Illegittimità costituzionale della sospensione della perequazione automatica 2012-13: sentenza n. 70/2015 e sua attuazione d.l. 65/2015

26 Maggio 2015

In riferimento agli artt. 3, 36, primo comma, e 38, secondo comma, Cost., è costituzionalmente illegittimo l'art. 24, comma 25, D.L. n. 201/2011, convertito in L. n. 214/2011, nella parte in cui, in considerazione della contingente situazione finanziaria, ha integralmente sospeso, per gli anni 2012 e 2013, la rivalutazione automatica dei trattamenti pensionistici di importo complessivo superiore a tre volte il trattamento minimo INPS.
Massima

In riferimento agli artt. 3, 36, primo comma, e 38, secondo comma, Cost., è costituzionalmente illegittimo l'art. 24, comma 25, D.L. n. 201/2011, convertito in L. n. 214/2011, nella parte in cui, in considerazione della contingente situazione finanziaria, ha integralmente sospeso, per gli anni 2012 e 2013, la rivalutazione automatica dei trattamenti pensionistici di importo complessivo superiore a tre volte il trattamento minimo INPS.

Il caso

La Corte è stata chiamata a pronunciarsi sulla conformità ai principi costituzionali della norma richiamata (art. 24, comma 25, D.L. n. 201/2011) che ha disposto la temporanea sospensione (anni 2012-2013) della perequazione automatica delle pensioni di importo superiore al triplo del trattamento minimo di pensione.

A poco più di 20 giorni dal pronunciamento del Giudice delle Leggi, il Governo ha adottato il decreto legge 21 maggio 2015 (pubblicato in G.U. n. 116 di pari data) che intende “… dare attuazione ai principi enunciati dalla sentenza della Corte costituzionale, nel rispetto del principio dell'equilibrio di bilancio e degli obiettivi di finanza pubblica …”. Per valutare il senso e la coerenza dell'intervento legislativo attuato dall'Esecutivo è necessario ripercorrere l'iter logico-argomentativo seguito dalla Corte nella sua decisione.

Va anzitutto rammentato come i dubbi circa la legittimità dell' art. 24, comma 25 d.l. n. 201/2011 (l. n. 214/2011) fossero stati sollevati nell'ambito di una controversia davanti al giudice ordinario e di due distinti giudizi davanti al giudice amministrativo. Le ordinanze di rimessione della questione alla Corte risultavano concordi nel ritenere il dubbio di costituzionalità rilevante e non manifestamente infondato sia con riguardo alle norme in tema di proporzionalità e sufficienza del trattamento retributivo (art. 36 Cost.), nonché di adeguatezza di quello pensionistico (art. 38, comma 2, Cost.); sia in riferimento ai principi (53 Cost.) che informano l'imposizione di prestazioni patrimoniali di natura tributaria.

La questione

L'art. 38, comma 2, della Costituzione – di cui è antecedente logico il principio di proporzionalità e sufficienza del trattamento retributivo di cui all'art. 36 Cost., stante il carattere latu sensu di retribuzione differita della pensione – riconosce il diritto dei lavoratori a disporre di un reddito pensionistico adeguato alle esigenze di vita, con la conseguenza di involgere, fra l'altro, che sia garantita nel tempo la permanenza di tale carattere (adeguatezza), intaccato dalla erosione del potere di acquisto della moneta. Tale finalità è soddisfatta, nel nostro ordinamento, attraverso il meccanismo della perequazione automatica volto ad attuare la periodica rivalutazione delle pensioni in relazione alla dinamica inflattiva, come rilevata dall'ISTAT sulla base dell'indice dei prezzi al consumo per famiglie di operari e impiegati.

La perequazione, introdotta in maniera organica con l'art. 19 L. n. 30 aprile 1969 n. 153, ha subito nel tempo diverse modifiche (art. 11 D.lgs. n. 503/1992; art. 59, comma 13, L. n. 449/1997; art. 34, comma 1, L. n. 448/1998) ed è oggi applicata, su base annuale, secondo criteri decrescenti per fasce successive del reddito pensionistico, ai sensi dell'art. 69, comma 1 e ss., L. n. 388/2000. Tale norma riconosce la perequazione per intero per fasce di importo fino a tre volte il trattamento minimo INPS (si consideri che tale è pari, per il 2015, a € 502,39); nella misura del 90 per cento per fasce di importo da 3 a 5 volte tale minimo ed è ridotta al 75 per cento per le prestazioni eccedenti il quintuplo del minimo stesso (tuttavia per il triennio 2014-2016 livello di rivalutazione e fasce correlate sono stati ulteriormente modificati dall'art. 1, comma 483, L. n. 147/2013 e in particolare, per il 2014, è disposto il blocco integrale della perequazione per le fasce di importo superiore a 6 volte il trattamento minimo INPS).

In pratica, nel triennio 2014-2016 la rivalutazione automatica delle pensioni è riconosciuta: i) interamente, ai trattamenti pensionistici di importo complessivo fino a tre volte il trattamento minimo; ii) al 95% del valore dell'aliquota di aumento, alle pensioni di importo complessivo compreso fra tre e quattro volte il trattamento minimo; iii) al 75%, alle pensioni di importo complessivo compreso fra quattro e cinque volte il trattamento minimo; iv) al 50%, alle pensioni di importo complessivo fra cinque e sei volte il trattamento minimo; v) al 45%, alle pensioni di importo complessivo superiore a 6 volte il trattamento minimo. Per quest'ultimo gruppo, inoltre, per l'anno 2014 è stata prevista una limitazione ulteriore: il valore dell'aliquota di perequazione è stato ridotto al 40% anziché al 45 e applicato soltanto alla quota di pensione entro il limite di sei volte il trattamento minimo, anziché sull'intero importo.

È importante evidenziare che in conseguenza delle disposizioni della finanziaria per il 2014, il sistema di rivalutazione “ordinario” (ex art. 69 comma 1 ss. l. n. 388 cit., per fasce d'importo della stessa pensione) è stato temporaneamente accantonato, prevedendo che l'aliquota di perequazione, applicabile al reddito pensionistico spettante a seconda del gruppo in cui si colloca, venga applicata all'intero importo (per es., con il meccanismo precedente una pensione di 2.000 euro lordi sarebbe stata rivalutata al 100% per la fascia sino a tre volte il minimo e al 90% per la parte rimanente, il che equivale a un'aliquota media del 97,42%; con il sistema descritto l'aliquota da applicare al gruppo d'importo in questione è ridotta al 75%).

Ad ogni modo, il legislatore è altresì intervenuto in passato disponendo il temporaneo congelamento della perequazione automatica in riferimento a importi pensionistici superiori un certo numero di volte il trattamento minimo dell'INPS (cfr. art. 1 legge n. 438/1992; art. 59, comma 13, legge n. 449/1997; art. 1, comma 19, legge n. 247/2007). Tuttavia, proprio per la ricordata rilevanza costituzionale del meccanismo perequativo, interventi legislativi volti a sospenderne gli effetti sono ammissibili – e sono stati ritenuti legittimi dalla Corte (cfr. per es. Corte Cost. n. 256/2001; n. 316/2010) – purché attuati in via di eccezione, per importi di pensione elevati e giustificati dalla necessità di tutela di altri interessi anch'essi di rilevanza costituzionale, da ritenersi preminenti nell'ambito di un giudizio di bilanciamento.

In particolare, con la sentenza n. 316/2010, la Corte, nell'evidenziare la relativa discrezionalità di cui gode il legislatore in sede di attuazione del principio di adeguatezza e proporzionalità delle pensioni, lo aveva nel contempo ammonito a escludere sospensioni temporalmente prolungate della perequazione o interventi frequenti al riguardo, posto che sarebbero entrate in collisione con gli invalicabili principi di ragionevolezza e proporzionalità da rispettare in materia.

Le soluzioni giuridiche

Proprio agli esiti di una valutazione complessiva degli interessi in gioco in materia, la sentenza in commento ritiene che l'intervento sulla perequazione automatica attuato, per il 2012-2013, con l'art. 24, comma 25, della legge c.d. Salva Italia sia illegittimo, non solo per contrasto con i principi di cui ai già menzionati artt. 36, comma 1, e 38, comma 2, della Carta, nonché con il basilare principio di eguaglianza formale e sostanziale (art. 3 Cost.); ma anche per non trovare adeguata giustificazione in esigenze di tutela di altri valori costituzionali di rilievo almeno pari, stante anche il generico riferimento della norma in parola a una “contingente situazione finanziaria”.

Va incidentalmente rilevato che la Corte ha invece ritenuto infondata la questione di legittimità per i profili di contrarietà agli artt. (2 e 3) 23 e 53 Cost. in relazione alla presunta natura tributaria delle misure in esame, non condividendo, sul punto, gli argomenti svolti nelle ordinanze di rimessione ai sensi delle quali le misure di azzeramento della rivalutazione automatica (relative ai trattamenti pensionistici superiori a tre volte il trattamento minimo INPS) configurerebbe anche una prestazione patrimoniale di natura tributaria, lesiva del principio di universalità dell'imposizione a parità di capacità contributiva, in quanto posta a carico di una sola categoria di contribuenti e non in ragione della relativa capacità contributiva.

Entrando del merito della sentenza n. 70/2015, questa stigmatizza quale palese criticità dell'intervento attuato sulla “perequazione 2012-2013”, l'essersi il legislatore discostato dalle soluzioni adottate in altri interventi legislativi volti a incidere sulla rivalutazione di trattamenti pensionistici sulla base di una articolazione per fasce degli stessi. In pratica, l'art. 24, comma 25, D.L. 201 cit. - a differenza di disposizioni precedenti e successive - mentre riserva la rivalutazione (integrale) ai trattamenti fino a tre volte il trattamento minimo, per quelli di importo superiore non prevede alcuna rivalutazione, neppure limitatamente alle fasce, degli stessi, di importo fino al triplo.

Pertanto, la mancata attuazione per fasce progressive dell'intervento sulla perequazione ex lege n. 214 cit., unito al fatto che la sospensione della rivalutazione ha avuto, nell'occasione considerata, una durata (biennale) superiore a quella disposta in precedenti interventi (annuale) e al fatto che la misura ha inciso anche su trattamenti pensionistici di importo comunque modesto e con effetti a cascata sulle rate successive, sono tutti aspetti rimarcati nella motivazione della sentenza e considerati tali da fondare la convinzione di illegittimità costituzionale dell'intervento legislativo in parola.

Osservazioni

La sentenza costituzionale, facendo venire del tutto meno l'art. 24, comma 25, D.L. 201/2011, di per sé avrebeb significato il diritto dei pensionati interessati a vedersi restituire le quote di perequazione non applicate per gli anni 2012 e 2013, con riconoscimento, per gli anni successivi, di ulteriori importi, correlati a una base reddituale più elevata su cui avrebbero dovuto essere calcolate le successive rivalutazioni (effetto c.d. a cascata).

Tuttavia una piena “restitutio in integrum” dei trattamenti pensionistici, penalizzati dal blocco della perequazione per il considerato biennio, avrebbe determinato conseguenze gravi sul fronte della finanza pubblica, anche in relazione ai vincoli di bilancio e agli impegni che l'Italia ha nei confronti della Comunità europea.

Oltretutto, come già detto, la illegittimità dell'art. 24, comma 25 cit. è stata messa dalla Corte in stretta relazione, da una parte, con la mancata esaustiva motivazione dell'intervento legislativo, dall'altra con l'applicazione del blocco della perequazione 2012-2013 in maniera generalizzata su tutte le pensioni superiori a tre volte l'importo minimo. In altre parole, leggendo “a contrario” la sentenza si ricava che, ove il legislatore del 2011 avesse soddisfatto tali due presupposti, la questione del contrasto con la normativa costituzionale sarebbe stata risolta diversamente.

Ecco quindi che l'Esecutivo con il decreto legge n. 65/2015 interviene proprio sulla normativa dell'art. 24, comma 25, l. n. 214, rimodulando il blocco della perequazione 2012-2013, secondo criteri differenziati in ragione di crescenti livelli di reddito pensionistico; peraltro il carattere “parziale” della “restituzione perequativa” viene, espressamente, giustificato con l'esigenza del rispetto del principio costituzionale dell'equilibrio di bilancio (art. 81 Cost.).

In tal senso, il nuovo comma 25 (sostitutivo del precedente), per il biennio considerato, mentre - ovviamente - conferma la (già prevista) piena rivalutazione delle pensioni fino a tre volte il trattamento minimo, stabilisce per le pensioni superiori importi diversificati: per quelle superiori a tre volte e sino a quattro la rivalutazione è fissata al 40%; per quelle superiori a quattro e sino a cinque al 20%; per le pensioni superiori a cinque e sino a sei del 10%; oltre tale soglia è invece confermata la totale sospensione dell'adeguamento. Si tratta di un meccanismo di rivalutazione non modulato per “fasce” del singolo trattamento, ma “secco” per ciascuno dei livelli indicati (per es., la pensione ricompresa fra le tre e le quattro volte il minimo, è in toto rivalutata del 40%).

Il legislatore inserisce inoltre, nell'art. 24 d.l. n. 201 cit., un comma 25-bis, con il quale regola gli effetti della perequazione del biennio sugli anni successivi; in tal senso il comma prevede che “la rivalutazione automatica … relativa agli anni 2012 e 2013 come determinata dal comma 25, con riguardo ai trattamenti di importo complessivo superiore a tre volte il trattamento minimo Inps è riconosciuta … a) negli anni 2014 e 2015 nella misura del 20% (quindi rivalutazione dell'8, 4, 2%) [e] b) a decorrere dall'anno 2016 nella misura del 50%” (20%, 10, 5).

Tale previsione va poi coordinata con l'art. 1, comma 483, l. n. 147/2013 che, come visto più sopra, per il triennio 2014-2016 ha dettato regole particolari.

In ogni caso, un primo ristoro delle situazioni pensionistiche interessate si realizzerà sotto forma di arretrati, da corrispondere con effetto dal 1° agosto 2015 (art. 1, comma 3, d.l. n. 65 cit.).

Sui profili attuativi della misura si è in attesa delle istruzioni dell'Inps.


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