Lavoro a termine nel settore nautico, successione di contratti e frode alla legge

Luigi Di Paola
20 Febbraio 2015

In tema di contratto a termine, la presenza di una normativa - quale quella sul lavoro nautico - astrattamente idonea a prevenire abusi non esclude che, in concreto, ricorra un esercizio della facoltà di assumere a tempo determinato tale da integrare frode alla legge sanzionabile ex art. 1344 c.c., ipotesi che per sua natura non può che essere esaminata caso per caso, con apprezzamento - riservato al giudice di merito - del numero dei contratti di lavoro a tempo determinato, dell'arco temporale complessivo in cui si sono succeduti e di ogni altra circostanza fattuale emersa in atti
Massima

In tema di contratto a termine, la presenza di una normativa - quale quella sul lavoro nautico - astrattamente idonea a prevenire abusi non esclude che, in concreto, ricorra un esercizio della facoltà di assumere a tempo determinato tale da integrare frode alla legge sanzionabile ex art. 1344 c.c., ipotesi che per sua natura non può che essere esaminata caso per caso, con apprezzamento - riservato al giudice di merito - del numero dei contratti di lavoro a tempo determinato, dell'arco temporale complessivo in cui si sono succeduti e di ogni altra circostanza fattuale emersa in atti.

Il caso

Alcuni lavoratori marittimi, arruolati con successivi contratti per uno o più viaggi e per un massimo di 78 giorni, chiedevano dichiararsi, nei confronti della società datrice di lavoro, la nullità dei predetti contratti (con conseguente accertamento della sussistenza di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato) per violazione della normativa del codice della navigazione e di quella di diritto comune nonché per abuso nella reiterazione di successivi contratti a tempo determinato. In primo grado venivano accolte le domande con sentenza poi integralmente riformata in appello. Proposto ricorso per cassazione da parte dei lavoratori, la Corte di Giustizia dell'Unione Europea (da ora CGUE), investita dalla S.C. del rinvio pregiudiziale di alcune questioni, statuiva, tra l'altro, che la clausola 5 dell'accordo quadro sul lavoro a tempo determinato (volta a prevenire l'abuso da successione) deve essere interpretata nel senso che essa non osta, in linea di principio, a una normativa nazionale - quale quella italiana in tema di lavoro nautico - che prevede la trasformazione di contratti di lavoro a tempo determinato in rapporto di lavoro a tempo indeterminato unicamente nel caso in cui il lavoratore interessato sia stato occupato ininterrottamente in forza di contratti del genere dallo stesso datore di lavoro per una durata superiore a un anno, tenendo presente che il rapporto di lavoro va considerato ininterrotto quando i contratti a tempo determinato sono separati da un intervallo inferiore o pari a 60 giorni; spetta tuttavia al giudice del rinvio verificare che i presupposti per l'applicazione nonché l'effettiva attuazione di detta normativa costituiscano una misura adeguata per prevenire e punire l'uso abusivo di una successione di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato.

In motivazione «Osserva in proposito questa Corte che l'art. 326, ult. co., c. nav., nel prevedere che la prestazione del servizio è considerata ininterrotta quando fra la cessazione di un contratto e la stipulazione del contratto successivo intercorre un periodo non superiore ai sessanta giorni, costituisce - in via generale e astratta - una misura adeguata e idonea a prevenire abusi nel susseguirsi di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato, giacché la necessità di un intervallo di tempo superiore ai sessanta giorni fra un'assunzione a termine e quella successiva è tale, in linea di massima, da ostacolare una preordinata volontà di aggirare quanto previsto dalla citata fonte comunitaria: infatti, interruzioni superiori ai 60 giorni, non consentendo al datore di lavoro una valida programmazione dell'attività, disincentivano la frantumazione d'un unico reale rapporto di lavoro a tempo indeterminato in plurimi apparenti rapporti a termine. (…) il disposto dell'art. 326 ult. co. c. nav. (…) di per sé non implica anche una statuizione reciproca che, al contrario, ammetta sempre e comunque, a prescindere da eventuali intenti fraudolenti, la legittimità della successione di contratti a termine purché separati da intervalli superiori ai sessanta giorni.».

La questione

La questione in esame è la seguente: premesso che il rapporto a termine nel lavoro nautico è disciplinato dal codice della navigazione, con effetto di specialità rispetto alla normativa generale di cui al d.lgs. n. 368 del 2001, e che la direttiva comunitaria 1999/70/CE del 28 giugno 1999, che ha dato attuazione all'accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul contratto a tempo determinato, è applicabile anche al lavoro nautico, è possibile parlare, in concreto, di abuso, o di frode alla legge, in presenza di successione di contratti - con interruzione superiore a 60 giorni - considerata legittima dall'art. 326 del codice in questione e ritenuta, dalla CGUE, in via di principio conforme al menzionato accordo quadro?

Le soluzioni giuridiche

Per come affermato, con riguardo alla vicenda, dalla CGUE, la normativa italiana sul lavoro nautico a termine “«è tale da contenere nel contempo una misura di legge vigente equivalente alla misura preventiva contro il ricorso abusivo a una successione di contratti di lavoro a tempo determinato, enunciata nella clausola 5, punto 1, lettera b), dell'accordo quadro, relativa alla durata massima totale di siffatti contratti, nonché una misura che punisce effettivamente un ricorso abusivo di tal genere (…). Questa conclusione non sembra che possa essere rimessa in discussione dal criterio ricavabile da detta disciplina, secondo il quale sono considerati “ininterrotti” e, conseguentemente, “successivi”, solo i contratti di lavoro a tempo determinato separati da un intervallo inferiore o pari a 60 giorni. Infatti, un siffatto intervallo può essere considerato, in generale, sufficiente per interrompere qualsiasi rapporto di lavoro esistente e, di conseguenza, far sì che qualsiasi contratto eventuale sottoscritto posteriormente non sia considerato come successivo al precedente, e ciò tanto più quando, come nelle controversie oggetto dei procedimenti principali, la durata dei contratti di lavoro a tempo determinato non può superare i 78 giorni. Sembra infatti difficile per un datore di lavoro, che abbia esigenze permanenti e durature, aggirare la tutela concessa dall'accordo quadro contro gli abusi facendo decorrere, alla fine di ciascun contratto di lavoro a tempo determinato, un termine di circa due mesi (…)».

In buona sostanza, la disciplina italiana sul lavoro a termine nel settore marittimo contiene una norma equivalente ad una misura prevista dalla direttiva a garanzia della prevenzione dall'abuso; una tale conclusione non è, peraltro, ancora sufficiente a chiudere il cerchio, giacché occorre ulteriormente verificare se ricorra, in concreto, un abuso da successione ai sensi della direttiva (per come affermato dalla CGUE) oppure un'ipotesi di frode alla legge (per come ritenuto dalla S.C.).

Osservazioni

La S.C., ancorando il proprio giudizio - in termini di adeguatezza astratta della normativa italiana a prevenire l'abuso - a quello della CGUE, demanda, esattamente, al giudice del rinvio il compito di stabilire, in concreto, se tale abuso, nel caso di specie, sussista.

Il sindacato in questione si traduce, però, nell'ottica seguita nella sentenza in commento, nella verifica della sussistenza, o meno, di un'ipotesi di frode alla legge.

Il che induce qualche legittima riflessione, poiché l'ipotesi di abuso da successione di contratti a termine non sembra coincidere con quella di frode alla legge, sia sul versante dell'oggetto dell'accertamento, sia su quello degli effetti.

Nella prima ipotesi, infatti, il sindacato ruota attorno alla mera violazione, ad opera della legge nazionale, della direttiva (notoriamente non di immediata applicazione con riguardo al profilo qui considerato, giacché sprovvista di contenuto dettagliato ed incondizionato), con conseguente rimessione della legge ritenuta lesiva dinanzi al giudice delle leggi per lo scrutinio di costituzionalità alla stregua dell'art. 117 Cost.

Nella seconda, la violazione attiene allo schema negoziale seguito, ritenuto in contrasto con la legge nazionale e sorretto dall'intento fraudolento, con esito sanzionatorio immediato che si risolve nella conversione del rapporto a termine in uno a tempo indeterminato.

Del resto, trattandosi di due ambiti diversi, la allegazione di una fattispecie non può valere per l'altra, onde il lavoratore che deduca, a supporto della propria pretesa, la violazione della direttiva per abuso da successione, non fa automaticamente scattare – pena il vizio di ultrapetizione (assente comunque nel caso, poiché, per come si evince dalla sentenza in commento, i lavoratori avevano dedotto l'intento fraudolento del datore, onde la domanda ex art. 1344 c.c. poteva ritenersi pur implicitamente formulata) – la cognizione del giudice in ordine alla questione del raggiro della legge per il conseguimento di un risultato vietato. La allegazione in questione vale, peraltro, quale mero invito rivolto al giudicante a sollevare la questione di costituzionalità.

Né sembra, peraltro, potersi ritenere che il dedotto abuso da successione ai sensi della direttiva possa automaticamente evocare la controversa figura dell'abuso del diritto, insuscettibile, d'altra parte, di far corpo con l'istituto della frode alla legge.

Il problema più spinoso, in ogni caso, è quello concernente l'identificazione dei parametri da utilizzare per l'accertamento dell'eventuale frode.

Nel caso specifico la S.C., nel fornire le coordinate di indagine al giudice del rinvio, ha fatto riferimento al numero dei contratti a tempo determinato, all'arco complessivo in cui essi si sono succeduti e ad ogni altra circostanza fattuale emersa in atti.

Sicché, in buona sostanza, è l'elemento quantitativo che dovrebbe, in qualche modo, rilevare, anche quale dato presuntivo della ricorrenza dell'intento fraudolento – necessario, stando all'opinione maggioritaria - del datore.

Ma, se così è, della vicenda naturalistica potranno immaginarsi apprezzamenti diversi, inevitabilmente legati alla personale sensibilità di ciascun giudicante; sicché, ad esempio, la conclusione di trenta contratti in successione - ovviamente nel rispetto dell'intervallo di legge - in un periodo di tre anni potrà apparire, ad alcuni, in linea con il sistema, mentre ad altri no.

In buona sostanza, in una materia così delicata, ove è in discussione il posto di lavoro, la delineazione di un meccanismo idoneo a favorire una maggior certezza sarebbe certamente auspicabile, potendosi riscontrare, a vantaggio del lavoratore, l'unanimità di vedute in quei soli casi eclatanti di reiterazione sistematica durata nell'arco, ad esempio, di dieci anni o più.

Senza contare che l'istituto della frode alla legge, nel caso, sarebbe tutto da ridefinire alla stregua del diritto “speciale” del lavoro; ed infatti, una volta identificato il risultato vietato nell'abuso da reiterazione, occorrerebbe spiegare perché un'operazione - i.e.: conclusione nel tempo di vari contratti a termine con un intervallo temporale consistente - comunque contemplata ed autorizzata in maniera diretta dalla stessa legge possa dar luogo ad un illecito. Occorrerebbe inoltre ammettere senza riserve che l'intento fraudolento debba esser riferibile al solo datore, non essendo certamente rinvenibile nella persona del lavoratore.

Certo è che l'utilizzo di una tale “valvola” normativa appare comunque oggi obbligato, in presenza di una disciplina nazionale spesso incapace di fissare, in modo chiaro, dei paletti alla reiterazione continua, per un tempo eccessivo, di contratti a termine.

Basti pensare allo scenario prefigurabile qualora si acceda alla tesi che l'attuale contratto acausale - formalmente di durata massima triennale – possa, nella sostanza, perpetuarsi all'infinito, alla condizione che il lavoratore, ad ogni nuova assunzione, veda assegnarsi mansioni non equivalenti (beneficiando sì di una progressione di carriera, ma pur sempre a termine).

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