L’inderogabilità dei criteri di scelta dei lavoratori da licenziare

La Redazione
30 Novembre 2015

La Cassazione, con la sentenza n. 23609/2015, ha affermato che il datore di lavoro deve dare conto, per ciascuno dei lavoratori, dei criteri di comparazione adottati per stabilire chi collocare in mobilità, e che questi, una volta indicati, non possono più essere derogati.

La Corte d'appello territorialmente competente confermava la decisione di primo grado con la quale era stata accolta la domanda proposta da una lavoratrice nei confronti della società datrice di lavoro volta ad ottenere la declaratoria di illegittimità del licenziamento disposto a seguito di procedura di mobilità ex art. 4, L. n. 223/91 e la reintegrazione nel posto di lavoro. A fondamento della sua decisione, la Corte d'appello sosteneva che la società aveva violato l'art. 5 della richiamata legge, in tema di individuazione dei criteri di scelta dei lavoratori da collocare in mobilità. Infatti, non aveva dato conto, per ciascuno dei lavoratori, dei criteri di comparazione adottati, in modo da consentire ai sindacati e agli organi amministrativi di assolvere alla loro funzione di controllo.

La Corte di Cassazione ha confermato sul punto la pronuncia dei giudici di merito. Evidenzia al riguardo che “il criterio adottato per scegliere i lavoratori da collocare in mobilità è decisivo ed essenziale, costituisce, infatti, a fronte dell'interesse imprenditoriale a soddisfare l'esigenza della ristrutturazione aziendale, l'unico momento di tutela del lavoratore per verificare il comportamento datoriale secondo i principi generali di correttezza e buona fede nelle vicende del contratto di lavoro”. Da ciò sorge l'esigenza di una procedura che non lasci possibilità al datore di lavoro di una scelta diretta all'eliminazione di un lavoratore piuttosto che un altro. Dunque, la determinazione datoriale di ridurre il personale subisce una limitazione nel momento della individuazione dei soggetti coinvolti. Ne consegue che “il datore di lavoro, una volta stabiliti i criteri di scelta dei lavoratori da licenziare, non può derogare a tali criteri, atteso che una simile condotta non consente alle organizzazioni sindacali e agli organi amministrativi di controllare la correttezza e la trasparenza dell'operazione e non dà modo al lavoratore di percepire perché lui sia stato destinatario del collocamento in mobilità o del licenziamento collettivo e, quindi, di poter eventualmente contestare l'illegittimità della misura espulsiva”.

Contro la decisione di merito è stato proposto anche ricorso incidentale dalla lavoratrice. I giudici di legittimità, ritenendolo fondato, hanno sostenuto che la Corte di merito ha errato nel ritenere che, dovendo la lavoratrice restituire il tfr per effetto dell'accoglimento delle domande di illegittimità del licenziamento e di reintegrazione nel posto di lavoro, la medesima fosse rimasta parzialmente soccombente. In primis, sostiene la Corte, la restituzione del tfr è una mera conseguenza dell'accoglimento delle domande e, in secondo luogo, non risulta che la lavoratrice si sia opposta a tale restituzione.

In virtù dei principi richiamati, la Suprema Corte ha rigettato il ricorso principale della società datrice di lavoro, accolto, invece, il ricorso incidentale e cassato la sentenza impugnata sul punto. Decidendo nel merito, ha quindi condannato la società soccombente al pagamento delle spese di entrambi i giudizi di merito, nonché di quelle del giudizio di legittimità.

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