Tipologie contrattuali del Jobs Act e sicurezza sul lavoro – parte II

25 Luglio 2017

Il datore di lavoro, nell'effettuare la valutazione dei rischi, deve individuare anche quelli connessi alla specifica tipologia contrattuale attraverso cui viene resa la prestazione di lavoro. Pertanto, tutte le modifiche apportate dal Jobs Act alle tipologie contrattuali e alla disciplina del rapporto in generale rifluiscono sul tema della sicurezza sul lavoro e delle relative responsabilità. Esaminiamo partitamente le singole tipologie: in questo secondo contributo, che segue l'approfondimento sulle collaborazioni organizzate dal committente, si analizzano contratto di somministrazione, lavoro intermittente, prestazioni occasionali e apprendistato.
Le singole tipologie: il contratto di somministrazione

Come indicato nella parte I, la correlazione tra tipologie contrattuali e obblighi di sicurezza è istituita dall'art. 28 D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81, il quale specifica che il datore di lavoro, nell'effettuare la valutazione dei rischi, deve individuare anche quelli connessi alla specifica tipologia contrattuale attraverso cui viene resa la prestazione di lavoro.

Si è detto altresì che l'art. 26 dello stesso D.Lgs., attualmente vigente, riprendendo analoga diposizione dell'art. 7 D.Lgs. 19 settembre 1994 n. 626 e dell'art. 3 D.Lgs. 14 agosto 1996 n. 494, parifica gli obblighi del datore di lavoro, in caso di affidamento di lavori, servizi e forniture ad una impresa appaltatrice, o mediante contratto di somministrazione o a lavoratori autonomi nell'ambito del ciclo produttivo aziendale.

Si è detto infine che la giustificazione sociologica-giuridica di tale assetto è costituita dalla parcellizzazione del processo produttivo, che impone la concentrazione della responsabilità per la sicurezza in capo all'imprenditore demiurgo, che realizza tale processo avvalendosi nel proprio interesse di diverse tipologie contrattuali, in una interpretazione costituzionalmente orientata ex art. 35 Cost. delle norme in esame (Cass. sez. lav., 28 ottobre 2016, n. 21894)

Nel caso del contratto di somministrazione l'imprenditore demiurgo è l'utilizzatore, che si avvale di tale tipologia contrattuale per i propri fini produttivi.

Su di lui ricade perciò la responsabilità maggiore.

Maggiore, ma non esclusiva, perché articolata con quella del somministratore, secondo la disciplina di tale tipo contrattuale dettata attualmente dagli artt. 30-40 del D.Lgs. 15 giugno 2015, n. 81.

Il contratto di somministrazione di lavoro è definito dall'art. 30 come il contratto, a tempo indeterminato o determinato, con il quale un'agenzia di somministrazione autorizzata mette a disposizione di un utilizzatore uno o più lavoratori suoi dipendenti, i quali, per tutta la durata della missione, svolgono la propria attività nell'interesse e sotto la direzione ed il controllo dell'utilizzatore.

È un tipico rapporto trilaterale, per il quale valgono le regole solite per siffatti tipi di rapporto (art. 3, co. 6, D.Lgs. n. 81/2008), e cioè gli oneri contributivi, previdenziali, assicurativi ed assistenziali sono a carico del somministratore (che ne viene rimborsato dall'utilizzatore: art. 33, co. 2), ma gli obblighi dell'assicurazione contro gli infortuni e le malattie professionali sono determinati in relazione al tipo e al rischio delle lavorazioni svolte presso l'utilizzatore.

Per quanto riguarda la prevenzione e la sicurezza sul lavoro, gli obblighi rispettivi del somministratore e dell'utilizzatore sono desumibili da varie disposizioni dello stesso D.Lgs. n. 81/2015:

  • preliminarmente, il contratto di somministrazione, intercorrente tra somministratore ed utilizzatore, è vietato per i datori di lavoro che non abbiano effettuato la valutazione dei rischi (art. 32, lett. d);
  • tale contratto, ove consentito (per gli altri casi di divieto vedi art. 32), da stipulare in forma scritta (art. 33, comma 1), deve indicare gli eventuali rischi per la salute e la sicurezza del lavoratore e le misure di prevenzione adottate (art. 33, comma 1, lett. c);
  • nel contratto di lavoro, intercorrente tra somministratore e lavoratore, ovvero all'atto dell'invio in missione presso l'utilizzatore, il somministratore deve informare i lavoratori sui rischi per la sicurezza e la salute connessi alle attività produttive (art. 35, comma 4);
  • deve inoltre formarli e addestrarli all'uso delle attrezzature di lavoro necessarie allo svolgimento dell'attività lavorativa per la quale essi vengono assunti, in conformità al D.Lgs. n. 81/2008 (art. 35, comma 4); il contratto di somministrazione può prevedere che tale obbligo sia adempiuto dall'utilizzatore.

Tutto ciò implica che il somministratore abbia una previa approfondita conoscenza dei processi produttivi e dei rischi dei lavoratori presso l'utilizzatore verso il quale si accinge ad inviare i lavoratori somministrati.

  • l'utilizzatore osserva nei confronti dei lavoratori somministrati gli obblighi di prevenzione e protezione cui è tenuto, per legge e contratto collettivo, nei confronti dei propri dipendenti (art. 35, comma 4, D.Lgs. 81/2015). Tra questi, vi è anche la visita medica preventiva, quando richiesta, e la sorveglianza sanitaria periodica (Circolare MinLav, n. 7/2005).

La dottrina, argomentando anche dalla formulazione dell'art. 23, co. 5, D.Lgs. n. 276/2003 previgente, ritenuta più puntuale (“Il somministratore informa i lavoratori sui rischi per la sicurezza e la salute connessi alle attività produttive in generale e li forma e addestra all'uso delle attrezzature di lavoro necessarie allo svolgimento della attività lavorativa per la quale essi vengono assunti . . .”) ritiene che solo gli obblighi di carattere generale, concernenti la informazione e formazione alla sicurezza, siano propri del somministratore, mentre quelli specifici siano a carico dell'utilizzatore, ivi compreso l'addestramento all'uso di attrezzature particolari.

Noi riteniamo che proprio la soppressione dell'espressione “in generale”, in un testo sostanzialmente identico, manifesta la volontà del legislatore del 2015 di ampliare la responsabilità del somministratore, nel senso che questi non è un nudus minister o nastro di trasmissione ai lavoratori delle informazioni sulla sicurezza ricevute dall'utilizzatore, ma è dotato di una responsabilità propria, non derivata da quella dell'utilizzatore, e da questi indipendente, di assolvere il debito informativo con la diligenza del buon padre di famiglia dovuta nell'adempimento delle obbligazioni, ai sensi dell'art. 1176 c.c., acquisendo le informazioni necessarie per la sicurezza del lavoratore somministrato anche aliunde.

Il lavoratore somministrato non è computato nell'organico aziendale dell'utilizzatore ai fini dell'applicazione di normative di legge o di contratto collettivo, fatta eccezione per quelle relative alla tutela della salute e della sicurezza su lavoro (art. 34, comma 3).

Ciò significa, ad es., che per la determinazione del numero dei rappresentanti per la sicurezza occorre contare anche i lavoratori somministrati.

Il lavoro intermittente

Il D.Lgs. 15 giugno 2015, n. 81, nel confermare sostanzialmente, agli artt. 13-18, la disciplina del lavoro intermittente tracciata dal D.Lgs. 10 settembre 2003, n. 276 (artt. 33-40), conferma altresì le disposizioni in tema di sicurezza, analoghe a quelle del contratto di somministrazione: tra le cause di divieto di stipulazione di siffatta forma contrattuale vi è la mancata effettuazione della valutazione dei rischi (art. 14 lett. c); inoltre il contratto, da stipulare in forma scritta ad probationem, deve riportare le misure di sicurezza necessarie in relazione al tipo di attività dedotta in contratto (art. 15, lett. f).

Il contratto di prestazione occasionale

La riforma Biagi (art. 70 D.Lgs. 10 settembre 2003, n. 276) aveva introdotto la tutela delle prestazioni occasionali svolte da particolari categorie marginali (disoccupati; casalinghe, studenti e pensionati; disabili e soggetti in comunità di recupero; lavoratori extracomunitari, regolarmente soggiornanti in Italia), in una serie di attività ristrette, ma non per questo meno meritevoli di protezione (piccoli lavori domestici a carattere straordinario, assistenza domiciliare ai bambini e alle persone anziane, ammalate o con handicap, etc. ), al fine di far emergere il lavoro sommerso di queste platee piuttosto ristrette di attività e lavoratori. Gli adempimenti relativi erano molto semplificati; il pagamento avveniva mediante buoni o voucher che includevano la quota contributiva per la copertura previdenziale a carico di INPS e INAIL, acquistabili e riscuotibili presso molte sedi diffuse sul territorio.

Leggi successive, specie la riforma Fornero, hanno ampliato la possibilità di ricorso a tale forma contrattuale.

L'ultima disciplina è contenuta negli artt. 48, 49 e 50 D.Lgs. 15 giugno 2015, n. 81.

Il Governo Renzi ha introdotto, all'art. 49 cit., comma 3, la tracciabilità dei voucher, solo per i committenti imprenditori o professionisti, obbligandoli a comunicare, prima dell'inizio della prestazione, alla direzione territoriale del lavoro competente, attraverso modalità telematiche, ivi compresi sms o posta elettronica, i dati anagrafici e il codice fiscale del lavoratore, indicando, altresì, il luogo della prestazione con riferimento ad un arco temporale non superiore ai trenta giorni successivi. Tale precetto è stato ribadito, e reso operativo, con l'art. 1 D.Lgs. 24 settembre 2016 n. 185, che ha rimodulato l'art. 49 comma 3 cit..

Ma i buoi erano già scappati dalla stalla, nel senso che larghi abusi si erano già verificati nell'utilizzo di tale forma di protezione, specie nel settore dell'edilizia, tanto da indurre la CGIL a proporre un referendum abrogativo dell'intera disciplina del lavoro occasionale, dichiarato ammissibile.

Il Governo Gentiloni, nel timore che nel voto referendario si coagulassero tutte le opposizioni, saldandosi con la minoranza interna critica, come era già avvenuto al precedente referendum costituzionale, ne ha abrogato le norme oggetto con D.L. 15 marzo 2017, n. 25.

Ma poiché le esigenze del mercato di lavoro e di protezione dei lavoratori interessati permangono tutte, ha introdotto una nuova disciplina con l'art. 54 bis, inserito dalla legge di conversione 21 giugno 2017, n. 96, del D.L. 24 aprile 2017, n. 50, in vigore dal 6 luglio 2017 ed operativa, come piattaforma informatica INPS, dal 10 luglio.

La nuova disciplina individua due categorie di utilizzatori, di attività esperibili, di modalità di retribuzione e contribuzione, nonché di obblighi di sicurezza:

a)le persone fisiche, non nell'esercizio dell'attività professionale o d'impresa, per quelle attività originarie del 2003 di:

  • piccoli lavori domestici, compresi lavori di giardinaggio, di pulizia o di manutenzione;
  • assistenza domiciliare ai bambini e alle persone anziane, ammalate o con disabilità;
  • insegnamento privato supplementare.

b)altri utilizzatori, anche imprenditoriali, per i quali le attività sono individuate in via di esclusione:

  • utilizzatori che hanno alle proprie dipendenze più di cinque lavoratori subordinati a tempo indeterminato;
  • imprese dell'edilizia (dove, come cennato, si erano verificati i maggiori abusi) e settori affini, di escavazione o lavorazione di materiale lapideo, del settore delle miniere, cave e torbiere;
  • nell'ambito dell'esecuzione di appalti di opere o servizi.

Per le imprese del settore agricolo tale forma contrattuale è ammessa solo per le attività lavorative rese da categorie di soggetti così individuati:

  • titolari di pensione di vecchiaia o di invalidità;
  • giovani con meno di venticinque anni di età, se regolarmente iscritti a un ciclo di studi presso un istituto scolastico di qualsiasi ordine e grado ovvero a un ciclo di studi presso l'università;
  • persone disoccupate, come individuate dall'art. 19 del D.Lgs. 14 settembre 2015, n. 150;
  • percettori di prestazioni integrative del salario, di reddito di inclusione (REI) ovvero di altre prestazioni di sostegno del reddito, purché non iscritti nell'anno precedente negli elenchi anagrafici dei lavoratori agricoli;

Gli utilizzatori ed i prestatori di entrambe le categorie sono tenuti a registrarsi e svolgere i relativi adempimenti attraverso un'apposita piattaforma informatica gestita dall'INPS, eventualmente con l'ausilio di un consulente del lavoro (co. 9) o di un patronato (pensiamo ad una persona anziana che ha bisogno di un badante per l'estate).

Tutti i prestatori, di entrambe le categorie, sono soggetti alla protezione previdenziale, ed in particolare all'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, sempre che ricorrano le condizioni soggettive ed oggettive previste dagli artt. 1 e 4 D.P.R. n. 1124/1965; ma nell'attuale interpretazione evolutiva di tali coordinate è difficile non scorgere il rischio per l'apparato muscolo-scheletrico del badante di una persona anziana o disabile, o i rischi provenienti dai comportamenti imprevedibili dei bambini.

c) dei disabili psichici.

Da questo punto iniziano le differenze di disciplina per le due categorie.

Le persone fisiche di cui alla lett. a) acquistano esclusivamente attraverso la piattaforma informatica INPS o gli uffici postali un libretto nominativo prefinanziato denominato "Libretto Famiglia", per il pagamento delle prestazioni occasionali; comunicano all'INPS a posteriori l'avvenuto svolgimento della prestazione (comma 12); il prestatore riscuote le proprie spettanze il mese successivo alla prestazione mediante accredito sul proprio conto corrente o mediante bonifico bancario da parte dell'INPS, che li preleva dal libretto prefinanziato (comma 19).

L'INPS provvede altresì, due volte l'anno, a trasferire all'INAIL i premi di competenza.

Diversa la procedura per gli utilizzatori di cui alla lett. b), che non è qui la sede per approfondire.

Per costoro vi è l'obbligo di tracciabilità, nel senso che l'utilizzatore imprenditoriale o professionista deve trasmettere a priori, almeno un'ora prima dell'inizio della prestazione, sempre tramite la piattaforma informatica INPS o call center, tutte le notizie rilevanti per l'individuazione del prestatore e della prestazione (comma 19).

Importanti le differenze in tema di sicurezza.

Per tutti vi è l'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, come cennato.

Viceversa le disposizioni del D.Lgs. 23 febbraio 2008, n. 81, e tutte le altre norme speciali vigenti in materia di sicurezza e tutela della salute si applicano solo ai committenti (cioè gli utilizzatori) imprenditori o professionisti.

Negli altri casi si applicano solo le disposizioni dell'art. 21 del D.Lgs. n. 81/2008, e cioè i prestatori devono utilizzare attrezzature di lavoro in conformità alle disposizioni del TU sicurezza, e munirsi di dispositivi di protezione individuale ed utilizzarli conformemente alle disposizioni dello stesso TU.

In ogni caso sono esclusi i piccoli lavori domestici a carattere straordinario, compresi l'insegnamento privato supplementare e l'assistenza domiciliare ai bambini, agli anziani, agli ammalati e ai disabili.

Si tratta di un'antica regola risalente all'art. 3, co. 8, D.Lgs. n. 81/2008, richiamato dal co. 3 dell'art. 54 bis in esame, regola rimodulata dall'art. 20 D.Lgs. 14 settembre 2015, n. 151.

La regola lascia perplessi.

Poiché si tratta di un'obbligazione di lavoro governata quanto meno dal codice civile, trova sicuramente applicazione l'art. 2087 c.c. (argomento a contrario viene dal citato art. 3, comma 8, che riserva l'esclusione alle sole norme speciali).

Ma poiché l'art. 2087 costituisce la norma di chiusura del sistema di prevenzione (sul punto si veda il nostro precedente Tipologie contrattuali del jobs act e sicurezza sul lavoro), trascina con sé anche le norme speciali del sistema che esso chiude.

Ci sembra evidente che l'utilizzatore familiare, di cui alla lett. a), abbia l'obbligo, quanto meno attraverso la mediazione dell'art. 2087 c.c., di fornire al lavoratore occasionale domestico una scala per i lavori di casa conforme alle prescrizioni di sicurezza del TU n. 81/2008.

A nostro avviso, la norma in esame mantiene un valore sistemico intesa nel senso che agli utilizzatori da essa menzionati non si applicano le disposizioni amministrative, contravvenzionali e penali del TU n. 81/2008.

Chiudiamo il tema con una constatazione sociologica su questa annosa vicenda dei voucher: se il Governo ed il Parlamento cercano di snellire le procedure, per far fronte alle esigenze del mercato del lavoro e rendere la vita più facile ai cittadini, una parte significativa di essi ne abusa, facendone un uso fraudolento, e provocando così una reazione giusta, ma non selettiva, dei difensori della fede, per soddisfare i quali il Governo ripristina procedure macchinose e defatiganti, che a loro volta disincentivano i cittadini dall'usarle.

Ci auguriamo solo che la relazione annuale al Parlamento, prevista dal co. 21, sull'applicazione della nuova disciplina, smentisca queste nostre amare previsioni.

L'apprendistato

Il D.Lgs. n. 81/2015, nel dettare, agli artt. 41-47, la disciplina dell'apprendistato, sulla falsa riga della tripartizione tipologica del D.Lgs. 14 settembre 2011, n. 167 (Testo Unico dell'apprendistato), non contiene disposizioni specifiche sulla sicurezza.

Tuttavia l'esperienza lavorativa ha un suo rilievo normativo, perché l'art. 28, comma 2, lett. f) D.Lgs. n. 81/2008 impone di inserire nel documento di valutazione dei rischi le mansioni che eventualmente espongano i lavoratori a rischi specifici che richiedono una riconosciuta capacità professionale, specifica esperienza, adeguata formazione e addestramento.

Occorre perciò distinguere, all'interno dell'apprendistato, il lavoro dei minorenni, fanciulli e adolescenti (da 15 a 18 anni), dagli apprendisti maggiori di età. Per i primi da sempre la disciplina di tutela di tali persone appresta speciali misure di sicurezza (si veda ad es. art. 6 L. 17 ottobre 1967, n. 977), vietando determinate lavorazioni pericolose e disponendo che siano svolte sotto la sorveglianza di un formatore, dagli apprendisti maggiori di età.

Per tutti gli apprendisti in generale vi è una speciale disciplina di tutela, a partire dalla L. 19 gennaio 1955, n. 25. Su tale base normativa, da tempo la giurisprudenza di legittimità, sia civile che penale, ha affermato che la obbligazione di sicurezza del datore di lavoro è particolarmente pregnante nei confronti del lavoratore apprendista (Cass. sez. lav., n. 9805/1998, 326/2002, 11622/2007; Cass. civ., sez. III, n. 944/2012; Cass. pen., sez. IV, n. 15009/2009). Il fondamento di tale statuizione è costituita, sul piano fattuale, dal rilievo che la inesperienza costituisce un fattore di rischio, e sul piano normativo, dall'art. 2087 c.c.

L'esame delle fattispecie aiuta a capire il livello di tutela che la giurisprudenza pretende per gli apprendisti.

Nel caso esaminato da Cass. sez. lav., 2 ottobre 1998, n. 9805, il datore di lavoro era stato assolto in entrambi i gradi di merito dalle pretese risarcitorie del lavoratore infortunato sul rilievo che egli aveva impartito le necessarie istruzioni in occasione delle prime prove, ed aveva altresì esercitato una vigilanza, ancorché discontinua, sull'operato del dipendente infortunato. A giudizio del Tribunale, pertanto, l'infortunio era da ascrivere esclusivamente "al gesto inconsulto ed imprevedibile del lavoratore il quale, con ogni probabilità, si era messo a togliere con le mani gli sfridi di legno in prossimità della lama quando questa era in rotazione".

La Corte ha cassato la sentenza di merito, per non avere dato il giusto rilievo a due circostanze di fatto: la qualifica di apprendista rivestita dall'infortunato, e il grado di particolare pericolosità della macchina cui il primo era addetto da pochissimi giorni, dotata di lama rotante.

In quello esaminato da Cass. sez. lav., 12 gennaio 2002, n. 326 si è trattato di un apprendista caduto dal solaio di un'abitazione in costruzione, ultimata nel rustico, intento a disarmare una tavola posta alla base dell'architrave della finestra. Il giudice di merito aveva condannato, in entrambi i gradi, il datore di lavoro, nonostante la sua difesa essersi trattato di una iniziativa personale dell'infortunato, ritenendo la imprevedibilità del comportamento dell'apprendista non sufficiente ad escludere o limitare l'obbligo di controllo e vigilanza del datore di lavoro.

Qui la Corte ha avuto gioco facile, perché si è limitata a ribadire che è corretto il principio di diritto posto a base della sentenza impugnata, e cioè che il dovere di sicurezza a carico del datore di lavoro, a norma dell'art. 2087 c.c., è particolarmente intenso nei confronti del lavoratore di giovane età e professionalmente inesperto che sia addetto ad una lavorazione di particolare pericolosità, qual è sicuramente il lavoro ad altezza dal suolo. Ha riconosciuto che il comportamento abnorme ed imprevedibile del lavoratore esclude la responsabilità del datore di lavoro, ma ha precisato, ed in ciò è il valore aggiunto della pronuncia, che anche questi caratteri vanno valutati in rapporto all'esperienza lavorativa del dipendente.

Anche nella fattispecie esaminata da Cass. sez. lav., 18 maggio 2007, n. 11622 si tratta di una iniziativa dell'apprendista, che si è infortunato nell'atto di aiutare due operai esperti a collocare una pesante lastra di marmo sul banco di lavoro.

Anche qui il datore di lavoro era stato assolto dalla domanda del lavoratore in primo e secondo grado, sul rilievo che egli non aveva violato alcuna norma positiva antinfortunistica e che l'infortunio si era verificato per iniziativa dell'apprendista.

Anche qui la Corte ha cassato la sentenza di merito, sulla base di due valutazioni: a) il particolare obbligo di sicurezza nei confronti dell'apprendista, b) che l'iniziativa di aiutare gli altri operai non costituisce atto abnorme ed imprevedibile.

Questi principi sono ribaditi infine da Cass. civ., sez. III, 24 gennaio 2012, n. 944, notevole per due affermazioni ed un rilievo: l'accertato rispetto delle norme antinfortunistiche non esonera il datore di lavoro dall'onere di provare di aver adottato tutte le cautele necessarie ad impedire il verificarsi dell'evento; ciò vale in particolare per i compiti dell'apprendista, relativamente alle istruzioni impartitegli, all'informazione e formazione sui rischi nelle lavorazioni, atteggiandosi detto dovere in maniera particolarmente intensa nei confronti dei lavoratori di giovane età e professionalmente inesperti; questa sentenza è della III sez. civile, a riprova dell'unicità di indirizzo della Corte.

Tra le diverse pronunce penali, si può ricordare Cass. pen., sez. IV, 17 febbraio 2009 n. 15009, che ha confermato la sentenza di merito che aveva condannato per omicidio colposo il dipendente con ruolo di formatore, che aveva consentito ad un apprendista quindicenne la guida di un carrello elevatore, contro il divieto dell'art. 6, co. 1, L. 977/1967, ribaltatosi in curva, provocando la morte del giovane guidatore.

Modifica delle mansioni

L'art. 3 D.Lgs. 81/2015 ha dettato il nuovo testo sostitutivo dell'art. 2103 c.c. sul mutamento di mansioni, prevedendo una maggiore flessibilità sui seguenti punti:

  • possibilità di adibizione, anziché a mansioni equivalenti, a mansioni riconducibili allo stesso livello e categoria legale di inquadramento (comma 1);
  • possibilità di assegnare i lavoratori a mansioni appartenenti al livello di inquadramento inferiore, purché rientranti nella medesima categoria legale, in caso di modifica degli assetti organizzativi aziendali (comma 2);
  • i contratti collettivi possono prevedere ulteriori ipotesi di assegnazioni a mansioni appartenenti al livello di inquadramento inferiore (comma 4);
  • l'assegnazione a mansioni superiori diviene definitiva dopo sei mesi continuativi.

In ogni caso di mutamento di mansioni il datore di lavoro deve assolvere, quando necessario, all'obbligo formativo e addestrativo rispetto alle nuove mansioni.

Il mancato assolvimento di tale obbligo non determina la nullità dell'atto di assegnazione (comma 3), ma può comportare le sanzioni previste dall'art. 55 D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81 congiuntamente per il datore di lavoro ed il preposto, come modificato dall'art. 20 D.Lgs. n. 151/2015.

Gli obblighi formativi del datore di lavoro nei confronti dei lavoratori e dei loro rappresentanti sono disciplinati nell'art. 37 D.Lgs. n. 81/2008.

L'art. 55 non sanziona espressamente la violazione dell'art. 37, ma alla lettera e) commina l'arresto da quattro a otto mesi o l'ammenda da 2.000 a 4.000 euro per la violazione dell'art. 18, co. 1, lett. l), che a sua volta riguarda gli obblighi di informazione, formazione e addestramento di cui agli artt. 36 e 37.

L'art. 20 D.Lgs. 14 settembre 2015, n. 151 ha aggiunto all'art. 55 D.Lgs.n. 81/2008 un co. 6-bis, che aumenta le sanzioni pecuniarie per violazione dell'art. 37, nel caso di pluralità di lavoratori.

La violazione dell'obbligo formativo potrebbe legittimare i lavoratori alla eccezione di inadempimento ex art. 1460 c.c.

Conclusioni

Tutto quanto abbiamo detto finora può sembrare eccessivamente rigoroso, e tale da sconfinare nella responsabilità oggettiva. Esso però non è dettato da un atteggiamento vetero ideologico, punitivo nei confronti del bieco padrone.

Se si pone mente all'enorme numero di infortuni che affliggono i lavoratori autonomi, e i c.d. padroncini, si deve concludere che alla base del fenomeno infortunistico vi è un problema culturale di sottovalutazione dei rischi, comune a tutte le tipologie lavorative, subordinate o autonome, ed anche piccolo-imprenditoriali, che occorre combattere con grande attenzione ed impegno.

Guida all'approfondimento

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Sommario