Cass.civ., sez. VI, 14 novembre 2014, n. 24363
L'evoluzione della giurisprudenza di legittimità, derivante da una lettura della legge nazionale orientata nel senso voluto dalla direttiva CE n. 987/1980, impone di evitare inutili formalismi, quale sarebbe quello di pretendere che il lavoratore si sobbarchi oneri e spese per vedere soddisfatto ciò che costituisce un suo diritto o per dimostrare lo stato d'insolvenza del datore di lavoro ovvero l'apertura del fallimento, di cui è già presente in atti la prova. Lo ha stabilito la sezione Lavoro della Corte di Cassazione nell'ordinanza n. 24363, depositata il 14 novembre 2014.
Il caso. Con sentenza d'appello, l'Inps veniva condannata al pagamento, in favore del lavoratore, del trattamento di fine rapporto maturato e non erogato dalla società datrice di lavoro insolvente.
Per la cassazione di tale decisione propone ricorso l'Inps, denunciando violazione e falsa applicazione dell'art. 2, dal comma 1 al comma 7, della l. n. 297/1982 e lamentando che la Corte d'appello avrebbe erroneamente ritenuto che il lavoratore aveva fornito la prova dello stato di insolvenza del datore di lavoro.
Insolvenza già accertata dal curatore. Il Collegio interviene a favore del lavoratore sostenendo che è vero che, ai fini del pagamento del t.f.r. da parte del fondo garanzia, la giurisprudenza esige, quanto meno, che il lavoratore abbia esperito infruttuosamente una procedura di esecuzione, tuttavia, nel caso in esame, l'insolvenza della società è già stata accertata dal curatore fallimentare e pertanto, solo ragioni di carattere formale potrebbero indurre a pretendere che il lavoratore si sobbarchi oneri e spese per vedere soddisfatto ciò che costituisce un suo diritto.
Interpretazione ai sensi della regolamentazione comunitaria. Infatti, la lettura della legge nazionale orientata nel senso voluto dalla direttiva CE n. 987/1980 impone che, ai fini della tutela prevista dall'art. 2 l. n. 297/1982, il lavoratore possa ottenere la liquidazione del t.f.r. da parte dell'Inps alle condizioni previste dall' art 2, comma 5, l. n. 297/1982. È quindi sufficiente che egli abbia esperito infruttuosamente una procedura di esecuzione, a meno che la necessità di esperire l'esecuzione forzata debba essere considerata del tutto superflua, in quanto la prova della mancanza o della insufficienza delle garanzie patrimoniali del debitore sia già stata acquisita.
Ne consegue, osserva il Collegio, che la Corte territoriale ha correttamente concluso nel senso che, se la previsione dell'esperimento dell'esecuzione forzata deve essere considerata quale espressione dell'ordinaria diligenza che il creditore deve adottare per la realizzazione del proprio diritto, finalizzata a dimostrare la mancanza o l'insufficienza delle garanzie patrimoniali del debitore, il relativo obbligo viene meno quando l'esecuzione forzata non sia necessaria a dimostrare la mancanza o l'insufficienza delle garanzie patrimoniali del debitore, essendo già stata fornita la relativa prova, come nel caso di specie. La Cassazione ha, pertanto, rigettato il ricorso.