Le nuove norme procedurali nelle ipotesi di dimissioni e risoluzione consensuale

Marco Sartori
15 Ottobre 2015

Il Decreto Legislativo 14 settembre 2015 n. 151 interviene in maniera incisiva, tra l'altro, sulla disciplina dei requisiti procedurali che devono essere osservati in caso di dimissioni volontarie e di risoluzione consensuale del rapporto di lavoro. La nuova norma è l'ultimo tassello di un lungo percorso del Legislatore che, allo scopo di introdurre meccanismi di contrasto al fenomeno delle cd. dimissioni in bianco, aveva già elaborato in passato strumenti protettivi diretti a salvaguardare l'effettiva genuinità della manifestazione di volontà del lavoratore di interrompere il rapporto di lavoro.
Introduzione

Il Decreto Legislativo 14 settembre 2015 n. 151 – recante Disposizioni di razionalizzazione e semplificazione delle procedure e degli adempimenti a carico di cittadini e imprese e altre disposizioni in materia di rapporto di lavoro e pari opportunità, pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 23 settembre 2015 – interviene in maniera incisiva, tra l'altro, sulla disciplina dei requisiti procedurali che devono essere osservati in caso di dimissioni volontarie e di risoluzione consensuale del rapporto di lavoro.

Il Decreto n. 151/2015 attua i principi fissati nella Legge Delega del 10 dicembre 2014 n. 183, la quale aveva previsto, nell'ambito delle materie delegate all'Esecutivo, il compito di istituire modalità semplificate per garantire la data certa, nonché l'autenticità della manifestazione di volontà della lavoratrice o del lavoratore in relazione alle dimissioni o alla risoluzione consensuale del rapporto di lavoro, anche tenuto conto della necessità di assicurare la certezza della cessazione del rapporto nel caso di comportamento concludente in tal senso della lavoratrice o del lavoratore (art. 1, comma 6, lett. g).

La nuova norma è l'ultimo tassello di un lungo percorso del Legislatore che, allo scopo di introdurre meccanismi di contrasto al fenomeno delle cd. dimissioni in bianco, aveva già elaborato in passato strumenti protettivi diretti a salvaguardare l'effettiva genuinità della manifestazione di volontà del lavoratore di interrompere il rapporto di lavoro.

Le previgenti disposizioni: la normativa relativa ai lavoratori neo-genitori

L'analisi non può non partire dall'art. 55, comma 4, del D.Lgs. 26 marzo 2001, n. 151 (recante, come noto, il Testo Unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità).

La norma (il cui attuale testo è frutto di una riformulazione intervenuta ad opera della L. 28 giugno 2012 n. 92, cd. Riforma Fornero) prevede un procedimento amministrativo di convalida che, nelle specifiche situazioni qui di seguito elencate, costituisce passaggio obbligato ai fini della produzione dell'effetto estintivo del rapporto di lavoro:

  • risoluzione consensuale del rapporto o richiesta di dimissioni presentate dalla lavoratrice durante il periodo di gravidanza,
  • risoluzione consensuale del rapporto o richiesta di dimissioni presentate dalla lavoratrice o dal lavoratore durante i primi tre anni di vita del bambino o nei primi tre anni di accoglienza del minore adottato o in affidamento, o, in caso di adozione internazionale, nei primi tre anni decorrenti dalle relative comunicazioni previste dalla legge (proposta di incontro con il minore adottando ovvero comunicazione dell'invito a recarsi all'estero per ricevere la proposta di abbinamento).

Le modifiche legislative intervenute successivamente al 2001 hanno introdotto nel tempo nuove e diverse procedure per la convalida delle dimissioni (o della risoluzione consensuale), che si sono aggiunte alla menzionata procedura di convalida nelle situazioni previste dal T.U. sulla maternità.

La disciplina “mediante moduli” introdotta nel 2007 (ed abrogata nel 2008)

La L. 17 ottobre 2007, n. 188 aveva subordinato la validità della lettera di dimissioni, della lavoratrice o del lavoratore, all'utilizzo di apposti moduli predisposti e resi disponibili in sedi amministrative (quali la direzione provinciale del lavoro) specificamente individuate a livello legislativo.

La norma – che riguardava non solo le ipotesi di dimissioni delle lavoratrici e dei lavoratori subordinati, ma anche le ipotesi di recesso dai contratti di collaborazione coordinata e continuativa (anche a progetto), dai contratti di collaborazione di natura occasionale, dai contratti di associazione in partecipazione, nonché dai contratti di lavoro instaurati dalle cooperative con i propri soci – è stata successivamente abrogata dal D.L. 25 giugno 2008 n. 112, conv. nella L. 6 agosto 2008, n. 133.

Procedura di convalida delle dimissioni e della risoluzione consensuale introdotta nel 2012 dalla Riforma Fornero

Con l'art. 4, commi 17 e ss, della L. n. 92/2012, il Legislatore - oltre a riformulare, come già accennato, il testo dell'art. 55, comma 4, D.Lgs. n. 151/2001, nel testo oggi vigente, confermandone la perdurante applicabilità, alle ipotesi di dimissioni e risoluzione consensuale di lavoratrici e lavoratori neo-genitori - ha introdotto un'articolata procedura di convalida delle dimissioni o della risoluzione consensuale, di lavoratrici e lavoratori, nel cui ambito l'effetto estintivo del rapporto può alternativamente dipendere da un comportamento attivo del lavoratore oppure, in via omissiva, in caso di mancato riscontro del lavoratore ad apposito invito del datore di lavoro a procedere alla formalizzazione dell'atto risolutorio nei tempi e nelle forme previsti dalla legge.

In tale contesto, l'iter di formalizzazione dell'atto di dimissioni o di risoluzione consensuale (al cui perfezionamento è collegato l'effettivo estintivo del rapporto di lavoro) può compiersi attraverso le seguenti opzioni operative alternative:

a) convalida dell'atto, ad opera della lavoratrice o del lavoratore, effettuata presso la Direzione territoriale del lavoro o il Centro per l'impiego territorialmente competenti, ovvero presso le sedi individuate dai contratti collettivi nazionali stipulati dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative a livello nazionale; oppure,

b) sottoscrizione, da parte della lavoratrice o del lavoratore, di apposita dichiarazione in calce alla ricevuta di trasmissione della comunicazione di cessazione del rapporto di lavoro; oppure,

c) mancata adesione della lavoratrice o del lavoratore, entro sette giorni dalla relativa ricezione, ad apposito invito del datore di lavoro (i) a presentarsi presso le sedi di cui al precedente punto a) oppure (ii) ad apporre la sottoscrizione sulla ricevuta di cui al precedente punto b). La comunicazione contenente l'invito, alla quale deve essere allegata copia della ricevuta di trasmissione di cui al precedente punto b), si considera validamente effettuata quando è recapitata al domicilio della lavoratrice o del lavoratore indicato nel contratto di lavoro o ad altro domicilio formalmente comunicato dalla lavoratrice o dal lavoratore al datore di lavoro, ovvero è consegnata alla lavoratrice o al lavoratore che ne sottoscrive copia per ricevuta.

Nell'intervallo temporale dei sette giorni previsto al precedente punto c), la lavoratrice o il lavoratore hanno facoltà di revocare le dimissioni o la risoluzione consensuale.

In senso critico, merita osservare che la facoltà di revoca delle dimissioni o della risoluzione consensuale in tale limitato arco temporale, che invero costituisce il cuore della tutela del lavoratore (posto che tramite la revoca il lavoratore ha a sua disposizione uno spazio di “ripensamento” rispetto ad un atto risolutorio eventualmente coartato o non voluto), non è stata contemplata dal legislatore quale elemento da obbligatoriamente inserire nell'invito di cui al precedente punto c), con la conseguenza che il lavoratore, pur destinatario di un invito munito di tutte le numerose informazioni contemplate dal legislatore, potrebbe non essere a conoscenza della favorevole opzione a sua disposizione (quella della vanificazione dell'atto risolutorio attraverso la sua revoca) nei setti giorni di tempo attribuitigli dal legislatore.

Le conseguenze che l'art. 4, comma 22, L. n. 92/2012 collega al mancato rispetto delle predette norme procedurali sono tranchant, posto che, per espressa previsione normativa, in mancanza della convalida (punto a), ovvero della sottoscrizione della ricevuta (punto b), ovvero di mancato invio da parte del datore di lavoro, entro il termine di trenta giorni dalla data delle dimissioni o della risoluzione consensuale, dell'invito di cui alla precedente punto c), le dimissioni si considerano definitivamente prive di effetto, con conseguente ripristino tout court del rapporto di lavoro.

Il campo di applicazione di tale normativa, originariamente riferito alle sole ipotesi di rapporto di lavoro subordinato, è stato successivamente esteso alle ipotesi di recesso di lavoratrici e lavoratori impegnati con contratti di collaborazione coordinata e continuativa, anche a progetto, nonché nell'ambito di contratti di associazione in partecipazione (art. 4, comma 23-bis, L. n. 92/2012, aggiunto dall'art. 7, comma 5, lett. d), n. 1, D.L. 28 giugno 2013, n. 76, conv. L. 9 agosto 2013, n. 99).

Problematiche applicative della procedura di convalida introdotta dalla Riforma Fornero

La concreta applicazione della procedura ex art. 4, commi 17 e ss., L. n. 92/2012 ha determinato diverse problematiche di ordine pratico.

Una prima questione è stata rilevata nella Circolare del Ministero del Lavoro del 18 luglio 2012, n. 18 nella quale l'autorità amministrativa ha provato a sciogliere il problema circa la necessità (o meno) di seguire l'iter procedurale contemplato dalla Riforma Fornero nelle ipotesi in cui l'evento di cessazione del rapporto di lavoro (tramite dimissioni o risoluzione consensuale) fosse parte di un più ampio accordo sottoscritto in sede protetta.

Rispondendo al quesito, il Ministero ha ritenuto che la procedura possa essere evitata - nell'ambito di conciliazioni formalizzate in sede protetta - limitatamente alle ipotesi di cessazione del rapporto di lavoro intervenute all'esito di una “riduzione del personale”. Più nel dettaglio, la Circolare ha affermato che «la convalida non è richiesta in tutte le ipotesi in cui la cessazione del rapporto di lavoro rientri nell'ambito di procedure di riduzione del personale svolte in una sede qualificata istituzionale o sindacale (ad es. ex artt. 410, 411 e 420 c.p.c.), ciò in quanto tali sedi offrono le stesse garanzie di verifica della genuinità del consenso del lavoratore cui è preordinata la novella normativa».

Alla stregua dell'interpretazione ministeriale, dunque, sembrava ancora confermata la necessità della procedura ex art. 4, commi 17 e ss, L. n. 92/2012, pena la mancanza dell'effetto estintivo del rapporto di lavoro, in tutte le ipotesi di risoluzione consensuale o dimissioni intervenute al di fuori delle ipotesi di “riduzione del personale”, anche se formalizzate in sede protetta. Peraltro, le stesse ipotesi di “riduzione del personale” non apparivano facilmente identificabili, potendosi includere nelle medesime tanto i casi di licenziamento individuale plurimo per giustificato motivo oggettivo quanto quelli di licenziamento collettivo.

A tale problema ha voluto dare una risposta pratica la contrattazione collettiva, la quale, nell'ambito della facoltà espressamente concessale dall'art. 4, comma 17, L. n. 92/2012, ha inteso individuare, con specifici accordi conclusi a livello interconfederale, apposite sedi per addivenire ad una regolare convalida delle dimissioni o della risoluzione consensuale. Sul punto, può essere menzionato l'Accordo Interconfederale Confindustria del 3 agosto 2012, il quale - dopo avere delineato nelle proprie premesse il quadro normativo sopra illustrato, con specifico riferimento alla delega, dal legislatore alle parti sociali, di individuare sedi idonee al perfezionamento della procedura di convalida - ha previsto che «in attuazione dell'art. 4, comma 17, della legge 28 giugno 2012, n. 92, la convalida delle dimissioni e delle risoluzioni consensuali può essere validamente effettuata in sede sindacale, ai sensi delle disposizioni del codice di procedura civile».

Nel citato Accordo Interconfederale il perimetro di riferimento individuato dalle associazioni sindacali pare, dunque, ampliarsi anche al di là delle più ristrette ipotesi di “riduzione del personale” individuate a livello ministeriale.

Un secondo problema è sorto nei casi, frequentissimi nella pratica, nei quali il datore di lavoro ed il lavoratore concludano una risoluzione consensuale “ora per allora”, collocando la data di cessazione del rapporto anche a distanza di mesi rispetto alla data di effettiva stipulazione dell'accordo. In tali casi, si è posta la questione del congruente raccordo della procedura di cui all'art. 4, commi 17 e ss., L. n. 92/2012, da un lato, con i diversi obblighi, in capo al datore di lavoro, di tempestiva comunicazione all'autorità amministrativa circa la data di cessazione del rapporto di lavoro, dall'altro lato.

Il Ministero del Lavoro è così nuovamente tornato ad occuparsi della materia con Lettera Circolare del 12 ottobre 2012, rimarcano la possibilità per i datori di lavoro di effettuare la comunicazione amministrativa relativa alla cessazione del rapporto di lavoro anche molto tempo prima rispetto alla decorrenza giuridica della risoluzione del rapporto, «in funzione della corretta operatività della procedura di convalida che prevede, tra l'altro, la possibilità di ribadire la volontà di risolvere il rapporto tramite una dichiarazione da apporre sulla ricevuta di comunicazione». In questo contesto, il Ministero del lavoro ha precisato che l'obbligo di comunicare agli enti competenti la data di cessazione del rapporto di lavoro sorge «con il momento a partire dal quale il lavoratore (nel caso di dimissioni) o le parti (nel caso di risoluzione consensuale) intendono far decorrere giuridicamente la stessa risoluzione».

I ravvicinati interventi ministeriali – come abbiamo visto, non sempre forieri di interpretazioni risolutrici – sono la prova tangibile di una normativa, quella della procedura di convalida delle dimissioni e della risoluzione consensuale introdotta dalla Riforma Fornero, difficilmente malleabile alle innumerevoli sfaccettature dei casi concreti di riferimento.

Le nuove disposizioni in materia di dimissioni e risoluzione consensuale

La nuova disposizione contenuta nell'art. 26, D.Lgs. n. 151/2015 (rubricato «Dimissioni volontarie e risoluzione consensuale»), si muove sostanzialmente lungo tre linee di intervento.

Il primo intervento prevede l'abrogazione delle norme procedurali relative alla convalida delle dimissioni e della risoluzione consensuale delle lavoratrici e dei lavoratori di cui al menzionato art. 4, commi da 17 a 23-bis, contenuti nella L. n. 92/2012.

L'effetto dell'abrogazione è fissato al sessantesimo giorno successivo alla data di entrata in vigore di apposito decreto ministeriale regolatore della nuova normativa, i cui contenuti vengono esaminati infra.

Quanto al secondo intervento, sulla scia di quanto già operato dai precedenti Legislatori, la norma conferma la procedura vigente di convalida delle dimissioni e della risoluzione consensuale da parte dei lavoratori neo-genitori, i quali, come risulta dal chiaro dato letterale previsto nell'incipit dell'art. 26, sono espressamente esclusi dal nuovo impianto normativo (il primo comma dell'art. 26, nell'introdurre la nuova disciplina, espressamente ne delimita il perimetro «al di fuori delle ipotesi di cui all'art. 55, comma 4, del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151 e successive modificazioni»).

Il terzo intervento – ed è in questo punto il cuore della riforma – introduce un nuova procedura per le dimissioni e la risoluzione consensuale, che sostanzialmente si articola sui seguenti capisaldi:

a) le dimissioni e la risoluzione consensuale del rapporto di lavoro dovranno esclusivamente effettuarsi, a pena di inefficacia delle medesime, tramite modalità telematiche, nell'ambito di appositi moduli che saranno resi disponibili dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali attraverso il sito www.lavoro.gov.it e trasmessi al datore di lavoro e alla Direzione territoriale del lavoro competente. La trasmissione di tali moduli potrà avvenire anche tramite patronati, organizzazioni sindacali ed enti bilaterali, nonché attraverso le commissioni di certificazione;

b) entro sette giorni dalla data di trasmissione del modulo di cui alla precedente lettera a), il lavoratore ha la facoltà di revocare le dimissioni e la risoluzione consensuale con le medesime modalità di cui al punto precedente;

c) il D.Lgs. n. 151/2015 affida ad un apposito decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, da emanare entro 90 giorni dalla data di entrata in vigore del medesimo D.Lgs. n. 151/2015 (24 settembre 2015), la concreta e specifica individuazione delle “modalità telematiche” richiamate alle precedenti lettere a) e b), con particolare riferimento ai dati di identificazione del rapporto di lavoro da cui si intende recedere o che si intende risolvere, ai dati di identificazione del datore di lavoro e del lavoratore, alle modalità di trasmissione, nonché agli standard tecnici atti a definire la data certa di trasmissione;

d) sul piano sanzionatorio, il datore di lavoro che alteri i moduli di cui alla lettera a) è punito con la sanzione amministrativa da Euro 5.000 ad Euro 30.000 (salvo che il fatto costituisca reato). L'accertamento e l'irrogazione della sanzione amministrativa sono affidati alla competenza delle Direzioni territoriali del Lavoro.

Restano escluse dal campo di applicazione delle predette disposizioni le ipotesi relative (i) ai rapporti di lavoro domestico e (ii) alle dimissioni o alla risoluzione consensuale intervenute nelle sedi protette di cui all'art. 2113, quarto comma, cod. civ. (Direzione Territoriale del Lavoro, sede sindacale, sede giudiziaria, collegio di conciliazione e arbitrato) oppure avanti alle commissioni di certificazione di cui all'articolo 76 del D.lgs. n. 276/2003.

L'entrata in vigore delle nuove disposizioni è fissata al sessantesimo giorno dalla data di entrata in vigore del decreto ministeriale di cui al suddetto punto c), il quale, come sopra ricordato, dovrà essere emanato entro 90 giorni dal 24 settembre 2015, data di entrata in vigore del D.Lgs. n. 151/2015.

In conclusione

Il nuovo impianto previsto dall'art. 26, D. Lgs. n. 151/2015 è stato introdotto con lo scopo di semplificare, rispetto ad oggi, le modalità procedurali per la valida presentazione delle dimissioni e della risoluzione consensuale, il cui attuale quadro normativo di riferimento (contenuto nell'art. 4, commi da 17 a 23-bis, della L. n. 92/2012) si è talora rivelato, nella pratica, di ostica applicazione per la parte datoriale del rapporto di lavoro, che viene costretta ad evadere una complessa procedura amministrativa non potendo, per di più, contare sulla collaborazione del lavoratore dimissionario, con ciò esponendosi ad un intervallo temporale di incertezza circa l'effettiva produzione dell'effetto estintivo del rapporto di lavoro.

Merita considerare attentamente che l'iter introdotto nel 2012 dalla Riforma Fornero, espressamente abrogato dall'art. 26, D.Lgs. n. 151/2015, dovrà essere osservato sino all'entrata in vigore delle nuove norme, vale a dire, al più tardi, per i prossimi 5 mesi. In tale intervallo temporale, dunque, è necessario che le imprese continuino ad applicare diligentemente la previgente disciplina, perché le vecchie norme sono ancora pienamente applicabili.

Allo stesso modo, occorrerà con diligenza monitorare l'emanazione del decreto ministeriale delegato dall'art. 26, D.Lgs. n. 151/2015 recante le modalità operative della nuova procedura telematica, posto che dall'entrata in vigore di quest'ultimo decorreranno i 60 giorni al cui spirare entrerà (finalmente) in vigore il nuovo regime di conferma delle dimissioni e della risoluzione consensuale per via telematica.

Tuttavia, non lascia ben presagire la – più che pessimistica – impressione rilasciata “a caldo” dalla Fondazione Studi dei Consulenti del Lavoro, la quale, nel pronosticare il persistere di difficoltà operative anche nell'applicazione del nuovo art. 26, addirittura imputa alla novella la colpa di un ritorno al passato, affermando nella Circolare n. 19/2015 (con lo sguardo rivolto alla procedura introdotta dalla Riforma Fornero del 2012, ormai in via di abrogazione) che «già all'epoca la regolamentazione – burocratica e perversa – era apparsa assolutamente spropositata rispetto all'effettiva diffusione del fenomeno, notoriamente di nicchia. Ora, il legislatore – convinto che il fenomeno delle dimissioni sia diffusissimo – lo complica ulteriormente, aggravando tutti gli atti di dimissioni genuini che sono la realtà esistente nelle aziende italiane».

Vengono a contrapporsi, dunque, due posizioni di segno diametralmente contrario in ordine alla stessa fattispecie sulla quale la nuova norma è chiamata a dispiegare i propri effetti. Da un lato quella del Legislatore, il quale, nella Legge Delega che poi ha dato alla luce l'art. 26, ne ha testualmente riferito il proprio obiettivo alla precipua «necessità di assicurare la certezza della cessazione del rapporto», evocando quindi l'effettiva esistenza, nella pratica, di scenari concreti caratterizzati dall'incertezza.

Dall'altro lato, con valutazione di segno contrario, si erge l'opposta opinione dei Consulenti del Lavoro (i veri e propri “operatori” della norma, posto che sono loro, ogni giorno, a cimentarsi con i problemi pratici degli adempimenti amministrativi connessi alla cessazione del rapporto di lavoro), ad avviso dei quali il fenomeno delle dimissioni in bianco si verifica in casi “notoriamente di nicchia”, nel cui ambito, dunque, l'intervento normativo non solo risulterebbe ostico, ma addirittura privo di effettiva utilità nella stragrande maggioranza delle cessazioni.

Probabilmente la verità sta nel mezzo, nel senso che il fenomeno delle dimissioni in bianco (indipendentemente dalle sue dimensioni) deve essere sicuramente contrastato, ma forse si poteva risolvere il problema, sic et simpliciter, utilizzando il meccanismo della formalizzazione in sede protetta ex art. 2113, ultimo comma, cod. civ. come regola generale e non, come è stato fatto, come mera ipotesi residuale che “esonera” dalla compilazione del modulo telematico. Del resto, è lo stesso legislatore dell'art. 26 che, al comma 7, implicitamente ammette come la nuova procedura telematica sia equipollente – quanto alle relative garanzie – alla sottoscrizione in sede protetta.

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