OTD: retribuzione di riferimento per il calcolo delle prestazioni previdenziali
29 Settembre 2015
Massima
La retribuzione di riferimento per il calcolo delle prestazioni previdenziali a favore dei lavoratori agricoli a tempo determinato è costituito dal salario agricolo medio rilevato ogni anno per ciascuna provincia ai sensi dell'art. 3, comma 2, Legge 8 agosto 1972 n. 457. Il caso
La Sig.ra M.P.M., dopo aver lavorato come operaia agricola a tempo determinato nell'anno 2011, ha presentato all'INPS domanda per il riconoscimento del suo diritto all'indennità di disoccupazione correlata all'attività lavorativa svolta. L'Istituto ha liquidato la prestazione richiesta calcolandola, però, su una retribuzione inferiore al c.d. salario agricolo medio rilevato ogni anno per ciascuna provincia per come risultante dal D.M. di rilevazione corrispondente. La questione
La sentenza che si commenta affronta la problematica relativa all'applicabilità, attuale, del salario agricolo medio come retribuzione di riferimento per il calcolo dell'indennità di disoccupazione a favore dei lavoratori agricoli a tempo determinato. Attraverso l'esame sistematico della normativa di rifermento, si afferma che la retribuzione minimale da considerare per la liquidazione della prestazione (indennità di disoccupazione) debba essere rappresentata dall'indicato salario medio convenzionale. Le soluzioni giuridiche
L'individuazione della retribuzione di riferimento per il calcolo delle prestazioni previdenziali a favore dei lavoratori agricoli a tempo determinato è stata oggetto di diversi interventi legislativi che hanno creato non pochi problemi interpretativi.
Originariamente, il minimale contributivo applicabile ai giornalieri di campagna era individuato dal c.d. salario agricolo medio “costituito dalla media tra le retribuzioni per le diverse qualifiche previste dai contratti collettivi provinciali di lavoro vigenti al 30 ottobre di ogni anno” (arg. ex art. 3 comma 2 L. n. 457/72). L'indicato parametro è rimasto invariato fino a che il legislatore, con l'intenzione di ricondurre la disciplina prevista per gli OTD nell'alveo della regolamentazione generale prevista per tutti i lavoratori dipendenti, non ha modificato il sistema prevedendo (art. 4 D.Lgs. n. 146/97) che a decorrere dal 1° gennaio 1998 il salario medio convenzionale rilevato nel 1995 “resta fermo, ai fini della contribuzione e delle prestazioni temporanee, fino a quando il suo importo per le singole qualifiche degli operai agricoli non sia superato da quello spettante nelle singole province in applicazione dei contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative. A decorrere da tale momento trova applicazione l'art. 1 comma 1 del D.L. 9 ottobre 1989, n. 338, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 dicembre 1989, n, 389, e successive modificazioni ed integrazioni.” Sull'argomento, il legislatore è di nuovo intervenuto con l'art. 1 commi 4 e 5 del D.L. n. 2/2006 convertito, con modificazioni, in legge 11 marzo 2006, n. 81, disponendo che “A decorrere dal 1° gennaio 2006, la retribuzione imponibile per il calcolo dei contributi agricoli unificati, dovuti per tutte le categorie di lavoratori agricoli a tempo determinato e indeterminato, è quella indicata all'articolo 1, comma 1, del D.L. 9 ottobre 1989, n. 338, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 dicembre 1989, n. 389. La retribuzione di cui al comma 4, con la medesima decorrenza ivi prevista, vale anche ai fini dei calcolo delle prestazioni temporanee in favore degli operai agricoli a tempo determinato.”
È da ricordare, a questo punto, che, secondo il disposto del citato art. 1 comma 1 D.L. n. 338/89, la retribuzione da assumere come base per il calcolo dei contributi di previdenza e di assistenza sociale non può essere inferiore all'importo delle retribuzioni stabilito da leggi, regolamenti, contratti collettivi, stipulati dalle organizzazioni sindacali più rappresentative su base nazionale, ovvero da accordi collettivi o contratti individuali, qualora ne derivi una retribuzione di importo superiore a quello previsto dal contratto collettivo.
Come ben si vede, la norma testé indicata, riguardante la generalità dei lavoratori subordinati, prevede un uso graduale della retribuzione di riferimento ai fini contributivi e previdenziali fissando il principio secondo il quale l'importo da prendere a base agli indicati fini è prioritariamente quello stabilito in leggi, regolamenti, contratti collettivi. Qualora eventuali accordi collettivi o individuali dovessero fissare un importo maggiore, si dovrà tenere conto di quest'ultimo e non del primo parametro.
Successivamente il menzionato comma 4 dell'art. 1 D.L. n. 2/2006 è stato autenticamente interpretato dall'art. 1 comma 786 della legge n. 296/2006 secondo il quale l'indicata disposizione va interpretata nel senso che “per i soggetti di cui all'articolo 8 della legge 12 marzo 1968, n. 334, e per gli iscritti alla gestione dei coltivatori diretti, coloni e mezzadri continuano a trovare applicazione le disposizioni recate dall'articolo 28 del Decreto del Presidente della Repubblica 27 aprile 1968, n. 488, e dall'articolo 7 della legge 2 agosto 1990, n. 233”.
Alcuna delle disposizioni finora descritte ha abrogato esplicitamente né, tantomeno, implicitamente l'art. 3 della legge n. 457/72. Essa, pertanto, è da scrivere tra le leggi cui l' art. 1 comma 1 D.L. n. 338/89 rimanda ai fini della individuazione del salario di riferimento. Osservazioni
La disposizione contenuta nell'art. 1 comma 4 D.L. n. 2/2006 appare di fondamentale importanza al fine di verificare la portata della modifica contenuta nel richiamato art. 1 comma 4 D.L. n. 2/2006. In effetti, l'uso della formala dell'interpretazione autentica porta a ritenere, da un lato, che tra le categorie dei lavoratori agricoli di cui alla disposizione da ultimo citata sono da ricomprendere anche i soggetti di cui all'art. 8 L. n. 334/68 nonché i coltivatori diretti, coloni e mezzadri e, dall'altro, che per tutti i lavoratori agricoli (compresi quelli a tempo determinato) deve trovare applicazione il salario agricolo medio in quanto lo stesso è da ritenersi “importo delle retribuzioni stabilito da leggi” ai sensi dell'art. 1 D.L. n. 338/89.
Sul punto dirimente appare l'uso della formula della interpretazione autentica usata dal legislatore del 2006. Tale formula, infatti, può essere usata soltanto nelle ipotesi in cui l'interpretazione contenuta nella norma interpretativa costituisce una delle interpretazioni possibili della norma interpretata. Di conseguenza, se il legislatore avesse ritenuto che il salario agricolo medio non poteva trovare più applicazione dopo la modifica contenuta nel comma 4 dell'art. 1 del D.L. n. 2/2006, non avrebbe potuto interpretare autenticamente la norma medesima, ma avrebbe dovuto disporre una integrale modifica i cui effetti sarebbero stati ricondotti soltanto al periodo successivo alla data di entrata in vigore della nuova disposizione. L'interpretazione autentica, invece, ha determinato che, anche per i lavoratori agricoli non dipendenti, va applicato il salario agricolo medio anche per il periodo precedente alla sua entrata in vigore. Appare di tutta evidenza che è lo stesso legislatore a fornire la soluzione al caso che ci occupa nel senso che il detto salario agricolo medio va applicato a tutti i lavoratori del settore siano essi dipendenti o autonomi. La novità, rispetto al passato, consiste nel fatto che, al contrario di quanto previsto dalla regolamentazione precedente, proprio al fine di evitare dubbi di costituzionalità derivanti dal sostanziale blocco dell'importo delle prestazioni previdenziali (v. Corte Cost., 13 luglio 1994, n. 288), si è stabilito che il salario agricolo medio applicabile è quello rilevato nell'anno cui si riferisce la prestazione e non più quello rilevato nel 1995. Inoltre, l'applicabilità del citato art. 1 D.L. n. 338/89 consente, come avviene per tutti i lavoratori dipendenti, di utilizzare il principio secondo il quale l'indicato parametro salariale può essere tenuto in considerazione solo nel caso in cui, in forza di accordi collettivi o contratti individuali, non ne derivi una retribuzione di importo superiore a quello previsto dal contratto collettivo. E, in quest'ottica, ben si comprende anche perché si è ravvisata la necessità della norma di interpretazione autentica. Per i lavoratori agricoli non dipendenti, non essendovi una contrattazione collettiva applicabile, come avviene, invece, per i dipendenti, era necessario ancorare il parametro di riferimento per la liquidazione delle prestazioni previdenziali ad un dato oggettivo che permettesse ai lavoratori interessati di percepire una provvidenza quanto più corrispondente, quantomeno sotto il profilo dell'individuazione del dato di partenza, a quello degli altri lavoratori (dipendenti) appartenenti allo stesso settore produttivo (agricolo).
Ulteriore conferma della applicabilità e vigenza del salario agricolo medio per tutti i lavoratori del settore agricolo si è avuta con l'interpretazione autentica di due diverse disposizioni operata dai commi 5 e 153 dell'art. 2 della legge n. 191/2009. La prima delle indicate disposizioni (comma 5) prevede che “Il terzo comma dell'articolo 3 della legge 8 agosto 1972, n. 457, si interpreta nel senso che il termine ivi previsto del 30 ottobre per la rilevazione della media tra le retribuzioni per le diverse qualifiche previste dai contratti collettivi provinciali di lavoro ai fini della determinazione della retribuzione media convenzionale da porre a base per le prestazioni pensionistiche e per il calcolo della contribuzione degli operai agricoli a tempo determinato è il medesimo di quello previsto al secondo comma dell'articolo 3 della citata legge n. 457 del 1972 per gli operai a tempo indeterminato.” La norma appena richiamata, nella vigenza della modifica operata attraverso l'art. 1 commi 4 e 5 D.L. n. 2/2006, si preoccupa di individuare il momento di rilevazione dei salari al fine di determinare quelli medi provinciali applicabili ai fini, non solo del calcolo delle prestazioni pensionistiche, ma anche “per il calcolo della contribuzione degli operai agricoli a tempo determinato”.
È il caso di ricordare che, secondo il disposto del citato art. 2 comma 5 D.L. n. 2/2006, la retribuzione di riferimento per il calcolo dei contributi dovuti vale anche per il calcolo delle prestazioni temporanee. Ed allora, se si dovesse ritenere che il più volte menzionato art. 2 commi 4 e 5 del D.L. n. 2/2006 ha eliminato l'applicabilità del salario agricolo medio ai lavoratori agricoli a tempo determinato, l'interpretazione autentica in argomento sarebbe inutiliter data. Ma vi è di più. Il comma 153 del citato art. 2 L. n. 191/2009 ha disposto che “L'articolo 63, comma 6, del testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, di cui al Decreto Legislativo 26 marzo 2001, n. 151, si interpreta nel senso che il valore del salario medio convenzionale, da definire secondo le modalità stabilite nello stesso comma, ai fini della contribuzione, è il medesimo di quello che deve essere utilizzato per la determinazione della retribuzione pensionabile ai fini del calcolo delle prestazioni previdenziali.” Anche per quanto riguarda le disposizioni di cui si è appena riferito valgono le medesime considerazioni svolte in merito all'art. 1 comma 786 della legge n. 296/2006. In effetti, l'uso della formula della interpretazione autentica porta a ritenere che detta interpretazione (autentica) costituisce una delle interpretazioni possibili della norma interpretata. Ne consegue, anche in merito alle disposizioni che stiamo esaminando, che il legislatore ha ritenuto la preesistente applicabilità del salario agricolo medio ai fini del “calcolo della contribuzione degli operai agricoli a tempo determinato” nonché per determinare l'importo delle prestazioni di maternità e paternità per gli stessi operai agricoli a tempo determinato.
In relazione alla valenza temporale delle disposizioni interpretative di cui si è riferito appare utile fare alcune considerazioni. Al momento della loro entrata in vigore (gennaio 2010) le fattispecie sorte prima della loro emanazione erano già tutte definite. I contributi previdenziali dovuti per periodi antecedenti all'entrata in vigore del D.L. n. 2/2006, nella quasi totalità, si erano già prescritti in quanto era già decorso quasi integralmente il termine quinquennale entro cui può essere fatto valere il relativo diritto. Anche per le prestazioni di maternità si era già verificato il medesimo effetto. Era già decorso il termine annuale di prescrizione entro cui è possibile far valere il corrispondente diritto ed era, soprattutto, anche già trascorso il termine di decadenza di cui all'art. 47 del D.P.R. 639/70. Appare certamente inverosimile supporre che il legislatore abbia provveduto ad interpretare autenticamente delle norme di legge, di fatto, ormai inapplicabili. |