Esigere un salario minimo slegato dal costo della vita in altro Stato membro è incompatibile con le norme UE

22 Settembre 2014

Il salario minimo prescritto fra i requisiti di un appalto pubblico non può essere esteso ai lavoratori di un subappaltatore stabilito in un diverso Stato membro, laddove questi eseguano l'appalto esclusivamente in tale altro Stato: sarebbe una lesione alla libera prestazione di servizi. Così si è espressa la CGUE nella sentenza C-549/13 del 18 settembre.

Il caso esaminato e il salario minimo garantito

Una legge di un Land tedesco prevede che alcuni appalti pubblici di servizi possano essere aggiudicati solo a imprese che, al momento della presentazione del capitolato d'offerta, si impegnino a versare al loro personale una retribuzione oraria minima di € 8,62. La ratio del provvedimento è di garantire che ai lavoratori venga versata una congrua retribuzione, sia per evitare fenomeni di «dumping sociale», sia la penalizzazione delle imprese concorrenti.

La controversia ad oggetto della sentenza C-549/13, depositata il 18 settembre 2014, trae origine da un bando di gara avente ad oggetto un appalto pubblico per la digitalizzazione di documenti e la conversione di dati per il suo servizio urbanistico: la città di Dortmund pretendeva che fosse garantito il salario minimo di € 8,62 ai lavoratori impiegati da un subappaltatore stabilito in un altro Stato membro (la Polonia) di cui l'offerente intendeva.

Il giudice tedesco competente in materia di appalti ha quindi avanzato rincorso alla Corte di Giustizia per la valutazione di una supposta lesione alla libera prestazione dei servizi.

Normativa nazionale sproporzionata se rapportata ad altri Paesi

I giudici del Lussemburgo evidenziano in primis come l'imposizione di una retribuzione minima ai subappaltatori di un offerente stabiliti in un altro Stato membro, in cui le tariffe salariali minime sono inferiori, costituisca un onere economico supplementare, capace nei fatti di ostacolare o rendere meno attraente l'esecuzione delle loro prestazioni in tale altro Stato membro.

Nei limiti in cui si applica ai soli appalti pubblici, una tale normativa non è idonea a raggiungere l'obiettivo di salvaguardia dei lavoratori se non vi sono elementi che indichino che soggetti attivi sul mercato privato non hanno bisogno della medesima protezione salariale di quelli operanti nell'ambito degli appalti pubblici.

La normativa nazionale esaminata appare sproporzionata: imponendo, di fatti, un salario minimo fisso che corrisponde sì a quello richiesto per assicurare ai

lavoratori in Germania una retribuzione congrua con riferimento al costo della vita teutonico, ma

che è priv

a di alcun rapporto con il costo della vita nello Stato membro in cui le prestazioni relative

saranno effettuate (la Polonia) e che non consentirebbe, di conseguenza, ai subappaltatori stabiliti in quest'ultimo Stato membro di trarre un vantaggio concorrenziale dalle differenze esistenti tra le rispettive tariffe salariali, un simile quadro normativo va ben oltre quanto sianecessario per assicurare il raggiungimento dell'obiettivo della protezione dei lavoratori.

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