Trasferimento: presupposti e limiti della legittimità e del relativo sindacato giurisdizionale
25 Marzo 2016
Massima
Data l'insindacabilità dell'opportunità del trasferimento, salvo che risulti diversamente disposto dalla contrattazione collettiva, il datore di lavoro, in applicazione dei principi generali di correttezza e buona fede, qualora possa far fronte a dette ragioni avvalendosi di differenti soluzioni organizzative, per lui paritarie, è tenuto a preferire quella meno gravosa per il dipendente, soprattutto nel caso in cui questi deduca e dimostri la sussistenza di serie ragioni familiari ostative al trasferimento. Ne consegue che l'accertamento del giudice non può essere limitato alla situazione esistente nella sede di provenienza, ma deve estendersi anche alla sede di destinazione del lavoratore, gravando sul datore di lavoro l'onere di provare la sussistenza di dette ragioni. Il caso
La sentenza è stata pronunciata all'esito di una lunga vicenda giudiziaria, nell'ambito della quale un lavoratore, a seguito dell'accertamento di un'illecita interposizione di manodopera e della sua reintegrazione presso la società datrice di lavoro, era stato trasferito presso una filiale distante circa 600 km dalla propria sede lavorativa ed ivi invitato a riprendere servizio.
Ritenendo il trasferimento affetto da illegittimità, il dipendente ometteva di prendere servizio presso la filiale alla data stabilita e veniva conseguentemente licenziato per assenza ingiustificata.
A seguito del ricorso del lavoratore, il Giudice di prime cure riteneva legittimi sia il trasferimento che, per l'effetto, il successivo licenziamento.
La statuizione veniva confermata dalla Corte d'Appello di Napoli.
Contro la sentenza d'Appello veniva proposto ricorso per Cassazione da parte del lavoratore.
L'azienda resisteva con controricorso. Le questioni
Le questioni in esame sono le seguenti:
a) quali sono i presupposti ed i limiti di legittimità del trasferimento?
b) quali sono i limiti del sindacato giurisdizionale? Le soluzioni giuridiche
Appare innanzitutto consolidato in giurisprudenza il principio, affermato anche dalla sentenza in esame, secondo cui il controllo giurisdizionale delle comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive che legittimano il trasferimento del lavoratore subordinato deve essere diretto ad accertare che vi sia corrispondenza tra il provvedimento adottato dal datore di lavoro e le finalità tipiche dell'impresa.
Ma, trovando un preciso limite nel principio di libertà dell'iniziativa economica privata, garantita dall' art. 41 Cost. , esso non può essere dilatato fino a comprendere il merito della scelta operata dall'imprenditore; scelta, inoltre, che non deve presentare necessariamente i caratteri dell'inevitabilità, essendo sufficiente che il trasferimento concreti una delle possibili scelte, tutte ragionevoli, che il datore di lavoro può adottare sul piano tecnico, organizzativo e produttivo.
Tale orientamento giurisprudenziale si era affermato sin da Cass. 14 giugno 1985, n. 3580, e ha trovato continuità, prima delle pronunce riportate nella sentenza in esame ( Cass. 2 gennaio 2001 n. 27 ; Cass. 2 agosto 2002 n. 11624 ; Cass. 29 luglio 2003 n. 11660 ; Cass. 18 aprile 2005 n. 7930 ; Cass. 28 aprile 2009 n. 9921 ; Cass. 2 marzo 201 1 n. 5099 ), anche in Cass. 11 agosto 1992 n. 9487 e in Cass. 18 novembre 1998 n. 11634 .
Di talché, sono innanzitutto richieste, quali presupposti di legittimità del trasferimento del lavoratore subordinato, delle comprovate ragioni di carattere tecnico, organizzativo e produttivo.
Com'è noto, peraltro, quest'ultime possono essere indicate anche solo in sintesi nell'atto che ha disposto il trasferimento e integrate successivamente dopo la richiesta da parte del prestatore di lavoro ( Cass. 18 marzo 2015 n. 5434 ).
In caso di contestazione, così come nella vicenda in esame, incombe sul datore di lavoro l'onere probatorio di dimostrare la sussistenza delle ragioni che hanno cagionato il trasferimento ( Cass. 13 aprile 2015 n. 7402 ).
Come già evidenziato, il controllo giurisdizionale delle comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive che legittimano il trasferimento del lavoratore subordinato deve essere diretto ad accertare che vi sia corrispondenza tra il provvedimento adottato dal datore di lavoro e le finalità tipiche dell'impresa, non può essere dilatato fino a comprendere il merito della scelta operata dall'imprenditore; quest'ultima, inoltre, non deve presentare necessariamente i caratteri dell'inevitabilità, essendo sufficiente che il trasferimento concreti una delle possibili scelte, tutte ragionevoli, che il datore di lavoro può adottare sul piano tecnico, organizzativo e produttivo.
Conseguentemente il provvedimento di trasferimento deve concretare quantomeno una delle opzioni “ragionevoli” e non è necessario che si appalesi come l'unico provvedimento suscettibile di essere attuato per fronteggiare le predette ragioni ( Cass. 2 marzo 2011 n. 5099 ).
La questione si complica laddove si deve pensare a dare applicazione concreta ai principi dianzi riportati, soprattutto nell'alveo del comportamento secondo correttezza e buona fede che le parti devono tenere nell'esercizio del contratto.
Tant'è vero che la giurisprudenza ha cercato di perimetrare il potere datoriale affermando, innanzitutto, che il datore di lavoro, qualora possa far fronte alle ragioni tecniche, organizzative e produttive avvalendosi di differenti soluzioni organizzative, per lui paritarie, è tenuto a preferire quella meno gravosa per il dipendente, soprattutto nel caso in cui questi deduca e dimostri la sussistenza di serie ragioni familiari ostative al trasferimento ( Cass. 28 luglio 2003 n. 11597 ).
Per cui il licenziamento intimato a seguito del rifiuto opposto dal dipendente al trasferimento di sede lavorativa, motivato per assistere il genitore invalido, è illegittimo, dovendosi assicurare la piena tutela della continuità delle relazioni costitutive della personalità di soggetti deboli, quali i portatori di handicap gravi, nonché la coerenza nella salvaguardia della posizione del lavoratore in considerazione della sua concreta situazione familiare, sicché la mancata ottemperanza alla disposta mobilità è giustificata, quale attuazione di un'eccezione d'inadempimento, dovendosi escludere che i provvedimenti aziendali siano assistiti da una presunzione di legittimità fino a contrario accertamento in giudizio ( Cass. 3 novembre 2015 n. 22421 ).
Ed inoltre l'accertamento della corrispondenza tra il provvedimento adottato dal datore di lavoro e le finalità tipiche dell'impresa non può essere limitato alla situazione esistente nella sede di provenienza, ma deve estendersi anche alla sede di destinazione del lavoratore ( Cass. 17 maggio 2010 n. 11984 , Cass. 11 novembre 1998 n. 11400 ).
Al punto che le tutele previste per il lavoratore trasferito rilevano anche quando lo spostamento avvenga in un ambito geografico ristretto (ad esempio nello stesso territorio comunale) da una unità produttiva ad un'altra in quanto la finalità principale della norma di cui all' art. 2103 c . c. è quella di tutelare la dignità del lavoratore e di proteggere l'insieme di relazioni interpersonali che lo legano ad un determinato complesso produttivo ( Cass. 30 settembre 2014 n. 20600 ). Osservazioni
La pronuncia in esame si pone in continuità con l'orientamento giurisprudenziale prevalente in tema di trasferimento del lavoratore subordinato ai sensi dell' art. 2103 c.c. , offrendo al contempo degli spunti di novità e di riflessione.
Infatti, se da un lato viene ribadita l'ormai nota insindacabilità della scelta imprenditoriale, “protetta” dalla copertura costituzionale, quando la stessa sia suffragata dalle comprovate ragioni di carattere tecnico organizzativo e produttivo e sia effettuata nel rispetto del limite della ragionevolezza e dei principi di correttezza e buona fede nell'esecuzione del contratto, dall'altro, ancora una volta, non viene delimitato in maniera sufficientemente coerente lo “spatium delibandi” dell'autorità giudiziaria.
Sotto un primo profilo, il sindacato giurisdizionale può riguardare il concetto di ragionevolezza del provvedimento di trasferimento.
Infatti, come già illustrato, la giurisprudenza non richiede che il provvedimento datoriale sia caratterizzato dalla necessarietà, bensì che si appalesi una delle possibili scelte “ragionevoli”.
Orbene, la traduzione di questo parametro in termini oggettivi, presupposto di un'(illusoria) uniformità di giudizio, appare quanto mai opinabile: infatti la ragionevolezza sarà interpretata dal datore di lavoro sulla scorta del proprio concetto di politica economica; al contrario l'operazione ermeneutica dello stesso principio effettuata dal lavoratore avrà un'impostazione diametralmente opposta, avulsa da logiche imprenditoriali.
Appare così evidente che il concetto di ragionevolezza ben difficilmente potrà trovare coerente applicazione, non essendo possibile oggettivizzarlo nella dialettica di interessi fra datore di lavoro e dipendente.
Un secondo aspetto che potrebbe interessare (ed estendere) il sindacato giurisdizionale attiene al concetto di paritarietà – per l'imprenditore – delle differenti soluzioni organizzative, in presenza del quale quest'ultimo sarebbe tenuto a preferire la soluzione meno gravosa per il dipendente.
Ciò premesso, sorge spontaneamente il quesito di chi sia deputato a stabilire, in caso di contestazione, se diverse opzioni possano essere considerate paritarie.
La risposta è ovvia: l'autorità giudiziaria.
Ciò che non è ovvio, né è dato sapere, tuttavia, sono i criteri che dovranno governarne il giudizio.
L'unico spunto in tal senso, offerto dalla sentenza in commento, riguarda la particolare attenzione prestata dalla giurisprudenza nei confronti del lavoratore che deduca e dimostri la sussistenza di serie ragioni familiari ostative al trasferimento.
Ma a questo punto il Giudice, se così fosse, sarebbe chiamato a sindacare il provvedimento datoriale sotto più profili:
Un ulteriore profilo d'interesse per il sindacato giurisdizionale riguarda infine la distinzione tra la sede a quo e quella ad quem.
Infatti la statuizione in commento, recependo un consolidato orientamento della giurisprudenza di merito, afferma che l'accertamento della corrispondenza tra il provvedimento adottato dal datore di lavoro e le finalità tipiche dell'impresa non può essere limitato alla situazione esistente nella sede di provenienza, ma deve estendersi anche alla sede di destinazione del lavoratore.
In altre parole il sindacato giurisdizionale in ordine alla sussistenza dei presupposti del provvedimento di trasferimento non deve esaurirsi una volta che siano state accertate le ragioni tecniche organizzative e produttive nella sede di “origine” o “partenza”, ma deve proseguire nell'accertamento delle stesse anche con riguardo all'unità locale prescelta dall'imprenditore quale destinazione finale del trasferimento.
Con l'ovvia conseguenza che, qualora il sindacato giurisdizionale venga limitato ad una sola delle sedi (a quo piuttosto che ad quem), la relativa pronuncia potrebbe essere soggetta a censure in sede di gravame.
In conclusione, la sentenza ha ritenuto che appaiono costitutive della fattispecie di trasferimento (legittimo) la verifica della corrispondenza tra il provvedimento datoriale e le finalità tipiche dell'impresa anche nel luogo di destinazione.
Omette però di chiarire se tale requisito debba sussistere tout-court ovvero acquisisca rilevanza nel momento in cui vi siano più paritarie scelte organizzative. |