La nozione di pregiudizio rilevante ai fini delle assemblee speciali

Rocco Antonini
06 Ottobre 2017

Uno dei presupposti applicativi della disciplina descritta all'art. 2376 c.c. in materia di assemblee speciali è la presenza di un pregiudizio, attuale e non solo eventuale, dei diritti di una categoria di azioni o di strumenti finanziari partecipativi
Premessa

Uno dei presupposti applicativi della disciplina descritta all'art. 2376 c.c. in materia di assemblee speciali è la presenza di un pregiudizio, attuale e non solo eventuale, dei diritti di una categoria di azioni o di strumenti finanziari partecipativi: sull'interpretazione e sulla determinazione del concetto di pregiudizio si è incentrato un vivace dibattito in dottrina.

La nozione di pregiudizio

Si devono distinguere due categorie di pregiudizio:

  • quello “di mero fatto”
  • quello “di diritto”.

Il pregiudizio “di mero fatto” è rappresentato dalla lesione, di natura prettamente economica, delle aspettative dei soci di categoria, derivante da atti gestori o riorganizzativi della struttura sociale; in altri termini, nessun diritto viene modificato, ma si assiste ad un mutamento che impedisce la soddisfazione di una certa aspettativa. Ad esempio: esclusione della distribuzione degli utili in un dato esercizio o imputazione degli utili a riserva, in presenza di una categoria di azioni privilegiata nella distribuzione dei dividendi; o ancora: fusione per incorporazione in cui la società incorporante è in stato di dissesto finanziario e nell'incorporata sussiste una categoria di azioni privilegiata sull'incidenza delle perdite.

Il pregiudizio “di diritto” può essere di due specie: diretto o indiretto.

Il primo si manifesta in una modifica statutaria peggiorativa dei diritti di cui èmunita una categoria di azioni. Ad esempio: una riduzione del privilegio dal 10% al 5%, oppure una riduzione da 3 a 2 del numero di voti attribuiti dalle azioni a voto plurimo con capitale sociale rappresentato da più categorie di azioni.

Il pregiudizio indiretto, invece, si realizza quando, nonostante i diritti della categoria rimangono inalterati a livello formale, viene modificato il rapporto tra le varie categorie di azioni esistenti, recando un pregiudizio ai diritti di una o di alcune di queste.

Sono esempi di pregiudizio indiretto:

  • l'emissione di azioni privilegiate di rango successivo a quello delle azioni privilegiate esistenti, ma anteriore a quello delle ordinarie;
  • l'emissione di azioni a voto doppio offerta in opzione ai titolari di azioni ordinarie e di azioni a voto triplo;
  • l'emissione di azioni ordinarie offerta in opzione ai titolari di azioni ordinarie e di azioni privilegiate con voto per i soli casi di assemblea straordinaria

Il pregiudizio rilevante ai fini dell'applicabilità dell'art. 2376 c.c.

Ciò posto, occorre domandarsi quale pregiudizio rilevi ai fini dell'applicazione della norma in esame. Come osservato dalla dottrina, una lettura estensiva di questo concetto si rileverebbe perniciosa per l'attività della società, poiché l'assemblea generale rischierebbe di essere “paralizzata” dagli appartenenti alla categoria interessata anche ove questi rappresentino una frazione del capitale sociale di scarsa entità (COSTA, Le assemblee speciali, in Trattato delle società per azioni, diretto da G.E. Colombo - G.B. Portale, Torino, 1993, 529, afferma che in tal modo si finirebbe per “attribuire … un potere assolutamente sproporzionato alla quota di capitale rappresentata”.

Al contrario, com'è evidente, un'interpretazione troppo restrittiva della nozione di pregiudizio ex art. 2376 c.c. ridurrebbe eccessivamente la portata applicativa della norma, privando, in alcune ipotesi, gli azionisti della possibilità di esprimere la propria volontà (si pensi ai titolari di azioni di risparmio di cui agli artt. 145 e ss. T.u.f.).

Partendo dal tenore letterale della norma in esame (“deliberazioni dell'assemblea che pregiudicano i diritti”) si deve affermare, anzitutto, l'irrilevanza del c.d. pregiudizio “di mero fatto” ai fini dell'applicazione dell'istituto delle assemblee speciali: le aspettative nutrite dalla categoria di azioni, a ben vedere, non assurgono a diritto, ma rientrano tuttalpiù nel novero degli interessi di natura patrimoniale. Si osservi, come rilevato da autorevole dottrina, che ove ne ricorrano i presupposti, la delibera che rechi agli appartenenti ad una categoria un pregiudizio di mero fatto potrà riconoscersi un abuso di potere (si pensi ad un'operazione che produca un pregiudizio ingiustificato e discriminatorio. Per tutti, v. PORTALE, «Uguaglianza e contratto»: il caso dell'aumento del capitale sociale in presenza di più categorie di azioni, in Riv. dir. comm., I, 1990, 735).

D'altra parte, la deliberazione dell'assemblea generale che comporti un pregiudizio avente ad oggetto un diritto incorporato in una categoria di azioni (c.d. pregiudizio “di diritto e diretto”) richiede, fuor di ogni dubbio, l'approvazione degli appartenenti alla predetta categoria.

Solleva, invece, un contrasto in dottrina la rilevanza del c.d. pregiudizio “di diritto e indiretto” (a favore della rilevanza giuridica del pregiudizio indiretto si vedano, per tutti, MIGNOLI, Le assemblee speciali, Milano, 1960, 199 e PORTALE, Uguaglianza e contratto, cit. 720. In senso contrario, CAMPOBASSO, Diritto commerciale, II, Diritto delle società, Torino, 2010, 209 e FERRI, Manuale di diritto commerciale, Torino, 2015, 319).

La manualistica tradizionale, a ben vedere, ritiene irrilevante il tipo di pregiudizio in parola, sulla scorta dei seguenti argomenti:

1) la tesi che estende la nozione di pregiudizio dell'art. 2376 c.c. al pregiudizio indiretto finirebbe per applicare l'istituto dell'assemblea speciale alla tutela di qualunque interesse al mantenimento della differenza quantitativa fra categorie e alla protezione di interessi che, in realtà, più che della categoria sono del singolo portatore dei titoli della categoria (si pensi all'interesse alla quantità percentuale di potere di voto delle azioni);

2) si presentano notevoli difficoltà nell'individuare concretamente il confine tra il pregiudizio indiretto e quello di mero fatto;

3) si manifesta il rischio di applicazione dell'art. 2376 c.c. nella maggior parte delle operazioni sul capitale sociale, anche qualora l'operazione rechi un vantaggio all'attività sociale e la legge indichi strumenti di tutela specifici per il singolo azionista;

4) le norme di cui agli artt. 2441, comma 1, c.c. e 145, comma 8, T.U.F. consentono libertà di scelta in ordine al tipo di azioni da emettere;

5) il nostro legislatore non prevede il c.d. «diritto al rango», quale diritto al mantenimento del rapporto giuridico esistente tra le categorie di azioni, secondo il rispetto di equilibri di potere all'interno dell'assemblea antecedenti all'operazione.

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