È insubordinazione la lesione dell’autorevolezza della dirigenza

La Redazione
16 Maggio 2016

La Cassazione, con sentenza n. 9635/2016, chiarisce che la nozione di insubordinazione non si può limitare al rifiuto di adempiere alle disposizioni impartite dai superiori, ma si estende a qualsiasi altro comportamento atto a pregiudicarne l'esecuzione nel quadro dell'organizzazione aziendale.

Cass. sez. lav. 11 maggio 2016, n. 9635

Licenziato il dipendente che rivolgeva espressioni ingiuriose ad un suo superiore gerarchico e, indirettamente, a tutta la dirigenza.

Non essendosi, però, tradotto in un rifiuto ad adempiere, la Corte territoriale giudicava tale comportamento come una semplice abitudine lessicale priva di intenti realmente offensivi o aggressivi e, pertanto, non integrante gli estremi della giusta causa di recesso nella fattispecie dell'insubordinazione.

La Cassazione, al contrario, chiarisce che la nozione di insubordinazione non si può limitare al rifiuto di adempiere alle disposizioni impartite dai superiori, ma si estende a qualsiasi altro comportamento atto a pregiudicarne l'esecuzione nel quadro dell'organizzazione aziendale.

La critica rivolta ai superiori, con modalità esorbitanti dall'obbligo di correttezza formale dei toni e dei contenuti, oltre a contravvenire alle esigenze di tutela della persona umana di cui all'art. 2 Cost., può essere di per sé suscettibile di arrecare pregiudizio all'organizzazione aziendale, dal momento che l'efficienza di quest'ultima riposa in ultima analisi sull'autorevolezza di cui godono i suoi dirigenti e quadri intermedi e tale autorevolezza non può non risentire un pregiudizio allorché il lavoratore, con toni ingiuriosi, attribuisca loro qualità manifestamente disonorevoli.

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