Cass.civ., sez. lavoro, 11 novembre 2014, n. 23984, sent.
L'esenzione dal pagamento del contributo di mobilità prevista dall'art. 3, comma 3, della l. n. 223 del 1991, si applica nella sola ipotesi in cui il licenziamento collettivo sia disposto dagli organi di una procedura concorsuale. E' stato così deciso dalla Corte di Cassazione nella sentenza n. 23984, depositata l'11 novembre 2014.
Il caso. La Corte d'appello, riformando parzialmente la sentenza del Tribunale, riduceva l'importo dovuto all'INPS di una società. La Corte riteneva che questa dovesse essere esonerata dal pagamento del contributo per la mobilità ai sensi dell'art. 3 l. n. 223/1991, dal momento che non aveva potuto continuare l'attività produttiva a causa del sequestro dello stabilimento disposto dall'autorità giudiziaria nel corso di un procedimento per inquinamento ambientale, a cui era seguito il licenziamento di tutti i dipendenti. Essendo ricorsa un'ipotesi di assoluto fermo produttivo, la situazione involgeva la totalità dei dipendenti, senza che potessero trovare applicazione gli artt. 4 (procedura per la dichiarazione di mobilità) e 24 (norme in materia di riduzione del personale) della l. n. 223/1991. Non potevano nemmeno ritenersi esigibili le procedure concorsuali.
L'esonero era previsto per le sole procedure concorsuali? L'INPS ricorreva allora per cassazione, lamentando la violazione e falsa applicazione della predetta legge. L'istituto sosteneva che l'esenzione dal pagamento del contributo di mobilità, ex art. 3 l. n. 223/1991, era previsto solo per le procedure concorsuali.
Diritto all'esenzione solo quando… La Cassazione nel decidere la questione in esame, ricorda che, ai sensi della l. n. 223/1991, «la fattispecie che determina il diritto all'esenzione si verifica quando, per la constatata impossibilità di continuazione dell'attività o di salvaguardia dei livelli occupazionali, gli organi di una procedura concorsuale dispongono la collocazione del personale eccedente».
Come affermato, poi, dalle Sezioni Unite, la norma di cui all'art. 3 della sopra citata legge (intervento straordinario di integrazione salariale e procedure concorsuali) «attribuisce agli organi della procedura concorsuale un eccezionale potere di gestione dell'impresa, ovvero il potere di valutare in prospettiva la possibilità di continuare (anche tramite la cessione dell'azienda) l'attività imprenditoriale e, in caso negativo, di decidere di collocare in mobilità il personale dipendente» (Cass., S. U., n. 3597/2003). Nella seconda ipotesi, si ha l'esonero di pagare il relativo contributo. Tale previsione trova la ratio nella tutela degli interessi socialmente rilevanti quali sono quelli della generalità dei creditori a non vedere un ulteriore incremento del passivo e le eventuali ripercussioni che essa produce sulla finanza pubblica trovano una garanzia nel controllo giudiziale preventivo cui la legge assoggetta le scelte adottate nell'ambito delle procedure concorsuali.
L'esonero non vale, quindi, a prescindere da una procedura concorsuale. In sostanza, la soluzione adottata dalla Corte di merito, in base alla quale la previsione trova applicazione in tutte le ipotesi nelle quali vi sia un'impossibilità totale di continuazione dell'attività che non lasci margini di decisione all'imprenditore, a prescindere da una procedura concorsuale, è errata.
In conclusione, la Cassazione stabilisce che nel caso in esame debba essere applicato il principio in base al quale: «l'esenzione dal pagamento del contributo di mobilità prevista dall'art. 3, comma 3 della l. n. 225 del 1991 si applica nella sola ipotesi in cui il licenziamento collettivo sia disposto dagli organi di una procedura concorsuale».
Sulla base di tali argomenti, la Suprema Corte accoglie il ricorso e cassa con rinvio la sentenza impugnata.