Legittimità e limiti della critica al datore di lavoro

La Redazione
17 Febbraio 2017

La Cassazione, con sentenza n. 996/2017, esamina i limiti del legittimo esercizio del potere di critica al datore di lavoro: fino a che punto può spingersi il lavoratore, senza ledere i doveri fondamentali di diligenza e fedeltà?

La Cassazione, con sentenza n. 996/2017, esamina i limiti del legittimo esercizio del potere di critica al datore di lavoro: fino a che punto può spingersi il lavoratore, senza ledere i doveri fondamentali di diligenza e fedeltà?

Una famosa azienda alimentare licenziava una sua dipendente per aver tenuto un comportamento diffamatorio, consistente nella sottoscrizione di un esposto indirizzato alla Procura della Repubblica territorialmente competente ed al Ministero del Lavoro, ove criticava duramente la società per il massiccio ricorso ad ammortizzatori sociali, nonostante la continua crescita economica. Dichiarato illegittimo il licenziamento sia in primo che secondo grado, ricorreva l'azienda per la cassazione della sentenza.

Il ricorrente censura l'improprio esercizio del diritto di critica della dipendente: le frasi riportate esulavano dalla libertà garantita dall'art. 21 Cost. e contrastavano con i doveri fondamentali di diligenza e fedeltà del lavoratore. Inoltre, trattandosi di affermazioni poi rivelatesi infondate, tale condotta si era tradotta in un danno all'immagine della società, ledendo in modo irrimediabile il vincolo fiduciario sotteso al rapporto di lavoro.

La Suprema Corte ricorda che l'obbligo di fedeltà, la cui violazione può portare al licenziamento per giusta causa del lavoratore, consiste nell'obbligo di tenere un leale comportamento nei confronti del datore i lavoro e va collegato con le regole di correttezza e buona fede.
D'altro canto, continua la Cassazione, il diritto di cronaca deve rispettare i principi della continenza sostanziale (i fatti riportati devono essere veri) e della continenza formale (l'esposizione dei fatti non deve contenere termini volgari o aggressivi), ma viene “attenuato dalla necessità di esprimere le proprie opinioni e la propria personale interpretazione dei fatti, anche con espressioni astrattamente offensive e soggettivamente sgradite alla persona cui sono riferite”.

Nello caso di specie, i fatti segnalati dalla lavoratrice alle autorità erano simili a quelli già divulgati dalla stampa, che si era interessata al caso dell'abuso degli ammortizzatori sociali per le aziende “sane”. Poiché “il profilo contenutistico del diritto di critica esercitato, si palesava coerente con i canoni sostanziali entro i quali tale diritto andava esplicato”, la Corte di Cassazione rigetta il ricorso.

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