L’assenza di illiceità del fatto contestato e sanzione applicabile

Daniela Bracci
23 Novembre 2016

L'assenza di illiceità di un fatto materiale pur sussistente deve essere ricondotta all'ipotesi dell'insussistenza del fatto contestato per la quale l'art. 18, co. 4, L. n. 300/1970 prevede la reintegrazione nel posto di lavoro, mentre la minore o maggiore gravità o lievità del fatto contestato e ritenuto sussistente, implicando un giudizio di proporzionalità, non consente l'applicazione della tutela reintegratoria, ma esclusivamente quella indennitaria di cui al successivo comma quinto della norma citata.
Massime

L'assenza di illiceità di un fatto materiale pur sussistente deve essere ricondotta all'ipotesi dell'insussistenza del fatto contestato per la quale l'art. 18, co. 4, L. n. 300/1970 prevede la reintegrazione nel posto di lavoro, mentre la minore o maggiore gravità o lievità del fatto contestato e ritenuto sussistente, implicando un giudizio di proporzionalità, non consente l'applicazione della tutela reintegratoria, ma esclusivamente quella indennitaria di cui al successivo comma quinto della norma citata.

In materia di licenziamenti individuali il termine di decadenza per l'impugnazione del licenziamento di cui all'art. 6, co. 1, della L. 15 luglio 1966, n. 604, può essere interrotto con atto scritto, oltre che del lavoratore, anche di un'organizzazione sindacale, senza che sia necessario il conferimento di una procura ex ante o la ratifica successiva da parte del lavoratore, dovendosi ritenere il sindacato idoneo a valutare gli interessi del lavoratore.

Il caso

Un lavoratore viene licenziato per giusta causa consistente nel persistente rifiuto di valutare proposte formulate dalla società al fine di ridiscutere il superminimo individuale a lui attribuito a seguito della cessazione dell'incarico di formatore.

A seguito dell'impugnazione del licenziamento, il Tribunale ha reintegrato il lavoratore ritenendo l'illegittimità del licenziamento sotto il profilo dell'insussistenza della giusta causa allegata dalla società datrice di lavoro. Sul punto la Corte di appello ha confermato la sentenza.

Entrambi i giudici di merito hanno ritenuto valido atto di impugnazione del licenziamento, ai fini dell'impedimento della decadenza, una lettera redatta da una organizzazione sindacale.

Le questioni

La sentenza in commento affronta due questioni in materia di licenziamento.

La prima, in ordine di trattazione, è quella dell'idoneità a costituire valido atto impeditivo della decadenza di cui all'art. 6 della L. n. 604/1966 di una impugnazione redatta dall'organizzazione sindacale.

La seconda è relativa alla tipologia di sanzione da applicarsi nell'ipotesi in cui il giudice accerti la sussistenza del fatto contestato dal datore al lavoratore che ha costituito giusta causa di licenziamento, ma ritenga il fatto stesso privo di disvalore giuridico difettando l'illiceità della condotta.

Le soluzioni giuridiche

In ordine alla validità dell'impugnazione del sindacato, la Suprema Corte ha confermato precedenti orientamenti secondo cui in materia di licenziamenti individuali, il termine di decadenza per l'impugnazione del licenziamento di cui all'art. 6, co 1, L. 15 luglio 1966, n. 604, può essere interrotto con atto scritto, oltre che del lavoratore, anche di un'organizzazione sindacale, senza che sia necessario il conferimento di una procura “ex ante” - o la ratifica successiva - da parte del lavoratore, dovendosi ritenere il sindacato idoneo a valutare gli interessi del lavoratore (Cass. sez. lav., 27 novembre 2013, n. 26514). Pertanto, l'impugnazione del licenziamento da parte dell'organizzazione sindacale viene equiparata all'impugnazione effettuata dallo stesso lavoratore licenziato, senza la necessità di predisporre procure o provvedere a ratifiche, sul presupposto che il sindacato, in qualità di soggetto istituzionalmente preposto alla cura degli interessi dei lavoratori, agisca in nome e per conto di questi.

Circa la sanzione da applicare in ipotesi di fatto contestato sussistente nella sua verificazione materiale, ma del tutto privo del carattere dell'illiceità la Suprema Corte, confermando un precedente orientamento, ha affermato che l'insussistenza del fatto contestato, di cui all'art. 18 St. Lav., come modificato dall'art. 1, co. 42, L. n. 92/2012, comprende l'ipotesi del fatto materialmente sussistente ma privo del carattere di illiceità; sicché in tale ipotesi si applica la tutela reintegratoria, senza che rilevi la diversa questione della proporzionalità tra sanzione espulsiva e fatto di modesta illiceità (Cass. sez. lav., 13 ottobre 2015, n. 20540).

Osservazioni

L'inclusione del fatto sussistente ma privo del carattere dell'illiceità nell'ipotesi di cui al co. 4 dell'art. 18 L. n. 300 del 1970 per cui è prevista la reintegrazione del lavoratore e non già nell'ipotesi di assenza di giusta causa o giustificato motivo soggettivo per cui il successivo co. 5 dello stesso art. 18 prevede la sola tutela indennitaria, appare, oltre che conforme ai precedenti giurisprudenziali citati nella stessa sentenza, frutto di una corretta e coerente lettura dell'art. 18 come modificato dalla L. n. 92 del 2012.

All'indomani dell'entrata in vigore della c.d. Riforma Fornero, qualche Autore aveva criticato l'impianto normativo, avanzando dubbi di legittimità costituzionale, in quanto l'avere limitato la tutela reintegratoria alle sole ipotesi di fatto contestato insussistente, prevedendo invece la sola tutela indennitaria per l'ipotesi in cui il fatto contestato fosse sussistente ma non integrasse gli estremi della giusta causa o del giustificato motivo soggettivo, avrebbe potuto consentire al datore di lavoro di licenziare un dipendente, dopo avergli contestato un fatto lecito effettivamente sussistente per sottrarsi al ripristino del rapporto di lavoro (vedi V. Speziale; M. De Luca infra Guida all'approfondimento).

Altra dottrina, invece, ha evidenziato che il fatto contestato al lavoratore non può che essere quel comportamento del lavoratore qualificabile come inadempimento, con la conseguenza di ritenere insussistente un fatto che, seppure verificatosi nella sua materialità, non presenti alcuna connotazione illecita, non costituendo un inadempimento agli obblighi del prestatore (vedi C. Pisani; L. Cavallaro; A. Tursi infra Guida all'approfondimento).

Del resto sarebbe illogico sanzionare con la reintegrazione l'ipotesi di un licenziamento per giusta causa in cui il comportamento del lavoratore sia effettivamente illecito ma per il quale il codice disciplinare preveda una sanzione conservativa e punire con la sola tutela indennitaria il licenziamento che abbia ad oggetto un comportamento assolutamente lecito in quanto privo di alcun disvalore.

Appare, allora, corretta e coerente con il sistema la distinzione operata dalla Corte di cassazione tra fatto materiale sussistente, che costituisce inadempimento contrattuale in quanto condotta illecita ma che non assume caratteri di gravità tale da integrare il concetto di giusta causa, per il quale trova applicazione la mera tutela indennitaria di cui al co. 5 dell'art. 18, e fatto contestato privo di ogni rilevanza giuridica in quanto estrinsecazione di una condotta lecita, il quale, pur se materialmente accertato, viene equiparato al fatto insussistente.

La sentenza in commento, allora, risulta in perfetta continuità con la ricostruzione elaborata da precedenti pronunce della Suprema Corte, la quale aveva già evidenziato che l'art. 18 L. 20 maggio 1970, n. 300, come modificato dall'art. 1, co. 42, L. 28 giugno 2012, n. 92, distingue il fatto materiale dalla sua qualificazione in termini di giusta causa o di giustificato motivo soggettivo, riconoscendo la tutela reintegratoria solo in caso di insussistenza del fatto materiale posto a fondamento del licenziamento, sicché ogni valutazione che attenga al profilo della proporzionalità della sanzione rispetto alla gravità della condotta contestata non è idonea a determinare la condanna del datoredi lavoro alla reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro (Cass. sez. lav., 6 novembre 2014, n. 23669). Nel ribadire che qualora il profilo di illegittimità del licenziamento riguardi la questione della proporzionalità tra sanzione espulsiva e fatto di modesta entità venga in rilievo la sola tutela indennitaria di cui al co. 5 dell'art. 18, la Cassazione ha confermato che nell'ipotesi in cui il fatto contestato non abbia alcun rilievo disciplinare, integrando una condotta priva di ogni carattere di illiceità non si può parlare di semplice violazione del principio di proporzionalità, perché non sussiste il fatto contestato, nel senso che per fatto contestato debba intendersi necessariamente un fatto che integri un, seppur minimo, inadempimento. In tal modo la Corte, ribadendo quanto già aveva affermato con la sentenza 13 ottobre 2015 n. 20540, perviene al giudizio di equivalenza fra “insussistenza materiale del fatto” e sua “completa irrilevanza giuridica”.

L'art. 3 D.Lgs. n. 23/2015 ha definitivamente sancito la regola della tutela indennitaria in caso di licenziamento illegittimo, prevedendo la reintegrazione unicamente nel caso – eccezionale - dell'insussistenza del fatto materiale contestato, con espressa esclusione di “ogni valutazione circa la sproporzione del licenziamento (art. 3, co. 2, D.Lgs. n. 23/2015): “Esclusivamente nelle ipotesi di licenziamento per giustificato motivo soggettivo o per giusta causa in cui sia direttamente dimostrata in giudizio l'insussistenza del fatto materiale contestato al lavoratore, rispetto alla quale resta estranea ogni valutazione circa la sproporzione del licenziamento, il giudice annulla il licenziamento e condanna il datore di lavoro alla reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro”).

Contributo decisivo per l'interpretazione dell' “insussistenza del fatto materiale” nella novella appare essere quello offerto dalla pronuncia della Corte di legittimità n. 20540 del 13 ottobre 2015, richiamata anche dalla sentenza in commento, nella quale si legge che “la completa irrilevanza giuridica del fatto equivale alla sua insussistenza materiale”. Come evidenziato da qualche autore il principio così espresso dalla S.C. è chiaramente riferibile anche al Jobs Act, in quanto il licenziamento fondato sulla contestazione disciplinare di un comportamento del lavoratore perfettamente lecito e non contrastante con i suoi doveri contrattuali rientra nella nozione di “abuso della facoltà di recesso” da parte del datore di lavoro , che costituisce l'archetipo di riferimento per il riconoscimento della tutela reale nella riforma Fornero così come nel D.Lgs. n. 23/2015 (vedi P. Ichino infra Guida all'approfondimento).

Sempre ai fini interpretativi sul concetto dell' “insussistenza del fatto materiale”, appare utile anche richiamare la sentenza della Cass. sez. lav. n. 20545 del 13 ottobre 2015, secondo cui la parziale realizzazione della fattispecie di illecito (legale o contrattuale) determina l'insussistenza del fatto contestato. In particolare, i giudici di legittimità hanno affermato che il giudizio di insussistenza del fatto contestato richiede la verifica della rispondenza alla fattispecie legale o contrattuale di riferimento e, dunque, implica una valutazione del fatto in termini di inadempimento qualificato dalla sussistenza degli elementi costitutivi dell'illecito; sicché la mancanza di uno di essi ne determina l'insussistenza, dando luogo alla reintegra. Il caso esaminato verteva sulla contestata violazione di una norma del CCNL che prevedeva il licenziamento per fatti arrecanti all'azienda grave nocumento morale o materiale, nella specie consistito nell'inserimento nel sito internet e nel profilo facebook di un'azienda di ristorazione dei numeri di telefono mobile e di fax assegnati al lavoratore dal datore di lavoro e nell'indicazione dello stesso come cliente dell'impresa. I giudici di legittimità hanno affermato che il “nocumento grave è parte integrante della fattispecie di illecito disciplinare in questione onde l'accertamento della sua mancanza determina quella insussistenza del fatto addebitato al lavoratore, prevista dall'art. 18 L. n. 300/1970, modif. dall'art. 1, co. 42, L. 28 giugno 2012 n. 92, quale elemento costitutivo del diritto al ripristino del rapporto di lavoro. Questo elemento deve infatti considerarsi esistente qualora la fattispecie di illecito configurata dalla legge o dal contratto sia realizzata soltanto in parte”. In altri termini quando il datore di lavoro contesti una specifica connotazione del fatto, come contrattualmente previsto (come nel caso richiamato il “grave nocumento”), la mancata dimostrazione di detta connotazione rileva ai fini dell'insussistenza del fatto addebitato.

Guida all'approfondimento

V. Speziale, Giusta causa e giustificato motivo dopo la riforma dell'art. 18 dello Statuto dei lavoratori, in Working Papers Massimo D'Antona, 31

M. De Luca, Riforma della tutela reale contro i licenziamenti al tempo delle larghe intese: riflessioni su un compromesso necessario, in RIDL, 2013, I, 13

C. Pisani, Il licenziamento disciplinare: novità legislative e giurisprudenziali sul regime sanzionatorio, in ADL, 2015, 97ss

L. Cavallaro, Il licenziamento disciplinare: una riconsiderazione, in RTDPC, 2014, 213

A. Tursi, I licenziamenti (individuali e collettivi) alla prova delle riforme l'articolo 18 e il contratto a tutele crescenti”, in DRI, 2014, 923 e ss.

Ichino, Nota tecnica sulle sentenza della Corte di Cassazione 13 ottobre 2015 n. 20540 e n. 20524, in www.pietroichino.it

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