Licenziamento per GMO e scelte organizzative del datore di lavoro

La Redazione
27 Febbraio 2017

La Cassazione, con sentenza del 15 febbraio 2017, n. 4015, conferma l'orientamento espresso lo scorso dicembre dai giudici di legittimità sulla nozione di GMO e limiti al sindacato giudiziale in un caso di licenziamento per riduzione del personale assegnato al settore commerciale, a causa di presunte difficoltà di mercato e finanziarie.

La Cassazione, con sentenza del 15 febbraio 2017, n. 4015, conferma l'orientamento espresso lo scorso dicembre dai giudici di legittimità sulla nozione di GMO e limiti al sindacato giudiziale in un caso di licenziamento per riduzione del personale assegnato al settore commerciale, a causa di presunte difficoltà di mercato e finanziarie.

Il Collegio, infatti, riprende e sintetizza Cass. n. 25201/2016 che, allontanandosi dalle precedenti decisioni in materia, ha valorizzato una lettura dell'art. 3, L. n. 604/1966 che non consente di restringere l'ambito di legittimità del licenziamento alle sole ipotesi in cui risulti accertata una crisi di impresa: la scelta imprenditoriale di ridurre la dimensione occupazionale può essere motivata anche da finalità che prescindano da situazioni sfavorevoli e che perseguano una migliore efficienza gestionale o ad un incremento della redditività dell'impresa.

In tali casi, precisa la Corte, il licenziamento per GMO non è assimilabile ad un recesso ad nutum in quanto risulta sempre necessario:

  • che la riorganizzazione aziendale sia effettiva,
  • che si ricolleghi causalmente alla ragione dichiarata dall'imprenditore,
  • che il licenziamento si ponga in termini di riferibilità e di coerenza rispetto all'operata ristrutturazione.

Al contrario, non è giustificato il recesso motivato indicando l'esigenza di far fronte a situazioni economiche sfavorevoli ovvero a spese notevoli di carattere straordinario, qualora in giudizio si accerti, sulla base di una valutazione in concreto sulla mancanza di veridicità e sulla pretestuosità della causale addotta dall'imprenditore, che la ragione richiamata non sussiste.

Nel caso di specie, la Cassazione ritiene che le conclusioni della Corte d'Appello non contrastino con tali principi di diritto: valutate le risultanze istruttorie, i giudici della Corte territoriale hanno ritenuto di dover escludere la veridicità della causale indicata dall'imprenditore, non avendo questi provato le motivazioni del recesso dichiarate.

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