Cass.civ., sez. lavoro, 3 dicembre 2014, n. 25610, sent.
Ridimensionato il personale di due punti vendita, con la ‘cancellazione' della sartoria. Consequenziale la collocazione in mobilità della lavoratrice inquadrata come sarta, che, poi, rifiuta anche l'opportunità di trasferirsi in un altro ‘punto vendita' e deve dire addio al posto di lavoro. Crisi anche per l'abbigliamento high quality. Difficile sostenere i costi di negozi reali, molto più semplice sfruttare il web e le opportunità offerte dalle vendite on line.
Consequenziale la scelta dell'azienda di ridimensionare due punti vendita, provvedendo alla ‘soppressione' delle funzioni di ‘back office, sartoria e cassa', e a rimetterci sono, ovviamente, i dipendenti, lasciati a casa.
Nonostante le obiezioni di una lavoratrice in particolare – utilizzata come sarta –, però, la condotta adottata dall'azienda è considerata pienamente legittima, soprattutto alla luce dell'accordo raggiunto con i sindacati. E, va aggiunto, anche tenendo presente il rifiuto netto opposto dalla donna all'ipotesi di essere ricollocata in un altro punto vendita (Cassazione, sentenza n. 25610, sez. Lavoro, depositata il 3 dicembre).
Taglio al personale. Nessun equivoco possibile sulla strada intrapresa dall'azienda: chiarissima la lettera recapitata alla lavoratrice, in cui si annuncia il suo «licenziamento» per «riduzione di personale».
Facile immaginare la reazione della donna, che contesta il provvedimento, scegliendo di rivolgersi prima al Giudice del lavoro del Tribunale e poi ai giudici della Corte d'appello: gli esiti, però, sono negativi. Per i giudici di merito, difatti, «il licenziamento era avvenuto nel rispetto della procedura di legge ed in base ai criteri di scelta pattuiti in sede collettiva».
A casa. Ultima tappa della battaglia giudiziaria, ovviamente, è quella che si svolge in Corte di Cassazione, dove, necessariamente, viene riportato l'iter seguito dall'azienda. E il quadro, in sintesi, è chiaro: prima l'apertura della «procedura per riduzione di personale» – con tanto di lettera alle organizzazioni sindacali –, relativamente «ad otto lavoratori da porre in mobilità ed operanti nelle due unità produttive» di una importante città italiana per «la soppressione, nei due punti vendita, delle funzioni di ‘back office, sartoria e cassa'»; poi l'«accordo sindacale» con il «ricollocamento di tre dipendenti» e la «messa in mobilità» degli altri cinque dipendenti, «esclusivamente in base a ragioni tecniche, produttive ed organizzative connesse alla soppressione delle funzioni»; infine, la comunicazione, da parte dell'azienda, dell'«elenco dei lavoratori collocati in mobilità, con i relativi dati richiesti dalla legge e con l'enunciazione dei criteri di scelta derivati dall'accordo sindacale, facendo riferimento ad entrambi gli addetti alla sartoria nei due distinti punti vendita».
In sostanza, azienda e sindacati hanno concordato sul «criterio di scelta per collocare i lavoratori in mobilità», ossia «le esigenze tecniche, organizzative e produttive, in via esclusiva».
Dalla vicenda emerge che la lavoratrice, schierata contro l'azienda, ha «sempre svolto mansioni di sarta», e quindi appare logica e lineare la scelta adottata dalla società, proprio tenendo presenti le «ragioni che hanno spinto ad aprire la procedura di mobilità, e cioè la chiusura presso il punto vendita delle funzioni di ‘back office, sartoria e cassa'». Di conseguenza, la lavoratrice è stata «legittimamente licenziata, essendo addetta all'espletamento delle mansioni di sarta, posto pacificamente soppresso».
A completare il quadro, sfavorevole per la lavoratrice, poi, anche il rifiuto da lei opposto alla proposta di «ricollocazione in altri punti vendita della società» in due diverse importanti città d'Italia.