Pubblico impiego: il lavoratore in distacco sindacale non ha diritto al buono pasto
27 Ottobre 2015
Massima
Il valore del cd. buono pasto non costituisce elemento della retribuzione concretandosi piuttosto in un'agevolazione di carattere assistenziale collegata al rapporto di lavoro da un nesso meramente occasionale. Pertanto esso non rientra nel trattamento economico garantito dall'art. 5 del Contratto Collettivo Nazionale Quadro del 7 agosto 1998 al pubblico dipendente che si avvalga del distacco sindacale, anche a ragione dell'impossibilità di esercitare un'attività di controllo da parte dell'Amministrazione e l'assenza di un orario di lavoro prestabilito presso il distaccatario. Il caso
Tizia, dipendente dell'amministrazione Alfa in distacco sindacale ai sensi dell'art. 5 del CCNQ del 7 agosto 1998, citava in giudizio davanti al Tribunale la suddetta amministrazione, per vedersi riconoscere i buoni pasto non corrisposti dal proprio datore di lavoro a seguito del distacco sindacale medesimo. La sentenza di accoglimento, impugnata dall'amministrazione, veniva confermata dalla Corte d'appello di Milano.
Secondo i giudici di merito, infatti, il diritto ai buoni pasto rientra tra quelli riconosciuti al lavoratore in distacco sindacale in base alla disciplina dell'art. 5 del CCNQ del 7 agosto 1998. In particolare, quest'ultima disposizione riconosce al lavoratore in distacco sindacale il diritto al mantenimento della retribuzione di cui all'art. 17 del medesimo CCNQ che, in assenza di una specifica disciplina di comparto, richiama l'art. 7, comma 2, del CCNL quadro transitorio 26 maggio 1997 il quale prevede il riconoscimento delle “indennità previste dall'art. 34, comma 2, lett. a) del medesimo contratto”. Quest'ultima disposizione, quindi, riconosce al lavoratore in distacco sindacale il diritto anche alle “quote di retribuzione accessoria aventi carattere di generalità e continuatività”. Proprio sulla base di tale riferimento normativo, secondo i giudici di merito, spettano al lavoratore in distacco sindacale anche i buoni pasto poiché essi rientrano nel trattamento economico complessivo ed, in particolare, nella retribuzione accessoria avente carattere di generalità e continuatività. Infine, non costituirebbe un limite al riconoscimento del diritto la previsione dell'art. 4, comma 2, dell'accordo per il comparto ministeri del 30 aprile 1996 che prevede l'attribuzione del buono pasto “per la singola giornata lavorativa nella quale il dipendente effettua un orario di lavoro ordinario superiore alle sei ore”. Infatti, secondo i giudici di merito, tale condizione deve essere verificata non sulla base del lavoro effettivo, bensì su quello “ordinario” la cui misura non era stata contestata dall'Amministrazione datrice di lavoro.
Avverso la sentenza della Corte di Appello proponeva ricorso per Cassazione l'Amministrazione denunciando violazione e/o falsa applicazione delle disposizioni citate poiché non solo la normativa non fa riferimento ai buoni pasto, ma anche perché questi ultimi non possono essere qualificati come retribuzione accessoria avente carattere di generalità e continuità. Infine, secondo l'Amministrazione, mancano nel caso di specie i presupposti per il riconoscimento dei buoni pasto in base all'art. 4 dell'accordo del 30 aprile 1996. La questione
Le questioni in esame sono le seguenti: il dipendente pubblico ha diritto al riconoscimento dei buoni pasto da parte dell'Amministrazione di provenienza durante il periodo di distacco presso un organizzazione sindacale? Il buono pasto è qualificabile come retribuzione? Le soluzioni giuridiche
Con la sentenza in commento, la Corte di Cassazione adotta una soluzione interpretativa opposta rispetto a quella dei giudici di merito e conferma, chiarendone la portata, alcuni precedenti resi dalla medesima Corte di Cassazione.
Ciò riguarda in primo luogo proprio la natura dei buoni pasto e se essi siano qualificabili come retribuzione o meno. Citando e confermando alcuni propri precedenti, la Corte di Cassazione nega infatti che il buono pasto sia, di regola, qualificabile come retribuzione. Per i giudici di legittimità il buono pasto va qualificato, invece, come “un'agevolazione di carattere assistenziale” in quanto manca un collegamento causale tra l'utilizzazione della mensa ed il lavoro prestato sussistendo piuttosto “un nesso meramente occasionale”. Tuttavia, secondo la Corte di Cassazione, le parti restano libere di qualificare il buono pasto come parte integrante della retribuzione attraverso specifica disposizione pattizia.
Inoltre, la sentenza in esame rileva come anche lo stesso art. 5 del CCNQ induca ad escludere il diritto ai buoni pasto dal momento che, sebbene la disposizione preveda come regola generale l'equiparazione “a tutti gli effetti al servizio prestato nell'amministrazione” del periodo di distacco sindacale, al contempo la stessa disposizione esclude tale equiparazione ai fini del diritto alle ferie. Secondo la Corte proprio questa esclusione è indicativa dell'impossibilità di procedere all'equiparazione con riferimento a quei diritti che non sono soggetti al controllo dell'amministrazione o per i quali il controllo dell'amministrazione è del tutto impossibile.
La sentenza in esame, poi, supera quanto precedentemente affermato dalla Corte di Cassazione medesima con propria sentenza del 21 luglio 2008, n. 20087. Nella propria pronuncia più risalente, infatti, la Corte, sebbene avesse già affermato con chiarezza la natura assistenziale e non retributiva del buono pasto, aveva invece ammesso che il lavoratore in distacco potesse (e dovesse) provare che la prestazione lavorativa effettivamente resa presso l'organizzazione sindacale distaccataria avesse le caratteristiche di tempo e di durata richieste dall'art. 4 dell'accordo per il comparto ministeri del 30 aprile 1996 (mancata prova che ha determinato il rigetto del ricorso nella fattispecie). Al contrario, la sentenza in esame non dà rilievo alla possibilità per il lavoratore distaccato di provare l'orario di fatto osservato presso l'organizzazione sindacale. Piuttosto, secondo i giudici di legittimità, è necessario che sussistano specifiche disposizioni che impongono un orario compatibile con il riconoscimento dei buoni pasto, così come avviene nel pubblico impiego.
Infine, la Corte di Cassazione adotta un ultimo argomento per escludere il diritto al buono pasto in caso di distacco sindacale. I giudici di legittimità rilevano, infatti, che l'art. 5, comma 3, dell'accordo comparto ministeri per la concessione di buoni pasto del 30 aprile 1996 disciplina anche il caso del dipendente in posizione di comando, distacco o fuori ruolo, escludendo il diritto al buono pasto per i dipendenti in servizio presso amministrazioni pubbliche esterna al comparto. Secondo la sentenza in esame a maggior ragione, quindi, la corresponsione del buono pasto deve essere esclusa in caso di distacco presso un'organizzazione sindacale tanto più che tale ipotesi “non consente alcun controllo sull'orario osservato, al quale, invece, tutti gli altri dipendenti che chiedono il buono pasto sono sottoposti”. Osservazioni
Con la sentenza in commento, la Corte di Cassazione chiarisce alcuni profili della disciplina dei buoni pasto con particolare riferimento alla disciplina applicabile al pubblico impiego e, in particolare, al personale che si trovi in distacco sindacale.
In primo luogo, è opportuno precisare che il distacco sindacale è una disciplina specifica del pubblico impiego che opera quando il dipendente pubblico è chiamato a ricoprire l'incarico di componente in organismi direttivi statutari della propria confederazione o organizzazione sindacale. In tal caso, nel pubblico impiego è previsto che “i periodi di distacco sono equiparati a tutti gli effetti al servizio prestato nell'amministrazione” con diritto al “mantenimento della retribuzione di cui all'art. 17 per tutto il periodo di durata del mandato sindacale” (così art. 5 del D.P.C.M. 27 ottobre 1994, n. 770).
La disciplina del pubblico impiego è, quindi, diversa da quella del settore privato laddove l'art. 31 della Legge n. 300/1970 si limita a riconoscere in favore dei lavoratori chiamati a ricoprire cariche sindacali provinciali e nazionali un periodo di aspettativa non retribuita – talvolta definito “distacco” anche nel settore privato seppure in maniera “atecnica” – per tutta la durata del mandato, prevedendo tuttavia che tale periodo è utile ai fini pensionistici. La questione dei buoni pasto non sembra quindi porsi in nuce nel settore privato, laddove la sussistenza di un periodo di aspettativa non retribuita esclude fin da principio il riconoscimento del buono pasto al lavoratore chiamato a ricoprire l'incarico sindacale.
In ogni caso, le considerazioni espresse dalla Corte di Cassazione con la sentenza in esame acquistano carattere generale, specialmente per quanto riguarda la natura del buono pasto.
Si può, infatti, ormai considerare consolidato l'orientamento interpretativo secondo cui il buono pasto non è parte integrante della retribuzione bensì una misura di carattere assistenziale (oltre alla sentenza in esame cfr. anche Cass. n. 12168/1998; Cass. n. 11212/2003; Cass. n. 14047/2005; Cass. n. 20087/2008). Questa considerazione appare rilevante non solo in ipotesi, come quella del caso di specie, in cui si faccia espresso riferimento alla retribuzione, ma anche quando la retribuzione diviene il parametro per il riconoscimento di istituti indiretti.
Evidentemente un ruolo importante è riconosciuto anche dalla sentenza in esame all'autonomia privata, sia essa individuale o collettiva, mentre appare opportuno tenere distinti i profili fiscali e contributivi che seguono, invece, la disciplina specifica di cui all'art. 51, comma 2, lett. c) del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917. Disciplina quest'ultima che, a seguito delle recenti modifiche apportate dalla legge di stabilità (legge n. 190/2014), prevede la non assoggettabilità ad oneri fiscali e previdenziali dei buoni pasto con importo fino a 5,29 euro, elevato a 7 euro nel caso in cui il buono pasto sia in formato elettronico.
Infine, tornando specificamente alla fattispecie affrontata dalla sentenza in esame, interessanti sono le considerazioni che la stessa svolge con riferimento all'onere della prova e alla possibilità per l'Amministrazione di esercitare un potere di controllo. I rilievi svolti dalla Corte di Cassazione sotto questi profili risultano assorbenti al fine di escludere definitivamente il diritto al buono pasto per i lavoratori in distacco sindacale. Da un lato, infatti, la sentenza pone più volte l'accento sull'impossibilità per l'Amministrazione di effettuare un'attività di controllo sull'orario di lavoro osservato dal dipendente pubblico distaccato presso l'organizzazione sindacale. Dall'altro lato, superando quanto invece sostenuto dalla precedente sentenza n. 20087/2008, ha escluso che il lavoratore in distacco possa provare “in concreto” di svolgere presso l'organizzazione sindacale un orario avente le caratteristiche richieste dall'art. 4 dell'accordo del 30 aprile 1996.
Risulta evidente, quindi, che a giudizio della Corte di Cassazione sussiste un'incompatibilità profonda tra il distacco e la fruizione dei buoni pasto dal momento che la sussistenza dei requisiti di orario prescritti dall'accordo non può essere verificata né durante il distacco, né ex post.
D'altra parte, conclude la Corte, se l'obbligo di corresponsione del buono pasto viene meno – in base all'art. 5 dell'accordo 30 aprile 1996 – qualora il dipendente ministeriale presti servizio presso amministrazioni pubbliche esterne al comparto (restando semmai in capo a queste ultime l'obbligo di riconoscere i buoni pasto), a maggior ragione l'esclusione opererà quando il dipendente svolga la propria attività in favore dell'organizzazione sindacale presso cui è distaccato.
In definitiva, escludendo il diritto ai buoni pasto, la Corte di Cassazione attua un principio di effettività, non essendo l'Amministrazione nelle condizioni di poter concretamente verificare la sussistenza dei requisiti che giustificano il rilascio dei buoni stessi. Effettività che non sembra comunque intaccare nella sostanza il principio, dal carattere fortemente promozionale, dell'equiparazione dei periodi di distacco sindacale a quelli di effettivo servizio prestati in favore dell'amministrazione. |