Consulente inadempiente: condanna al risarcimento del danno

La Redazione
23 Settembre 2017

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 21463 del 19 settembre, ha condannato un Consulente del Lavoro a risarcire la società in cui prestava servizio per il danno causatole da alcune attività da lui svolte ma non richieste, con particolare riferimento al mancato tempestivo licenziamento di tre dipendenti in Cassa Integrazione.

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 21463 del 19 settembre scorso, ha condannato un Consulente del Lavoro al risarcimento del danno causato alla società in cui lavorava e scaturente dall'effettuazione di alcune attività non richieste, e della cattiva gestione dei rapporti di lavoro con tre dipendenti.

Il provvedimento della Suprema Corte qui in esame originava dall'opposizione ad un Decreto ingiuntivo emesso nei confronti di una società e contenente l'ordine di remunerare un Consulente del Lavoro per le proprie attività professionali: l'opponente sosteneva di aver subìto un pregiudizio dal Consulente, derivante maggiormente dalla cattiva gestione dei rapporti di lavoro con tre dipendenti, e perciò chiedeva il risarcimento del danno. Il Tribunale di primo grado revocava il decreto ingiuntivo ma condannava comunque la società al pagamento della parcella del Consulente, negando qualsiasi risarcimento del danno per mancanza di prove della responsabilità del professionista; la Corte di Appello, investita dal ricorso della società, condannava invece il Consulente al risarcimento del danno (ritenendolo colpevole al 50% con la società della cattiva gestione del rapporto di lavoro con tre dipendenti) e, contestualmente, la società al pagamento delle prestazioni eseguite prima della scadenza del termine contrattuale, ma in misura minore rispetto a quanto richiesto dal professionista.

La Cassazione ha ritenuto sussistente, come già l'Appello, la corresponsabilità della società e del Consulente per il mancato tempestivo licenziamento dei lavoratori in Cassa Integrazione.

Anche il secondo motivo oggetto del ricorso, vertente sull'ammontare delle prestazioni già riconosciute in Appello solo in parte, è stato ritenuto infondato dalla Suprema Corte: per ciò che riguarda le prestazioni presenti in parcella ma non realmente effettuate, i giudici di ultima istanza hanno confermato la ricostruzione della Corte di merito che aveva osservato come non dovesse attribuirsi rilievo né alle prestazioni svolte dopo la scadenza del termine contrattuale, in assenza di proroga di tale termine, né a quelle indicate dal Consulente in parcella ma non effettivamente svolte.

Per questi motivi, la Cassazione ha rigettato il ricorso.

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