L'autonomia lavorativa non fa il dirigente
04 Giugno 2014
In tema di contratto di lavoro collettivo nazionale, si distinguono, in base alle funzioni svolte, due categorie di prestatori di lavoro: il dirigente e l'impiegato. Il primo ricopre un ruolo caratterizzato da un elevato grado di professionalità, autonomia e potere decisionale; il secondo invece è privo di potere decisionale ed è sottoposto alla direzione del dirigente stesso. In taluni casi all'impiegato possono essere attribuite mansioni e funzioni direttive. Tuttavia, se questi non partecipa alla attività di promozione, coordinamento e gestione degli obiettivi imprenditoriali, esso non può essere qualificato come dirigente e non può quindi pretendere la remunerazione economica spettante ai dirigenti. Lo afferma la Corte di Cassazione nella sentenza n. 12356, depositata il 3 giugno 2014.
Il caso
La Corte d'appello di Messina ha rigettato la domanda proposta dall'impiegato di prima categoria nei confronti della società per cui lavorava, volta ad ottenere la qualifica di dirigente e la condanna del datore al pagamento delle differenze retributive a partire dal gennaio 1976. La Corte ha così confermato la decisione di primo grado, non riconoscendo funzioni dirigenziali in capo al ricorrente, il quale, benché godesse di piena ed ampia autonomia, era sottoposto a direttive di altri dirigenti. Inoltre, lo stesso ha denunciato l'errore del giudice di merito in riferimento alla valutazione della prova testimoniale, da cui era emerso che il lavoratore non era sottoposto gerarchicamente ad altro dirigente, avendo svolto funzioni dirigenziali in coordinazione con altri manager.
Caratteristiche del lavoro dirigenziale
La Suprema Corte ha rigettato il ricorso ritenendolo infondato. La discrezionalità e l'autonomia, con cui operava il lavoratore, non sono state valutate sufficienti a qualificare lo stesso come dirigente, poiché le funzioni svolte comunque non erano tali da incidere sull'attività di promozione, coordinamento e gestione degli obiettivi di impresa. In riferimento all'erronea valutazione delle risultanze processuali la Cassazione ha ribadito che il giudice di legittimità non è chiamato a riesaminare il merito della causa, bensì ad occuparsi del controllo, formale e logico, della valutazione fatta dal giudice di merito. Il ricorso per Cassazione difatti non introduce un terzo giudizio di merito atto a far valere l'ingiustizia della sentenza impugnata, concretizzandosi invece come rimedio a cognizione determinata dai vizi denunciati. |