Conciliazione dei tempi di vita e di lavoro e utilizzo frazionato dei congedi parentali in prossimità di domenica, festività e sabato non lavorato
Gabriele Livi
24 Aprile 2015
L'utilizzo frazionato dei congedi parentali ha ingenerato varie problematiche applicative, oggetto anche di verifica giudiziale fra cui l'ipotesi in cui il ricorso all'uso frazionato da parte del titolare (limitato alle giornate lavorative) persegue l'obiettivo di non imputare a congedo parentale i sabati (quando non lavorativi) e le domeniche e le altre festività, i quali ricadono invece senz'altro nel computo del periodo di spettanza nel caso di utilizzo continuativo del congedo. L'Autore illustra la tematica proponendo il quadro normativo per soffermarsi poi sulla giurisprudenza.
Introduzione
Nella legislazione attuale la flessibilità di utilizzo dei congedi parentali si realizza con il riconoscimento della frazionabilità del periodo complessivo in periodi più brevi, nel rispetto dell'unità minima fruibile pari, di regola, a una giornata lavorativa. Attraverso tale flessibilità, i genitori – per una durata cumulativa massima di 10 mesi (11 in determinati casi) – possono al meglio soddisfare le necessità connesse allo svolgimento rapporto genitoriale, nelle sue varie implicazioni, nel periodo che va dai primi mesi di vita del figlio sino alla sua prima fanciullezza (otto anni di età). Giuridicamente, il congedo parentale, anche frazionato, configura un diritto potestativo del lavoratore, cui corrisponde una situazione di soggezione del datore di lavoro, salvo in ogni caso il rispetto dei termini e delle modalità di preavviso di fruizione, ai sensi di legge e della contrattazione collettiva. L'attribuzione di un diritto potestativo sta a significare che il legislatore riconosce, in questo caso particolare, la rilevanza preminente delle esigenze connesse allo svolgimento di uno dei rapporti fondamentali dell'essere umano, la relazione genitore/figlio. Nella pratica applicativa l'utilizzo frazionato dei congedi parentali ha ingenerato varie problematiche applicative, oggetto anche di verifica giudiziale; fra queste, l'ipotesi in cui il ricorso all'uso frazionato da parte del titolare (limitato alle giornate lavorative) persegua l'obiettivo di non imputare a congedo parentale i sabati (quando non lavorativi) e le domeniche e le altre festività, i quali ricadono invece senz'altro nel computo del periodo di spettanza nel caso di utilizzo continuativo del congedo.
Il quadro normativo
Nell'ambito del lavoro subordinato, i congedi parentali rappresentano lo strumento più duttile che la legislazione di tutela mette a disposizione del genitore lavoratore con riguardo a ciascun figlio: attraverso l'utilizzo del congedo possono essere soddisfatte le molteplici esigenze di cura e assistenza del minore nel corso di questo delicato e importante periodo della sua vita.
Rispetto alla precedente legislazione del 1971 (l. n. 1204) che considerava il congedo parentale, allora denominato astensione facoltativa, appannaggio della madre, fruibile entro il primo anno di vita del bambino, la riforma attuata negli anni duemila (l. n. 53/2000 confluita nel T.U. unico n. 151/2001, art. 32 e ss.) ha come noto riconsiderato in radice diversi, fondamentali aspetti della materia quali la titolarità del diritto; la durata e i limiti temporali di fruizione; il trattamento economico e i criteri di esercizio del diritto.
Titolarità e durata
Quanto alla titolarità del diritto, in un'ottica di condivisione delle responsabilità nell'ambito familiare ed extra familiare, le posizioni giuridiche dei genitori sono poste su uno stesso piano e sia la madre che il padre risultano oggi titolari di un diritto autonomo e concorrente al congedo parentale, riferito a un plafond individuale, e complessivo comune. La legislazione del 1971 – omogenea a un diritto di famiglia ancora ispirato a una rigida divisione di ruoli e supremazia maritale (la riforma del diritto di famiglia datata infatti 1975) – prevedeva invece che il diritto ai congedi del padre avesse carattere meramente derivato e suppletivo, azionabile solo in caso di impossibilità della madre o sua rinuncia.
In ordine alla duratae ai limiti temporali di fruizione del diritto a congedi, gli aspetti da considerare sono, da una parte, il “limite esterno”, cioè l'arco temporale che va dalla nascita sino agli 8 anni di vita del bambino, che rappresenta l'intervallo entro cui il diritto al congedo sussiste e può essere esercitato (nel caso di adozione o affidamento, si fa riferimento a un periodo di 8 anni a prescindere dall'età, dall'ingresso del minore nel nucleo familiare e entro il limite della maggiore età); d'altra parte, il “limite interno”, cioè il periodo di durata del congedo, pari a 6 mesi massimi per ciascun genitore, all'interno di un periodo complessivo di coppia di 10 mesi, che diviene di 11 se il padre utilizza almeno 3 mesi di congedo (nel qual caso il padre stesso può addirittura beneficiare di 7 mesi, nel limite degli 11 complessivi).
Trattamento economico e criteri di esercizio: la frazionabilità ovvero utilizzo del congedo anche a singole giornate
L'indennizzo al 30%, confermato dalla riforma, spetta per 6/10 (sei decimi) del periodo complessivo a condizione che la fruizione di detto semestre abbia luogo nei primi 3 anni di vita del bambino (se, per ipotesi, sino al 3° anno di vita del bambino i genitori non utilizzino permessi, rimane sì la disponibilità dei previsti complessivi 10 mesi, con i consueti limiti individuali, ma nessuna indennità è dovuta). L'indennizzo al 30% per un semestre è complessivo per i due genitori.
In ordine ai criteri di esercizio, il genitore deve preavvisare il datore di lavoro con almeno 15 giorni di anticipo, salvo i casi di oggettiva impossibilità. Modalità e criteri del preavviso possono essere precisati dalla contrattazione collettiva.
Quanto alla frazionabilità del congedo parentale, già prima della normativa attuale era ammessa dal D.P.R. n. 1026 del 1976 (di attuazione della legge allora in vigore l. n. 1204/1971), ma è soprattutto nella vigenza della legislazione riformata dalla l. n. 53 del 2000 e dal D.lgs. n. 151 del 2001 che sono venute in evidenza problematiche applicative sugli effetti dell'uso frazionato a seconda delle modalità nel concreto praticate.
Le flessibilità di utilizzo dei congedi parentali
Con il ricorso all'uso frazionato dei permessi, cioè a giornate, il lavoratore spesso intende massimizzare le possibilità di impiego dei permessi stessi, in modo cioè da escludere, dall'imputazione a congedo parentale, i sabati (quando non lavorativi) e le domeniche e le altre festività, che verrebbero ascritti alla riferita causale di assenza dal lavoro nel caso di utilizzo continuativo.
Per esempio, mentre l'utilizzazione continuativa di congedo parentale per tutto il mese di maggio significa, per il dipendente, dover detrarre, dal suo plafond complessivo, i 31 giorni del mese compresi i sabati, le domeniche e la festività del 1° maggio, tale effetto può non prodursi nel caso di ricorso a un uso frazionato, limitato alle giornate lavorative.
Si è posto quindi il problema dei criteri di computo delle giornate di congedo, nell'ipotesi in cui il dipendente richieda la fruizione di più periodi di congedo in prossimità dei giorni di riposo settimanale (sabato non lavorato e domenica) e di festività.
Il punto di partenza per l'esame della fattispecie è, come accennato, l'art. 32 , comma 1, lett. a), b) e c) del D.lgs. n. 151 del 2001 che però si limita a riconoscere la facoltà di utilizzo, oltre che continuativo, frazionato del congedo.
Al riguardo, è anzitutto pacifico, come visto, che in caso di utilizzo continuativo del congedo vi ricadono – nel senso di essere computati come giorni di congedo - anche i sabati non lavorati, le domeniche e i festivi ricompresi nel periodo: ciò in applicazione delle regole generali sul computo dei termini ex art. 2962 e 2963 c.c. e anche alla luce della interpretazione della fattispecie, analoga, del computo del comporto c.d. secco di malattia.
I problemi applicativi e le indicazioni dell'Inps
La questione è più complessa nell'ipotesi di giornate di congedo frazionato: al riguardo, si è dubitato se la loro contiguità con i sabati, le domeniche e le altre festività eserciti una vis attractiva nel senso di una conseguente imputazione anche di tali giorni a congedo parentale. Il tema è stato in passato portato all'attenzione dei giudici (Cass. n. 6742/2012; Cass. n. 6856/2012 su cui vedi oltre) ed ha anche formato oggetto di disposizioni applicative dell'Inps, volte a rendere certi e univoci criteri e durata di fruizione dei permessi in parola (messaggio 25 ottobre 2006, n. 28379; messaggio 18 ottobre 2011, n. 19772).
Ai sensi delle indicazioni previdenziali, la regola da seguire è quella secondo cui in caso di congedi parentali fruiti a cavallo di due o più settimane (o di festività) sono considerati congedo anche i giorni di sabato, domenica (e la festività); tale effetto è invece escluso in caso di attività lavorativa nella giornata immediatamente antecedente o in quella immediatamente successiva alla festività (o al sabato) e, nel contempo, congedo nell'altra: così per esempio, nel caso in cui il lavoratore fruisca di congedo il venerdì e il lunedì successivo, anche sabato e domenica vengono imputati a titolo di congedo; ciò che non succede se il congedo sia solo il lunedì o il venerdì (ovviamente in caso di sabato non lavorato), mentre il venerdì o, rispettivamente, il lunedì sia lavorato.
Nello stesso ordine di idee, nel caso in cui l'interessato fruisca del congedo da lunedì a giovedì e torni a lavorare il venerdì, riprendendo poi il congedo il lunedì successivo (e così via nelle settimane successive), il sabato e la domenica non vengono imputati a congedo: per effetto della “ripresa” dell'attività lavorativa nella giornata di venerdì, la continuità di fruizione del congedo viene meno e quindi anche la “ascrivibilità a congedo” di tali giornate. Né il datore di lavoro – alla luce della attuale prassi in materia, validata dalla giurisprudenza e dalle istruzioni previdenziali – sembra potersi opporre a tale soluzione, per esempio lamentando che un utilizzo siffatto costituisca una forma di abuso del diritto.
Un'ulteriore complessità della vicenda si ha nel caso in cui, in concomitanza del congedo e delle menzionate giornate di riposo (o non lavoro) settimanale, si abbia anche fruizione di ferie.
Al riguardo, l'Inps ha evidenziato che le ferie non sono, di regola, riconducibili e assimilabili alla “ripresa dell'attività”, con la conseguenza che se le frazioni di congedo si susseguono in modo continuativo, intervallate soltanto da ferie, i giorni festivi e i sabati sono conteggiati come giorni di congedo parentale.
Si consideri, in tal senso, il caso del lavoratore che è in congedo dal lunedì al giovedì, prende una giornata di ferie il venerdì e riinizia il congedo parentale il lunedì successivo: in tal caso, anche i sabati e le domeniche sono assorbiti nel periodo di congedo parentale, proprio perché, come detto, le ferie non rappresentano una ripresa dell'attività lavorativa.
A tale regola fa eccezione, ai sensi delle indicazioni applicative dell'Inps, un unico caso, quello in cui - all'interno di un più ampio periodo di congedo parentale - si abbia fruizione di giorni di ferie sia nel giorno immediatamente prima che in quello immediatamente dopo il week-end (o immediatamente prima e dopo una festività). In tal senso, si consideri il caso di congedo parentale il giovedì e di ferie il venerdì e il lunedì successivo, con ripresa del congedo il martedì: in questa ipotesi, per quanto detto, il sabato e la domenica non si “convertono” in congedo.
La giurisprudenza
La più significativa sentenza di legittimità intervenuta in materia, è Cass. n. 6856 del 2012 relativa proprio a un caso di utilizzo per quattro giorni a settimana del congedo, dal lunedì al giovedì, con rientro al lavoro il quinto giorno (venerdì) e ripresa di fruizione del congedo a partire al lunedì successivo e così di seguito.
Il ricorso al giudice della lavoratrice interessata era correlato all'avvenuto conteggio, da parte del datore di lavoro, delle giornate del fine settimana nel periodo di congedo parentale: la ricorrente lamentava in pratica la, a suo dire ingiustificata, sottrazione di due giorni di congedo a settimana. La difesa della azienda si basava sul rilievo che la soluzione volta a escludere il conteggio nel permesso, delle giornate del week-end, vanifica la regola generale del computo di tali giornate quando siano ricadenti nel periodo di congedo e, d'altra parte, determina una incongrua e iniqua diversità di regime fra l'ipotesi considerata e quella del congedo fruito in altra giornata lavorativa della settimana, diversa dal venerdì (e ovviamente dal lunedì).
Dopo alterne vicende nei due gradi di merito, la Cassazione ritiene che la normativa in materia sia da intendere nel senso che i sabati e le domeniche vadano esclusi dal congedo quando non ricompresi in una frazione di congedo parentale unitariamente fruita (unitarietà di fruizione che, come visto, si ha invece nel caso in cui sia il venerdì e il lunedì successivo siano di congedo, o anche nel caso in cui l'uno o l'altro di tali giorni – ma non entrambe – siano imputati a ferie). La Cassazione esclude poi la asserita incongruenza e iniquità di tale soluzione, posto che “sebbene la scelta del lavoratore di fruire del congedo frazionato rientrando al lavoro in un giorno settimanale diverso dal venerdì … comporti un trattamento sicuramente peggiorativo, tale scelta è liberamente rimessa allo stesso, che la esercita consapevolmente nell'ambito delle predefinite modalità di fruizione”.
In conclusione
Le problematiche connesse all'uso frazionato dei congedi parentali potranno richiedere una nuova verifica alla luce delle evoluzioni che si avranno per effetto degli interventi riformatori promossi con il c.d. Jobs Act.
È noto al riguardo che legge n. 183 del 2014 delega il Governo a intervenire, fra l'altro, in materia di tutela e conciliazione delle esigenze di cura, vita e lavoro dei lavoratori, materia alla quale sono dedicati i commi 8 e 9 dell'art. 1, che definiscono i relativi principi e criteri di delega. Fra i parametri considerati da tali norme rileva, in questa sede, il riferimento alla “… ricognizione delle disposizioni in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità ai fini di poterne valutare la revisione per garantire una maggiore flessibilità dei relativi congedi obbligatori e parentali, favorendo le opportunità di conciliazione dei tempi di vita e di lavoro, anche tenuto conto della funzionalità organizzativa all'interno delle imprese” (lettera g).
La delega in materia di conciliazione dei tempi di vita e lavoro è al momento in corso di attuazione: proprio in questi giorni è al vaglio del Parlamento lo schema di decreto legislativo approvato dal Consiglio dei ministri del 20 febbraio scorso; ciascuna delle due Camere è tenuta a rendere in proposito un proprio parere e eventuali proposte di modifica (si tratta tuttavia di parere non vincolante per il Governo).
Fra gli aspetti salienti, lo schema di decreto legislativo prevede, all'art. 7, non solo che il diritto a congedo parentale possa essere fruito sino ai 12 anni di età del minore, in luogo degli attuali otto anni, ma anche che l'unità di misura standard per l'utilizzo frazionato non sia più la giornata lavorativa, ma quella oraria. In tal senso è stabilito che “in caso di mancata regolamentazione, da parte della contrattazione collettiva anche di livello aziendale, delle modalità di fruizione del congedo parentale su base oraria, ciascun genitore può scegliere tra la fruizione giornaliera e quella oraria. La fruizione su base oraria è consentita in misura pari alla metà dell'orario medio giornaliero del periodo di paga quadrisettimanale o mensile immediatamente precedente a quello nel corso del quale ha inizio il congedo parentale”.
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Trattamento economico e criteri di esercizio: la frazionabilità ovvero utilizzo del congedo anche a singole giornate