Superamento del comporto e prova dell’affidamento alla prosecuzione del rapporto
19 Luglio 2017
Il caso La Corte d'Appello dichiarava illegittimo il licenziamento irrogato per superamento del periodo di comporto, in considerazione dell'intervallo temporale (35 giorni) trascorso tra il rientro in servizio e la comunicazione del recesso, che aveva ingenerato nella lavoratrice un incolpevole affidamento circa la prosecuzione del rapporto e la volontà datoriale di rinunciare alla facoltà di recedere. Ricorreva per la cassazione della sentenza la società, denunciando l'avvenuta inversione dell'onere della prova in ordine alla sussistenza di una tacita manifestazione di volontà, che doveva essere provata dalla dipendente.
Spatium deliberandi Richiamando la giurisprudenza in materia, la S.C. sottolinea che l'interesse del lavoratore alla certezza della vicenda contrattuale deve essere contemperato con un ragionevole spatium deliberandi riconosciuto al datore, affinché questi possa valutare, nel complesso, una volta rientrato il dipendente, se residuino margini di convenienza e utilità alla prosecuzione del rapporto di lavoro.
Onere della prova In applicazione dell'art. 2697 c.c., continua la Cassazione, deve ritenersi che la prova del superamento del periodo di comporto spetti al datore di lavoro in quanto fatto costitutivo del licenziamento, mentre la prova della sussistenza di un incolpevole affidamento spetti al lavoratore in quanto fatto estintivo del potere di recesso.
Principio di diritto Pertanto, accogliendo il ricorso, i giudici di legittimità affermano che: “nel caso in cui il datore di lavoro intimi un licenziamento per superamento del periodo di comporto dopo la ripresa dell'attività lavorativa da parte del dipendente, l'allegazione e la prova di circostanze che integrino una manifestazione tacita della volontà del datore di lavoro di rinunciare al diritto di recesso spetta al lavoratore in quanto fatto estintivo del potere di recesso”. |