulta singolare come il lavoro agile fosse già citato tra le modalità che legittimavano l'applicazione della detassazione sui premi di produttività ex legge n. 208/2015, ed espressamente richiamato tra i criteri di misurazione indicati nell'art. 2 della circolare interministeriale Lavoro e Finanze del 25 marzo 2016, quindi ancor prima di una legge che ne statuisse la disciplina. Le norme sul lavoro agile si applicano anche, laddove compatibili, nei rapporti alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche come definite dall'art. 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165.
Da ultimo, per esplicita previsione dell'art. 23, comma 1, legge n. 81/2017, l'accordo per lo svolgimento dell'attività in modalità di lavoro agile nonché le successive modificazioni, rientrano nel campo delle comunicazioni di cui all'art. 9-bis del decreto legge 1 ottobre 1996, n. 510 e successive modificazioni. Conclusioni
Ad un primo impatto, la portata delle nuove disposizioni appare notevole.
L'intervento del legislatore, sebbene abbia trascurato alcuni aspetti importanti (in primis la tanto attesa regolamentazione dell'equo compenso quale giusto riconoscimento ai liberi professionisti), si pone in un'ottica diversa da quanto fino ad oggi eravamo abituati a considerare. Il pacchetto di misure infatti muove dall'esigenza di fornire tutele a tutti quei rapporti che in precedenza non ne avevano. Se da un lato non ci si può esimere dal considerare criticabile la generalizzazione del provvedimento al lavoro autonomo con l'esclusione dei commercianti e dei piccoli imprenditori dalla portata delle nuove disposizioni, dall'altro dobbiamo auspicare che sia solo un punto di partenza, in attesa di verificare come opereranno le deleghe al Governo contenute in vari articoli, monitorando nel frattempo la concreta efficacia di molte disposizioni che, sebbene teoricamente apprezzabili, potrebbero avere scarsi effetti pratici (ad esempio quelle previste in materia di centri per l'impiego e di appalti). Positivo appare il tentativo di delineare il lavoro agile, fornendone una connotazione precisa che però non deve ingannare il lettore, essendo solo un punto di partenza, in attesa che prenda forma la disciplina di alcuni importanti aspetti, tra cui quelli legati alla sicurezza sul lavoro e del controllo dei lavoratori. |